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Future Fun
Sabato 4 settembre nell’ambito della rassegna ‘La vostra automobile è una casa?’, che si svolge alla PARCO Foundation a cura di Roberto Vidali, FUN partecipa con una mostra di francobolli disegnati da Massimo Caccia, Mauro Chiarotto, Massimo Giacon, Helmut King, Miguel Angel Martin, Shanti Ranchetti, Fulvia Spizzo, Pasquale Squaz Todisco e una mostra personale di
Ale Staffa.
Comunicato stampa
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PARCO FUNndation (Padiglione ARte COntemporanea) è un luogo magico alle porte di Treviso, circondato dall¹acqua del Fiume Sile. Non poteva esserci posto migliore dove riunire alcuni tra i migliori spiriti creativi e dare spazio alla loro espressività.
FUTURE? FUN? STAMPS?
(x)
Prima incognita: il futuro. Passato il tempo delle grandi attese ottimiste, ispirate alle utopie positive fonti ahinoi di cocenti disillusioni, al domani si guarda oggi con titubante indugio. Che cosa mai succederà, ora vogliamo e non vogliamo saperlo. E, in tanto, ciò che era materia di fantascienza muta forma. Nel secolo scorso lo sguardo positivista inventava senza sosta spalancamenti del sapere, migliorie tecniche, ritrovati scientifici meravigliosi, nuovi benessere, conquiste planetarie, benevoli incontri ravvicinati con intelligenze superiori. Invece la storia del Terzo Millennio ci ha già scaraventati in un avvenire incendiato e fumoso, caotico, incomprensibile, mal disposto, ben arduo. Lo stesso immaginario del futuro, modellandosi sul presente, è molto più fosco che in passato. La tecnica tradisce, le frontiere mobili della genetica inquietano, la politica terrorizza, psicologia e sociologia implodono, il pan ci manca e sul ponte sventola bandiera bianca. Eppure no, corpo di mille lune!, malgrado tutto la resistenza continua. La spugna non si getta così facilmente. Il destino di un pianeta non si lascia in mano ai vigliacchi. L’arrembaggio alla flotta minacciosa dei giorni a venire va guidato con il fuoco nello sguardo, il vecchio coltello tra i denti, la baluginante spada laser in pugno, e la brama di bottini cospicui e sconosciuti nel petto. Nei bagliori della battaglia intravediamo forme deformi inscafandrate in tute ermetiche; tra i fragori delle esplosioni udiamo grida in lingue estranee, forse di dolore, forse di incitamento; nel bailamme del nostro spaziotempo urtiamo corpi guasti, tocchiamo aculei e gibbosità, scontriamo pareti infrangibili, precipitiamo in vortici e buchi neri, ci scopriamo sempre nuove violente intolleranze e allergie. Ma ci battiamo ancora come irriducibili tigrotti di Mompracem. Non sappiamo come possa andare a finire, ma di una cosa siamo assolutamente certi: continua alla prossima puntata…
(y)
Ma che c’entra, che significa FUN? Sigla: Funtastic United Nations, ovvero le Nazioni Unite della Fantasia sguinzagliata all’inseguimento del fantasticare stesso. Ossia una funambolica associazione internazionale interrazziale intersessuale interconfessionale interclassista intercategoriale interlinguistica interdisciplinare interconnessa interattiva (chissà, forse già interplanetaria e interstellare o addirittura intergalattica) e molto interessante, nonché interlocutoria per definizione, a suo modo interventista, ma ad azione intermittente, del tutto libera e ispirata alla massima libertà, senza tessere né quote associative. Nata col nuovo millennio, avrebbe ambizioni di toccare come minimo quello successivo. Perché l’arte, d’altronde, è immortale (meglio mirare alto, tutte le volte che si può). E gli inventori di mondi immaginari sono sempre artisti, anche quando sono bambini che si sognano pompieri o astronauti, anche quando sono carcerati che si sognano alle Hawaii, anche quando sono sf**ati che si sognano playboy, anche quando sono bulimiche che si sognano anoressiche, persino quando sono fanciullotte che si sognano veline. L’arte del sogno ad occhi aperti è il primo passo verso l’arte più funtastica. Del resto, ogni volta che si compone un testo, un’immagine, anche un gesto, si rompe la realtà fin lì e la si reinventa da lì in poi. Ogni scelta, anche virtuale, contribuisce attivamente a modificare la successione della propria vita e a volte pure di quella altrui. Potenza della fantasia: creare realtà, consistenza, effettività, attualità, piccoli sbalzi di materia immanente, concrezioni e sussulti di oggettività. Una volta presa coscienza di ciò, tanto vale perseguire coscientemente l’incoscienza della libertà creativa. Ricreare la realtà – da come non ci piace, a come ci piacerebbe, a come ci piacerà. Essere dèi, cioè. O demiurghi, e sia, per chi non si vuole montare troppo la testa. Ma resta sempre una sensazione esaltante, questa funtasmatica.
(z)
Che c’entrano, a questo punto, i francobolli? Minuscoli rettangolini di carta colorata, dentellati ma non filigranati, osservabili meglio con la lente d’ingrandimento, collezionabili e magari scambiabili come figurine: testimonianze tangibili di un ente ufficiale di emissione, documenti autocertificanti una certa esistenza, viatici di possibile comunicazione tra un qui e un lì, tra un mittente e un ricevente, tra un piano di realtà e un altro. Fondamentali attestazioni di un contratto non scritto tra associati consenzienti alla grande truffa della cui attuazione ci rendiamo complici manifesti. O – prendiamo un altro respiro profondo – finestrelle d’astrospaziotemponave che si aprono su flash immediati di vite lontane e pregne di sorprese morfologiche ma pure ideologiche per non dire narratologiche. Bolli per un certo tipo di passaporto interdimensionale, insomma. E non facciamola più tanto lunga. C’è forse bisogno di spiegare il sabba di colori primari al ritmo space di Helmut King? No, no. Dobbiamo forse interpretare in qualche modo le istantanee di esplorazione del cosmo di Massimo Giacon? Gli faremmo un torto. O valutare gli sgorbionetti geometristi di Ale Staffa? Dio ce ne scampi e liberi! E che dire della galleria di personalità difformi di Mauro Chiarotto? Non oseremmo profferir verbo. E proveremmo forse a descrivere anche solo lontanamente l’altermondo messicaneggiante di Pasquale Squaz Todisco? Ma quando mai! E come censire le forme di vita biancoidi di Miguel Angel Martín? L’operato dei maestri dello spavento è insindacabile. E chi azzarderebbe un commento sul gelido fotobiettivo stratosferico di Massimo Caccia? Nessuno con un minimo di sale in zucca. E si può delucidare il sognante mondo infantile, tutt’occhi, di Shanti Ranchetti? Domanda retorica. Ognuno dei bolli, piuttosto, questo sì, si fa piccolo grande segno di presenza, di monito, di dileggio e di mascherata allegria – come la zeta di Zorro.
Ferruccio Giromini
FUTURE? FUN? STAMPS?
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Prima incognita: il futuro. Passato il tempo delle grandi attese ottimiste, ispirate alle utopie positive fonti ahinoi di cocenti disillusioni, al domani si guarda oggi con titubante indugio. Che cosa mai succederà, ora vogliamo e non vogliamo saperlo. E, in tanto, ciò che era materia di fantascienza muta forma. Nel secolo scorso lo sguardo positivista inventava senza sosta spalancamenti del sapere, migliorie tecniche, ritrovati scientifici meravigliosi, nuovi benessere, conquiste planetarie, benevoli incontri ravvicinati con intelligenze superiori. Invece la storia del Terzo Millennio ci ha già scaraventati in un avvenire incendiato e fumoso, caotico, incomprensibile, mal disposto, ben arduo. Lo stesso immaginario del futuro, modellandosi sul presente, è molto più fosco che in passato. La tecnica tradisce, le frontiere mobili della genetica inquietano, la politica terrorizza, psicologia e sociologia implodono, il pan ci manca e sul ponte sventola bandiera bianca. Eppure no, corpo di mille lune!, malgrado tutto la resistenza continua. La spugna non si getta così facilmente. Il destino di un pianeta non si lascia in mano ai vigliacchi. L’arrembaggio alla flotta minacciosa dei giorni a venire va guidato con il fuoco nello sguardo, il vecchio coltello tra i denti, la baluginante spada laser in pugno, e la brama di bottini cospicui e sconosciuti nel petto. Nei bagliori della battaglia intravediamo forme deformi inscafandrate in tute ermetiche; tra i fragori delle esplosioni udiamo grida in lingue estranee, forse di dolore, forse di incitamento; nel bailamme del nostro spaziotempo urtiamo corpi guasti, tocchiamo aculei e gibbosità, scontriamo pareti infrangibili, precipitiamo in vortici e buchi neri, ci scopriamo sempre nuove violente intolleranze e allergie. Ma ci battiamo ancora come irriducibili tigrotti di Mompracem. Non sappiamo come possa andare a finire, ma di una cosa siamo assolutamente certi: continua alla prossima puntata…
(y)
Ma che c’entra, che significa FUN? Sigla: Funtastic United Nations, ovvero le Nazioni Unite della Fantasia sguinzagliata all’inseguimento del fantasticare stesso. Ossia una funambolica associazione internazionale interrazziale intersessuale interconfessionale interclassista intercategoriale interlinguistica interdisciplinare interconnessa interattiva (chissà, forse già interplanetaria e interstellare o addirittura intergalattica) e molto interessante, nonché interlocutoria per definizione, a suo modo interventista, ma ad azione intermittente, del tutto libera e ispirata alla massima libertà, senza tessere né quote associative. Nata col nuovo millennio, avrebbe ambizioni di toccare come minimo quello successivo. Perché l’arte, d’altronde, è immortale (meglio mirare alto, tutte le volte che si può). E gli inventori di mondi immaginari sono sempre artisti, anche quando sono bambini che si sognano pompieri o astronauti, anche quando sono carcerati che si sognano alle Hawaii, anche quando sono sf**ati che si sognano playboy, anche quando sono bulimiche che si sognano anoressiche, persino quando sono fanciullotte che si sognano veline. L’arte del sogno ad occhi aperti è il primo passo verso l’arte più funtastica. Del resto, ogni volta che si compone un testo, un’immagine, anche un gesto, si rompe la realtà fin lì e la si reinventa da lì in poi. Ogni scelta, anche virtuale, contribuisce attivamente a modificare la successione della propria vita e a volte pure di quella altrui. Potenza della fantasia: creare realtà, consistenza, effettività, attualità, piccoli sbalzi di materia immanente, concrezioni e sussulti di oggettività. Una volta presa coscienza di ciò, tanto vale perseguire coscientemente l’incoscienza della libertà creativa. Ricreare la realtà – da come non ci piace, a come ci piacerebbe, a come ci piacerà. Essere dèi, cioè. O demiurghi, e sia, per chi non si vuole montare troppo la testa. Ma resta sempre una sensazione esaltante, questa funtasmatica.
(z)
Che c’entrano, a questo punto, i francobolli? Minuscoli rettangolini di carta colorata, dentellati ma non filigranati, osservabili meglio con la lente d’ingrandimento, collezionabili e magari scambiabili come figurine: testimonianze tangibili di un ente ufficiale di emissione, documenti autocertificanti una certa esistenza, viatici di possibile comunicazione tra un qui e un lì, tra un mittente e un ricevente, tra un piano di realtà e un altro. Fondamentali attestazioni di un contratto non scritto tra associati consenzienti alla grande truffa della cui attuazione ci rendiamo complici manifesti. O – prendiamo un altro respiro profondo – finestrelle d’astrospaziotemponave che si aprono su flash immediati di vite lontane e pregne di sorprese morfologiche ma pure ideologiche per non dire narratologiche. Bolli per un certo tipo di passaporto interdimensionale, insomma. E non facciamola più tanto lunga. C’è forse bisogno di spiegare il sabba di colori primari al ritmo space di Helmut King? No, no. Dobbiamo forse interpretare in qualche modo le istantanee di esplorazione del cosmo di Massimo Giacon? Gli faremmo un torto. O valutare gli sgorbionetti geometristi di Ale Staffa? Dio ce ne scampi e liberi! E che dire della galleria di personalità difformi di Mauro Chiarotto? Non oseremmo profferir verbo. E proveremmo forse a descrivere anche solo lontanamente l’altermondo messicaneggiante di Pasquale Squaz Todisco? Ma quando mai! E come censire le forme di vita biancoidi di Miguel Angel Martín? L’operato dei maestri dello spavento è insindacabile. E chi azzarderebbe un commento sul gelido fotobiettivo stratosferico di Massimo Caccia? Nessuno con un minimo di sale in zucca. E si può delucidare il sognante mondo infantile, tutt’occhi, di Shanti Ranchetti? Domanda retorica. Ognuno dei bolli, piuttosto, questo sì, si fa piccolo grande segno di presenza, di monito, di dileggio e di mascherata allegria – come la zeta di Zorro.
Ferruccio Giromini
04
settembre 2004
Future Fun
04 settembre 2004
arte contemporanea
Location
P.AR.CO. FOUNDATION
Casier, Piazza San Pio X, 76, (Treviso)
Casier, Piazza San Pio X, 76, (Treviso)
Sito web
www.aaa-edizioni.it




