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L’ombra che resta
Il progetto apre un dialogo tra le ricerche di Jacopo Martinotti e Giorgio Mattia, entrambi legati a Milano, città in cui vivono e lavorano. La mostra esplora la memoria come spazio di apparizioni e dissolvenze, dove luce e materia si intrecciano per interrogare il rapporto tra passato e presente.
Comunicato stampa
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L’OMBRA CHE RESTA
“La rovina è ciò che resta della promessa non mantenuta” - Giorgio Agamben
La memoria non custodisce il passato come un archivio ordinato, ma si manifesta come un insieme
di apparizioni che emergono e scompaiono, aprendo varchi nell’immaginazione. Così la rovina
appare come resto di promesse non mantenute. Le opere di Jacopo Martinotti e Giorgio Mattia
abitano questa frattura, nello spazio sospeso in cui memoria e immaginazione si inseguono.
Entrambi guardano a un medesimo tempo e luogo, gli sviluppi della città di Milano durante gli anni
del Novecento, quando architettura, industria e spettacolo disegnavano nuovi orizzonti di visione e
potere. Entrambi si concentrano su contesti vissuti e attraversati, restituendo nelle loro ricerche
riflessioni profonde sul paesaggio e sulle sue trasformazioni.
Nei lavori di Jacopo Martinotti il corpo appare come un astro errante, sospeso tra apparizione e
dissoluzione. In Planetario, la luce ruota e avvolge, come a tracciare un cosmo interiore che
trascina lo spettatore in un vorticoso ipnotismo; in Eclisse, l’ombra si consuma fino a cancellare
ogni certezza visiva. La sua ricerca intreccia architetture e pellicole fragili, membrane sottili in cui
la figura umana si frantuma e ricompone, diventando traccia luminosa e residuo evanescente. La
monumentalità del Planetario Ulrico Hoepli, con la sua volta celeste mappata fotograficamente, si
trasforma in un atlante provvisorio, dove una sola presenza umana — una testa che diventa piccolo
globo — devia le coordinate del cosmo. Allo stesso modo, la polvere di marmo de L’Eclisse
restituisce il corpo perduto di un film come una costellazione cancellata, la traccia di una storia
dimenticata che tenta di riscriversi nello spazio. Ogni opera è passaggio tra rivelazione e sparizione:
lo spazio si trasforma in paesaggio emotivo e la memoria in presenza intermittente, fragile e
luminosa. È in questa soglia, fatta di ombre e bagliori, che il ricordo assume la consistenza di
materia cosmica, capace di aprire varchi poetici nello sguardo dello spettatore, come costellazioni
provvisorie che si accendono e si spengono nel buio.
Se per Martinotti il corpo si muove come un astro, per Giorgio Mattia la memoria prende forma
nella rovina industriale: le sue installazioni nascono dall’indagine sull’industria siderurgica e in
particolare sulle acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, che già prima del fascismo si preparavano a
plasmare il volto della modernità. Negli anni Trenta, quel paesaggio di fonderie e torri divenne
simbolo di una grandezza tanto protettiva quanto oppressiva, un orizzonte di ferro in cui la
promessa di progresso conviveva con l’ombra del controllo. In S.T.G.M. (Sic Transit Gloria Mundi)
un’immagine d’archivio riemerge come un fantasma luminoso da una torre che custodisce insieme
memoria e oblio: così passa la gloria del mondo. L’opera si muove nello spazio ambiguo tra
monumentalità e dissoluzione, restituendo la presenza operaia come pulsazione effimera, battito che
riappare e si spegne tra le rovine del sogno industriale. Attraverso il dialogo tra materia e
proiezione, Mattia trasforma acciaio e luce in un linguaggio sospeso, in cui la memoria collettiva si
mostra fragile e intensa. La sua ricerca non si limita a evocare un passato ormai inerte, ma tenta di
riattivarlo come esperienza percettiva e politica. Così le rovine diventano non solo reliquie di
un’epoca, ma dispositivi critici che interrogano il presente.
Nell’incontro tra i due artisti, la mostra si apre come un paesaggio stratificato: corpi che si
consumano accanto a strutture che minano l’autorità del visivo; apparizioni fragili che convivono
con rovine industriali; memorie che non si chiudono mai in una forma compiuta, ma si offrono
come soglie aperte, crepe luminose, costellazioni provvisorie.
Chiara Smedile
“La rovina è ciò che resta della promessa non mantenuta” - Giorgio Agamben
La memoria non custodisce il passato come un archivio ordinato, ma si manifesta come un insieme
di apparizioni che emergono e scompaiono, aprendo varchi nell’immaginazione. Così la rovina
appare come resto di promesse non mantenute. Le opere di Jacopo Martinotti e Giorgio Mattia
abitano questa frattura, nello spazio sospeso in cui memoria e immaginazione si inseguono.
Entrambi guardano a un medesimo tempo e luogo, gli sviluppi della città di Milano durante gli anni
del Novecento, quando architettura, industria e spettacolo disegnavano nuovi orizzonti di visione e
potere. Entrambi si concentrano su contesti vissuti e attraversati, restituendo nelle loro ricerche
riflessioni profonde sul paesaggio e sulle sue trasformazioni.
Nei lavori di Jacopo Martinotti il corpo appare come un astro errante, sospeso tra apparizione e
dissoluzione. In Planetario, la luce ruota e avvolge, come a tracciare un cosmo interiore che
trascina lo spettatore in un vorticoso ipnotismo; in Eclisse, l’ombra si consuma fino a cancellare
ogni certezza visiva. La sua ricerca intreccia architetture e pellicole fragili, membrane sottili in cui
la figura umana si frantuma e ricompone, diventando traccia luminosa e residuo evanescente. La
monumentalità del Planetario Ulrico Hoepli, con la sua volta celeste mappata fotograficamente, si
trasforma in un atlante provvisorio, dove una sola presenza umana — una testa che diventa piccolo
globo — devia le coordinate del cosmo. Allo stesso modo, la polvere di marmo de L’Eclisse
restituisce il corpo perduto di un film come una costellazione cancellata, la traccia di una storia
dimenticata che tenta di riscriversi nello spazio. Ogni opera è passaggio tra rivelazione e sparizione:
lo spazio si trasforma in paesaggio emotivo e la memoria in presenza intermittente, fragile e
luminosa. È in questa soglia, fatta di ombre e bagliori, che il ricordo assume la consistenza di
materia cosmica, capace di aprire varchi poetici nello sguardo dello spettatore, come costellazioni
provvisorie che si accendono e si spengono nel buio.
Se per Martinotti il corpo si muove come un astro, per Giorgio Mattia la memoria prende forma
nella rovina industriale: le sue installazioni nascono dall’indagine sull’industria siderurgica e in
particolare sulle acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, che già prima del fascismo si preparavano a
plasmare il volto della modernità. Negli anni Trenta, quel paesaggio di fonderie e torri divenne
simbolo di una grandezza tanto protettiva quanto oppressiva, un orizzonte di ferro in cui la
promessa di progresso conviveva con l’ombra del controllo. In S.T.G.M. (Sic Transit Gloria Mundi)
un’immagine d’archivio riemerge come un fantasma luminoso da una torre che custodisce insieme
memoria e oblio: così passa la gloria del mondo. L’opera si muove nello spazio ambiguo tra
monumentalità e dissoluzione, restituendo la presenza operaia come pulsazione effimera, battito che
riappare e si spegne tra le rovine del sogno industriale. Attraverso il dialogo tra materia e
proiezione, Mattia trasforma acciaio e luce in un linguaggio sospeso, in cui la memoria collettiva si
mostra fragile e intensa. La sua ricerca non si limita a evocare un passato ormai inerte, ma tenta di
riattivarlo come esperienza percettiva e politica. Così le rovine diventano non solo reliquie di
un’epoca, ma dispositivi critici che interrogano il presente.
Nell’incontro tra i due artisti, la mostra si apre come un paesaggio stratificato: corpi che si
consumano accanto a strutture che minano l’autorità del visivo; apparizioni fragili che convivono
con rovine industriali; memorie che non si chiudono mai in una forma compiuta, ma si offrono
come soglie aperte, crepe luminose, costellazioni provvisorie.
Chiara Smedile
23
ottobre 2025
L’ombra che resta
Dal 23 ottobre all'otto novembre 2025
arte contemporanea
Location
spazio milesi
Milano, Via Felice Casati, 29, (MI)
Milano, Via Felice Casati, 29, (MI)
Orario di apertura
da Lunedì a Sabato ore 11-18
Sito web
Editore
Spazio Milesi
Autore
Curatore
Autore testo critico
Progetto grafico
Media partner
Produzione organizzazione









