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Giovanni Cesca – Gli oggetti della sartoria
La personale dell’artista, di origine sandonatese e di formazione veneziana, presenta trenta opere sul tema: “Gli oggetti della sartoria”, sondato a partire dal 1997
Comunicato stampa
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La personale dell’artista, di origine sandonatese e di formazione veneziana, presenta trenta opere sul tema: “Gli oggetti della sartoria”, sondato a partire dal 1997.
Giovanni Cesca proviene da una esperienza artistica intensa (ormai trentotto anni di attività, con esposizioni in Italia e all’estero), percorsa dalla sperimentazione fin dagli anni ’60, sollecitata in ambito veneziano dai fermenti culturali in Accademia e dalle esposizioni alla Bevilacqua La Masa, sperimentazione durata fino a tutto il decennio degli anni ’80.
L’attuale mostra si inquadra nel percorso iniziato quindici anni fa in ambito strettamente figurativo visto da un’angolazione inconsueta, intrisa di mistero.
Il saggio critico “Nel recinto dello stupore”di Giancarlo Pauletto, individua il territorio di questo percorso: “…Anche l’ultima pittura di Giovanni Cesca è entrata nel recinto, sospeso e fascinoso, dello “stupore”.L’ esplorazione nel laboratorio di sartoria del padre, dopo la sua scomparsa, lo mette in contatto con la varietà di oggetti che di quel laboratorio rimangono protagonisti, e protagonisti impregnati dell’aura sacrale che hanno le reliquie, cioè le cose che furono a vivo, quotidiano contatto con la persona di cui si serba l’emozionata memoria.
Questi oggetti, dunque, significano contemporaneamente una presenza e un’ assenza, dicono
la stupefazione con cui, alla fine, si constata la vita e la morte, ci rimettono di fronte al sospeso sgomento del nostro esserci e sparire.
Non che prima l’artista li ignorasse, ma essi erano appunto appresi in un contesto – il lavoro del padre, i propri giochi di ragazzo, i colloqui con persone e familiari – da cui assumevano un significato “normale”: forbici che servono per tagliare, bottoni che devono essere attaccati ai vestiti, ganci che dovranno agganciare, metri che dovranno misurare e via dicendo.
Mentre nella nuova situazione, destituiti d’uso, essi assumono e portano con sé tutta la misteriosa pregnanza di una vita che non c’è più: diventano oggetti di un mondo scomparso, archeologia, amuleti, testimonianze preziose davanti alle quali il primo dovere è quello dell’esattezza, di una insistita e toccante precisione, unico strumento attraverso il quale si può testimoniare la verità tutta concreta di una vita reale, quotidiana, legata per mille fili al pittore-testimone..”
Il catalogo, presente in galleria, è corredato nella prima parte anche da schede critiche (poste a fronte di alcune opere) curate da Attilio Rizzo e Carla Nardini. La traduzione in inglese, fresca e al contempo rigorosa, come nel precedente catalogo “Cesca- Il realismo magico”, è curata da Sara Pacifici.
In più di una occasione viene posto l’accento sulla tecnica usata da Cesca, come si legge nell’introduzione: “…una tecnica esecutiva raffinatissima, spaventata da niente: si verifichi come Cesca, nell’opera del 1999 intitolata “Ganci”, risolva in perfetta nitidezza la “messa in scena” di questo brulichio di piccole forme individuate una per una, ma tenute robustamente insieme da un grigio dominante vivo tuttavia di innumerevoli bagliori; e ancora si constati, ne “I bottoni dai riflessi chiari” (2001), con quanta acuminata sapienza venga resa la sostanza “tattile” dei piccoli oggetti, tanto che ci si immagina di poterli far scorrere tra le dita…”
In catalogo, dopo il saggio introduttivo, si apre una breve finestra intitolata poeticamente Preludio, nella quale si individua già in alcuni disegni e dipinti del ’70 e del ’72, l’interesse particolare del pittore per la macchina da cucire Pfaff. A datare quelle ricerche, rispetto all’attuale lavoro, la bella sequenza delle riproduzioni volutamente virate in seppia, soluzione ricercata, parte del progetto grafico curato da Giorgio Baldo.
Giovanni Cesca proviene da una esperienza artistica intensa (ormai trentotto anni di attività, con esposizioni in Italia e all’estero), percorsa dalla sperimentazione fin dagli anni ’60, sollecitata in ambito veneziano dai fermenti culturali in Accademia e dalle esposizioni alla Bevilacqua La Masa, sperimentazione durata fino a tutto il decennio degli anni ’80.
L’attuale mostra si inquadra nel percorso iniziato quindici anni fa in ambito strettamente figurativo visto da un’angolazione inconsueta, intrisa di mistero.
Il saggio critico “Nel recinto dello stupore”di Giancarlo Pauletto, individua il territorio di questo percorso: “…Anche l’ultima pittura di Giovanni Cesca è entrata nel recinto, sospeso e fascinoso, dello “stupore”.L’ esplorazione nel laboratorio di sartoria del padre, dopo la sua scomparsa, lo mette in contatto con la varietà di oggetti che di quel laboratorio rimangono protagonisti, e protagonisti impregnati dell’aura sacrale che hanno le reliquie, cioè le cose che furono a vivo, quotidiano contatto con la persona di cui si serba l’emozionata memoria.
Questi oggetti, dunque, significano contemporaneamente una presenza e un’ assenza, dicono
la stupefazione con cui, alla fine, si constata la vita e la morte, ci rimettono di fronte al sospeso sgomento del nostro esserci e sparire.
Non che prima l’artista li ignorasse, ma essi erano appunto appresi in un contesto – il lavoro del padre, i propri giochi di ragazzo, i colloqui con persone e familiari – da cui assumevano un significato “normale”: forbici che servono per tagliare, bottoni che devono essere attaccati ai vestiti, ganci che dovranno agganciare, metri che dovranno misurare e via dicendo.
Mentre nella nuova situazione, destituiti d’uso, essi assumono e portano con sé tutta la misteriosa pregnanza di una vita che non c’è più: diventano oggetti di un mondo scomparso, archeologia, amuleti, testimonianze preziose davanti alle quali il primo dovere è quello dell’esattezza, di una insistita e toccante precisione, unico strumento attraverso il quale si può testimoniare la verità tutta concreta di una vita reale, quotidiana, legata per mille fili al pittore-testimone..”
Il catalogo, presente in galleria, è corredato nella prima parte anche da schede critiche (poste a fronte di alcune opere) curate da Attilio Rizzo e Carla Nardini. La traduzione in inglese, fresca e al contempo rigorosa, come nel precedente catalogo “Cesca- Il realismo magico”, è curata da Sara Pacifici.
In più di una occasione viene posto l’accento sulla tecnica usata da Cesca, come si legge nell’introduzione: “…una tecnica esecutiva raffinatissima, spaventata da niente: si verifichi come Cesca, nell’opera del 1999 intitolata “Ganci”, risolva in perfetta nitidezza la “messa in scena” di questo brulichio di piccole forme individuate una per una, ma tenute robustamente insieme da un grigio dominante vivo tuttavia di innumerevoli bagliori; e ancora si constati, ne “I bottoni dai riflessi chiari” (2001), con quanta acuminata sapienza venga resa la sostanza “tattile” dei piccoli oggetti, tanto che ci si immagina di poterli far scorrere tra le dita…”
In catalogo, dopo il saggio introduttivo, si apre una breve finestra intitolata poeticamente Preludio, nella quale si individua già in alcuni disegni e dipinti del ’70 e del ’72, l’interesse particolare del pittore per la macchina da cucire Pfaff. A datare quelle ricerche, rispetto all’attuale lavoro, la bella sequenza delle riproduzioni volutamente virate in seppia, soluzione ricercata, parte del progetto grafico curato da Giorgio Baldo.
30
aprile 2005
Giovanni Cesca – Gli oggetti della sartoria
Dal 30 aprile al 31 maggio 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA POLIN
Villorba, (Treviso)
Villorba, (Treviso)
Orario di apertura
10.00/12.30 e 16.00/19.30 tutti i giorni – Lunedì chiuso
Vernissage
30 Aprile 2005, ore 18
Autore




