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Mario Botta – Architetture del Sacro
La più importante mostra di architettura contemporanea a Firenze in questi primi anni del secolo
Comunicato stampa
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Dal 30 aprile al 30 luglio 2005, nei suggestivi locali della Gipsoteca dell’Istituto Statale d’Arte di Firenze, si svolge la mostra: Mario Botta: Architetture del Sacro - ‘Preghiere di pietra’ promossa e realizzata dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, la fondazione di origine bancaria che, nell’ambito della Toscana, si occupa in proprio o in sinergia con altre istituzioni pubbliche e private di progetti nei settori della conservazione e restauro, delle iniziative socio-assistenziali, dell’ambiente, della cultura e dell’arte.
È stato scelto l’Istituto Statale d’Arte e la sua celebre Gipsoteca (una delle più importanti raccolte europee di modelli in gesso pertinenti alla scultura occidentale) come sede della mostra, sia per le caratteristiche del luogo che si presta ad ospitare un evento espositivo del genere, sia perché l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ha impegnato importanti risorse finanziare, in sinergia con la Provincia di Firenze, per restaurare questi spazi che rappresentano, insieme alle collezioni qui custodite, un patrimonio culturale di grande rilevanza a livello nazionale ed internazionale e quindi desidera richiamare su di essi l’attenzione del pubblico.
Proporre per la Città consacrata al culto dell’arte e dell’architettura rinascimentale una iniziativa di architettura contemporanea segnata dalla personalità di Mario Botta è sembrato all’Ente Cassa un’operazione culturale di carattere estremamente innovativo, oltrechè un contributo al dibattito su temi che riguardano l’attualità del costruire. Il rimando al sacro, nella mostra di Botta, costituisce inoltre un ulteriore elemento di riflessione.
La mostra si svolgerà nel grande padiglione della Gipsoteca ed ospiterà dodici grandi plastici (insieme a disegni e materiali fotografici) relativi ad altrettanti progetti per edifici sacri realizzati in varie parti d’Italia e all’estero, di cui undici rivolti al culto cristiano e uno a quello ebraico.
L’architettura religiosa, nel percorso creativo di Botta, parte dal bisogno di spiritualità insito nell’uomo. Ciascuno dei dodici edifici, al di là delle confessioni religiose alle quali sono destinati, si pone come paradigma di un modo di interpretare tale bisogno, per dare forma ai valori collettivi del nostro vivere, modellando con sapienza luce e spazio così da trarne un significato simbolico riconosciuto e condiviso. Tutto ciò recuperando la tradizione costruttiva del passato, in particolare, l’uso massivo del laterizio e della pietra, quest’ultima spesso proveniente dalle località dove l’architetto pone in essere i suoi interventi, volendo con ciò perseguire anche l’obiettivo di contestualizzare le proprie architetture in relazione all’ambiente di riferimento di volta in volta individuato, come dire: il rispetto del genius loci.
Mario Botta è il leader ormai riconosciuto di un movimento architettonico europeo che ha preso le mosse dal Canton Ticino privilegiando aspetti come l’ordine, la materia, la geometria, la razionalità, la centralità dell’uomo sotto forma di funzione, percezione, pensiero, controllo rigoroso del processo creativo.
La grande capacità dell’architetto ticinese è appunto quella di sviluppare un linguaggio architettonico basato sullo studio delle forme primarie, dei volumi puri, della geometria elementare, dei materiali tessuti o lapidei. Una sfida importante da vincere per Botta è misurarsi con l’infinito attraverso elementi finiti, figure semplici che sono più facilmente distinguibili e in cui tutti si possono riconoscere.
L’Ente Cassa ha voluto Mario Botta per l’attualità del suo pensiero nel panorama architettonico nazionale ed internazionale, auspicando che la mostra di Firenze possa contribuire positivamente al dibattito su temi che sono sicuramente molto sentiti, e non solo a livello di addetti ai lavori, ma da parte di un pubblico più vasto. Quel suo insistito e tenace voler riportare a misura d’uomo le vicende architettoniche, quando oggi si assiste alla preoccupante tendenza a costruire cattedrali nel deserto che tengono scarsamente conto delle preesistenze storiche, sembra coniugarsi perfettamente con la Città che oggi accoglie l’artefice di Mendrisio, quella Firenze che ha fatto della ‘misura umanistica’ il tratto distintivo della sua presenza nel mondo. Ed è proprio in considerazione di questa spiccata connotazione ‘ambientale’ che l’Ente ha voluto aprire, con La mostra su Botta, un ciclo di approfondimento sull’architettura che coinvolgerà tra il 2005 e il 2006 il grande Arnolfo di Cambio proseguendo con altri illustri personaggi attualmente allo studio per analoghi progetti espositivi. L’idea complessiva che l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze vuole sviluppare con La mostra su Mario Botta e le iniziative che seguiranno, si basa sul tentativo di una riappropriazione di valori estetici e umani che in qualche modo contribuisca a ricomporre il dissidio sempre più evidente e lacerante tra l’aspirazione alla bellezza e all’armonia e la realtà odierna troppo spesso disseminata di brutture che negano quell’aspirazione.
Come scrive Botta, « di fronte al disagio delle incerte frontiere della nuova urbanizzazione, la città storica, caposaldo della vecchia Europa cristiano-occidentale, ultimo baluardo di riferimento rispetto alle grandi istituzioni dell’uomo attorno alle quali è maturata la nostra coscienza collettiva (la chiesa, il museo, il teatro, la biblioteca, il mercato, la piazza …), pone continui interrogativi rispetto alle attuali architetture ormai orfane di un contesto e di una centralità che le privano di credibilità e autorevolezza negando loro la forza di un significato simbolico. Per questo, costruire oggi nel bel mezzo della “città diffusa” diviene una sfida ardua ma improrogabile per tentare di riagganciare il nostro tempo ad una continuità storica che rischia di essere spezzata. Testimoniare del proprio tempo pur all’interno delle fragilità delle nostre aspirazioni è un compito irrinunciabile per ogni forma espressiva …». (eb)
PENSIERO DI MARIO BOTTA
Lo spazio del sacro
Questa pubblicazione raccoglie dodici fra architetture e progetti che, in tempi e in occasioni diverse, si sono confrontati con lo spazio del sacro.
Costruire è di per sé un atto sacro, è una azione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura; la storia dell’architettura è la storia di queste trasformazioni.
Il bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con la dimensione dell’infinito è una necessità primordiale nella ricerca della bellezza che ha sempre accompagnato l’uomo nella costruzione del proprio spazio di vita.
Per l’architetto penetrare forme espressive sconosciute nel tentativo di rispondere alle esigenze della casa di Dio, diviene anche un modo per ripensare la casa dell’uomo.
Disegnare uno spazio architettonico è un atto che mira a predisporre le forme ambientali affinché le attività, i sentimenti e le emozioni possano trovare una loro adeguata espressione.
Certo è che l’architettura, come altre forme creative, tocca unicamente gli animi predisposti ad indagare le suggestioni e le attese offerte dalla costruzione dello spazio, poiché, come ha annotato Le Corbusier «Lo spazio è dentro di noi e l’opera di architettura può evocarlo ed esso può solo rivelarsi a coloro che lo meritano… allora si spalanca un’immensa profondità che cancella i muri, scaccia le presenze contingenti e compie il miracolo dello spazio indicibile».
È all’interno di queste condizioni che dev’essere interpretato il ruolo riservato all’architetto nella creazione di un’opera che mira al silenzio, alla meditazione, alla preghiera, dove la costruzione configura modelli tridimensionali di luce e forme che relazionano la percezione visiva alla sensazione emotiva.
Ecco allora che, di tanto in tanto, si fa forte il bisogno di uno spazio rivolto al sacro anche all’interno della quotidianità, una necessità irrinunciabile confortata lungo l’arco dei secoli da esempi eccelsi, che ora riemerge con determinazione forse in un estremo tentativo di risposta alla incompiutezza della dimensione contemporanea.
Di fronte al disagio delle incerte frontiere della nuova urbanizzazione, la città storica, caposaldo della vecchia Europa cristiano-occidentale, ultimo baluardo di riferimento rispetto alle grandi istituzioni dell’uomo attorno alle quali è maturata la nostra coscienza collettiva (la chiesa, il museo, il teatro, la biblioteca, il mercato, la piazza…), pone continui interrogativi rispetto alle attuali architetture ormai orfane di un contesto e di una centralità che potrebbero garantire credibilità e autorevolezza.
Per questo, costruire oggi nel bel mezzo della “città diffusa” diviene una sfida ardua ma improrogabile per tentare di riagganciare il nostro tempo a una continuità storica che rischia di essere spezzata.
Testimoniare del proprio tempo pur all’interno delle fragilità delle nostre aspirazioni è un compito irrinunciabile per ogni forma espressiva.
Certo, costruire una chiesa oggi in una società fortemente secolarizzata, dopo i pronunciamenti sulla “morte d’arte”, dopo l’azzeramento dei codici linguistici e il congedo degli stili operato dalle avanguardie nel XX secolo, risuona temerario, una sfida estrema.
Disegnare uno spazio rivolto al sacro dopo aver condiviso le emozioni offerte dai tratti intimi di Klee, o le provocazioni delle gesta sovrumane di Picasso può apparire ingenuo, impossibile dentro la precarietà del nostro essere: un compito fuori misura all’interno della povertà espressiva che ci è data. Eppure è anche compito urgente e vivo dal quale non possiamo sottrarci se ancora crediamo nella possibilità di affermare alcuni valori fondamentali.
Le infinite risorse che ancora ci riserva il fatto creativo sono d’altra parte sorprendenti, al di là di ogni timore, di ogni ragione, di ogni analisi, di ogni giudizio.
Così talvolta accade all’architetto che di fronte al foglio bianco sul tavolo e l’angoscia nel cuore, si profili una ennesima speranza dove emergono intuizioni assopite, dimenticate e lontane che, inaspettate, riaffiorano come gemme dentro il tratto della matita che indaga nei meandri della memoria, nel tentativo di dare voce e immagine a un bisogno profondo.
Disegnare uno spazio rivolto al sacro può risultare allora anche un modo per riappacificarci con il nostro tempo e riconoscere una nuova diversa legittimità alla città sociale e civile.
È questo un modo per far propri i valori collettivi dell’“habitat” delle diverse culture nel marasma del grande villaggio globale, un modo per riaffermare il primato della memoria in un lavoro apparentemente tecnico, una forma di riferimento indispensabile per affrontare le incognite che ci riserva ogni progetto.
PREFAZIONE DEL PRESIDENTE DELL’ENTE CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE PER IL CATALOGO DELLA MOSTRA SU BOTTA
A qualcuno potrebbe apparire un azzardo aver promosso e realizzato, come ha fatto l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, un evento di architettura contemporanea nella Città del Brunelleschi, la mostra dedicata a Mario Botta, architetto italo svizzero di fama mondiale.
Firenze è complessa, difficile, talvolta distratta rispetto ai fenomeni che oggi agitano l’ “arte reale” in Italia e all’estero.
Eppure Firenze è la città di Michelucci, della stazione di Santa Maria Novella, della Chiesa sull’Autostrada. La sede stessa della Cassa di Risparmio in via Bufalini è un’icona della contemporaneità dove si sono esercitate generazioni di studenti della Facoltà di Architettura.
Aver proposto per la Città consacrata al culto dell’arte e dell’architettura medioevale e rinascimentale un evento segnato dalla personalità di Mario Botta è stata una iniziativa culturale di carattere innovativo, oltrechè un apporto al dibattito su temi che riguardano l’attualità del costruire. L’ “architettura del sacro”, nella mostra su Botta, con la sua specificità, offre un ulteriore motivo di riflessione, per l’importanza che dovrebbe avere l’edilizia religiosa anche nella nostra epoca, soprattutto nei contesti urbani e paesaggistici della nostra terra.
La mostra su Mario Botta ha trovato ospitalità nella grande aula della Gipsoteca dell’Istituto d’Arte di Porta Romana, uno dei luoghi deputati della tradizione fiorentina, custode di quei valori del ‘saper fare’ che rappresentano una caratteristica primaria di Firenze. Per questo l’Ente Cassa, negli ultimi anni, si è impegnato al restauro degli spazi che in quel luogo accolgono una sintesi visiva delle opere scaturite nei secoli dalla fantasia creativa degli artisti fiorentini, volendo richiamare così con una iniziativa di prestigio internazionale l’attenzione del pubblico anche sul quel particolarissimo museo.
L’Ente ha invitato Mario Botta a Firenze per l’attualità del suo pensiero nel panorama architettonico nazionale ed internazionale, auspicando che la sua mostra nella nostra Città possa contribuire a una discussione approfondita e non strumentale su argomenti che anche la comunità locale dovrebbe sentire come essenziali per la nostra civiltà.
In Mario Botta, quel suo insistito e tenace voler riportare a misura d’uomo le vicende architettoniche, quando spesso è diffusa la preoccupante tendenza a costruire cattedrali nel deserto che tengono in nessun conto le preesistenze storiche, sembra coniugarsi perfettamente con la Città che oggi ospita l’artefice di Mendrisio, quella Firenze che ha fatto della ‘misura umanistica’ il tratto distintivo della sua presenza nel mondo.
Con la mostra su Botta si aprirà un ciclo di approfondimento su momenti salienti della storia dell’architettura che coinvolgerà il grande Arnolfo di Cambio per poi aggiungere Leon Battista Alberti e proseguire con altri momenti di riflessione e di riscoperta.
L’idea complessiva che l’Ente intende sviluppare, attraverso Botta e le iniziative che seguiranno, si basa sul tentativo di una riappropriazione di valori estetici e umani che aiuti a ricomporre il dissidio, non sempre cosciente ma evidente e lacerante, tra l’aspirazione alla bellezza e all’armonia e la realtà di espressioni contemporanee.
L’Ente Cassa ha voluto, con questa prima iniziativa di riflessione nell’architettura, non solo promuovere e realizzare un evento di architettura contemporanea ma, legandolo al tema del sacro e seguendo il percorso creativo di Botta, esplorare anche possibili soluzioni al bisogno di spiritualità insito nell’uomo.
Le “preghiere di pietra” di Botta sono affascinanti per noi contemporanei, anche perché dall’Oriente e dall’America più profonda ci vengono oggi appelli al sacro che sarebbe stolto accantonare quali meri fenomeni di integralismo.
Questa mostra è destinata a coloro che vogliono fermarsi per meditare sui misteri cui non è consentito sfuggire. Mario Botta offre un’eccellente occasione.
ELEMENTI CARATTERISTICI DELL’ARCHITETTURA DI MARIO BOTTA
Architettura fortemente strutturale con largo uso del laterizio e di materiali lapidei (a volte abbinamento con materiali hitech)
Impiego di figure semplici. Spesso ricorre il quadrato e il cerchio con i suoi corrispettivi solidi, cubo e cilindro. Una immagine tipica di Botta: due elementi gemelli, cubi o parallelepipedi, inframezzati dal un elemento cilindrico che funge da ricettore di luce (lucernaio)
Ricerca di effetti di luce zenitale in modo però non diffuso ma mirato a disegnare all’interno determinate geometrie secondo la sensibilità dell’architetto.
È stato scelto l’Istituto Statale d’Arte e la sua celebre Gipsoteca (una delle più importanti raccolte europee di modelli in gesso pertinenti alla scultura occidentale) come sede della mostra, sia per le caratteristiche del luogo che si presta ad ospitare un evento espositivo del genere, sia perché l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ha impegnato importanti risorse finanziare, in sinergia con la Provincia di Firenze, per restaurare questi spazi che rappresentano, insieme alle collezioni qui custodite, un patrimonio culturale di grande rilevanza a livello nazionale ed internazionale e quindi desidera richiamare su di essi l’attenzione del pubblico.
Proporre per la Città consacrata al culto dell’arte e dell’architettura rinascimentale una iniziativa di architettura contemporanea segnata dalla personalità di Mario Botta è sembrato all’Ente Cassa un’operazione culturale di carattere estremamente innovativo, oltrechè un contributo al dibattito su temi che riguardano l’attualità del costruire. Il rimando al sacro, nella mostra di Botta, costituisce inoltre un ulteriore elemento di riflessione.
La mostra si svolgerà nel grande padiglione della Gipsoteca ed ospiterà dodici grandi plastici (insieme a disegni e materiali fotografici) relativi ad altrettanti progetti per edifici sacri realizzati in varie parti d’Italia e all’estero, di cui undici rivolti al culto cristiano e uno a quello ebraico.
L’architettura religiosa, nel percorso creativo di Botta, parte dal bisogno di spiritualità insito nell’uomo. Ciascuno dei dodici edifici, al di là delle confessioni religiose alle quali sono destinati, si pone come paradigma di un modo di interpretare tale bisogno, per dare forma ai valori collettivi del nostro vivere, modellando con sapienza luce e spazio così da trarne un significato simbolico riconosciuto e condiviso. Tutto ciò recuperando la tradizione costruttiva del passato, in particolare, l’uso massivo del laterizio e della pietra, quest’ultima spesso proveniente dalle località dove l’architetto pone in essere i suoi interventi, volendo con ciò perseguire anche l’obiettivo di contestualizzare le proprie architetture in relazione all’ambiente di riferimento di volta in volta individuato, come dire: il rispetto del genius loci.
Mario Botta è il leader ormai riconosciuto di un movimento architettonico europeo che ha preso le mosse dal Canton Ticino privilegiando aspetti come l’ordine, la materia, la geometria, la razionalità, la centralità dell’uomo sotto forma di funzione, percezione, pensiero, controllo rigoroso del processo creativo.
La grande capacità dell’architetto ticinese è appunto quella di sviluppare un linguaggio architettonico basato sullo studio delle forme primarie, dei volumi puri, della geometria elementare, dei materiali tessuti o lapidei. Una sfida importante da vincere per Botta è misurarsi con l’infinito attraverso elementi finiti, figure semplici che sono più facilmente distinguibili e in cui tutti si possono riconoscere.
L’Ente Cassa ha voluto Mario Botta per l’attualità del suo pensiero nel panorama architettonico nazionale ed internazionale, auspicando che la mostra di Firenze possa contribuire positivamente al dibattito su temi che sono sicuramente molto sentiti, e non solo a livello di addetti ai lavori, ma da parte di un pubblico più vasto. Quel suo insistito e tenace voler riportare a misura d’uomo le vicende architettoniche, quando oggi si assiste alla preoccupante tendenza a costruire cattedrali nel deserto che tengono scarsamente conto delle preesistenze storiche, sembra coniugarsi perfettamente con la Città che oggi accoglie l’artefice di Mendrisio, quella Firenze che ha fatto della ‘misura umanistica’ il tratto distintivo della sua presenza nel mondo. Ed è proprio in considerazione di questa spiccata connotazione ‘ambientale’ che l’Ente ha voluto aprire, con La mostra su Botta, un ciclo di approfondimento sull’architettura che coinvolgerà tra il 2005 e il 2006 il grande Arnolfo di Cambio proseguendo con altri illustri personaggi attualmente allo studio per analoghi progetti espositivi. L’idea complessiva che l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze vuole sviluppare con La mostra su Mario Botta e le iniziative che seguiranno, si basa sul tentativo di una riappropriazione di valori estetici e umani che in qualche modo contribuisca a ricomporre il dissidio sempre più evidente e lacerante tra l’aspirazione alla bellezza e all’armonia e la realtà odierna troppo spesso disseminata di brutture che negano quell’aspirazione.
Come scrive Botta, « di fronte al disagio delle incerte frontiere della nuova urbanizzazione, la città storica, caposaldo della vecchia Europa cristiano-occidentale, ultimo baluardo di riferimento rispetto alle grandi istituzioni dell’uomo attorno alle quali è maturata la nostra coscienza collettiva (la chiesa, il museo, il teatro, la biblioteca, il mercato, la piazza …), pone continui interrogativi rispetto alle attuali architetture ormai orfane di un contesto e di una centralità che le privano di credibilità e autorevolezza negando loro la forza di un significato simbolico. Per questo, costruire oggi nel bel mezzo della “città diffusa” diviene una sfida ardua ma improrogabile per tentare di riagganciare il nostro tempo ad una continuità storica che rischia di essere spezzata. Testimoniare del proprio tempo pur all’interno delle fragilità delle nostre aspirazioni è un compito irrinunciabile per ogni forma espressiva …». (eb)
PENSIERO DI MARIO BOTTA
Lo spazio del sacro
Questa pubblicazione raccoglie dodici fra architetture e progetti che, in tempi e in occasioni diverse, si sono confrontati con lo spazio del sacro.
Costruire è di per sé un atto sacro, è una azione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura; la storia dell’architettura è la storia di queste trasformazioni.
Il bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con la dimensione dell’infinito è una necessità primordiale nella ricerca della bellezza che ha sempre accompagnato l’uomo nella costruzione del proprio spazio di vita.
Per l’architetto penetrare forme espressive sconosciute nel tentativo di rispondere alle esigenze della casa di Dio, diviene anche un modo per ripensare la casa dell’uomo.
Disegnare uno spazio architettonico è un atto che mira a predisporre le forme ambientali affinché le attività, i sentimenti e le emozioni possano trovare una loro adeguata espressione.
Certo è che l’architettura, come altre forme creative, tocca unicamente gli animi predisposti ad indagare le suggestioni e le attese offerte dalla costruzione dello spazio, poiché, come ha annotato Le Corbusier «Lo spazio è dentro di noi e l’opera di architettura può evocarlo ed esso può solo rivelarsi a coloro che lo meritano… allora si spalanca un’immensa profondità che cancella i muri, scaccia le presenze contingenti e compie il miracolo dello spazio indicibile».
È all’interno di queste condizioni che dev’essere interpretato il ruolo riservato all’architetto nella creazione di un’opera che mira al silenzio, alla meditazione, alla preghiera, dove la costruzione configura modelli tridimensionali di luce e forme che relazionano la percezione visiva alla sensazione emotiva.
Ecco allora che, di tanto in tanto, si fa forte il bisogno di uno spazio rivolto al sacro anche all’interno della quotidianità, una necessità irrinunciabile confortata lungo l’arco dei secoli da esempi eccelsi, che ora riemerge con determinazione forse in un estremo tentativo di risposta alla incompiutezza della dimensione contemporanea.
Di fronte al disagio delle incerte frontiere della nuova urbanizzazione, la città storica, caposaldo della vecchia Europa cristiano-occidentale, ultimo baluardo di riferimento rispetto alle grandi istituzioni dell’uomo attorno alle quali è maturata la nostra coscienza collettiva (la chiesa, il museo, il teatro, la biblioteca, il mercato, la piazza…), pone continui interrogativi rispetto alle attuali architetture ormai orfane di un contesto e di una centralità che potrebbero garantire credibilità e autorevolezza.
Per questo, costruire oggi nel bel mezzo della “città diffusa” diviene una sfida ardua ma improrogabile per tentare di riagganciare il nostro tempo a una continuità storica che rischia di essere spezzata.
Testimoniare del proprio tempo pur all’interno delle fragilità delle nostre aspirazioni è un compito irrinunciabile per ogni forma espressiva.
Certo, costruire una chiesa oggi in una società fortemente secolarizzata, dopo i pronunciamenti sulla “morte d’arte”, dopo l’azzeramento dei codici linguistici e il congedo degli stili operato dalle avanguardie nel XX secolo, risuona temerario, una sfida estrema.
Disegnare uno spazio rivolto al sacro dopo aver condiviso le emozioni offerte dai tratti intimi di Klee, o le provocazioni delle gesta sovrumane di Picasso può apparire ingenuo, impossibile dentro la precarietà del nostro essere: un compito fuori misura all’interno della povertà espressiva che ci è data. Eppure è anche compito urgente e vivo dal quale non possiamo sottrarci se ancora crediamo nella possibilità di affermare alcuni valori fondamentali.
Le infinite risorse che ancora ci riserva il fatto creativo sono d’altra parte sorprendenti, al di là di ogni timore, di ogni ragione, di ogni analisi, di ogni giudizio.
Così talvolta accade all’architetto che di fronte al foglio bianco sul tavolo e l’angoscia nel cuore, si profili una ennesima speranza dove emergono intuizioni assopite, dimenticate e lontane che, inaspettate, riaffiorano come gemme dentro il tratto della matita che indaga nei meandri della memoria, nel tentativo di dare voce e immagine a un bisogno profondo.
Disegnare uno spazio rivolto al sacro può risultare allora anche un modo per riappacificarci con il nostro tempo e riconoscere una nuova diversa legittimità alla città sociale e civile.
È questo un modo per far propri i valori collettivi dell’“habitat” delle diverse culture nel marasma del grande villaggio globale, un modo per riaffermare il primato della memoria in un lavoro apparentemente tecnico, una forma di riferimento indispensabile per affrontare le incognite che ci riserva ogni progetto.
PREFAZIONE DEL PRESIDENTE DELL’ENTE CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE PER IL CATALOGO DELLA MOSTRA SU BOTTA
A qualcuno potrebbe apparire un azzardo aver promosso e realizzato, come ha fatto l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, un evento di architettura contemporanea nella Città del Brunelleschi, la mostra dedicata a Mario Botta, architetto italo svizzero di fama mondiale.
Firenze è complessa, difficile, talvolta distratta rispetto ai fenomeni che oggi agitano l’ “arte reale” in Italia e all’estero.
Eppure Firenze è la città di Michelucci, della stazione di Santa Maria Novella, della Chiesa sull’Autostrada. La sede stessa della Cassa di Risparmio in via Bufalini è un’icona della contemporaneità dove si sono esercitate generazioni di studenti della Facoltà di Architettura.
Aver proposto per la Città consacrata al culto dell’arte e dell’architettura medioevale e rinascimentale un evento segnato dalla personalità di Mario Botta è stata una iniziativa culturale di carattere innovativo, oltrechè un apporto al dibattito su temi che riguardano l’attualità del costruire. L’ “architettura del sacro”, nella mostra su Botta, con la sua specificità, offre un ulteriore motivo di riflessione, per l’importanza che dovrebbe avere l’edilizia religiosa anche nella nostra epoca, soprattutto nei contesti urbani e paesaggistici della nostra terra.
La mostra su Mario Botta ha trovato ospitalità nella grande aula della Gipsoteca dell’Istituto d’Arte di Porta Romana, uno dei luoghi deputati della tradizione fiorentina, custode di quei valori del ‘saper fare’ che rappresentano una caratteristica primaria di Firenze. Per questo l’Ente Cassa, negli ultimi anni, si è impegnato al restauro degli spazi che in quel luogo accolgono una sintesi visiva delle opere scaturite nei secoli dalla fantasia creativa degli artisti fiorentini, volendo richiamare così con una iniziativa di prestigio internazionale l’attenzione del pubblico anche sul quel particolarissimo museo.
L’Ente ha invitato Mario Botta a Firenze per l’attualità del suo pensiero nel panorama architettonico nazionale ed internazionale, auspicando che la sua mostra nella nostra Città possa contribuire a una discussione approfondita e non strumentale su argomenti che anche la comunità locale dovrebbe sentire come essenziali per la nostra civiltà.
In Mario Botta, quel suo insistito e tenace voler riportare a misura d’uomo le vicende architettoniche, quando spesso è diffusa la preoccupante tendenza a costruire cattedrali nel deserto che tengono in nessun conto le preesistenze storiche, sembra coniugarsi perfettamente con la Città che oggi ospita l’artefice di Mendrisio, quella Firenze che ha fatto della ‘misura umanistica’ il tratto distintivo della sua presenza nel mondo.
Con la mostra su Botta si aprirà un ciclo di approfondimento su momenti salienti della storia dell’architettura che coinvolgerà il grande Arnolfo di Cambio per poi aggiungere Leon Battista Alberti e proseguire con altri momenti di riflessione e di riscoperta.
L’idea complessiva che l’Ente intende sviluppare, attraverso Botta e le iniziative che seguiranno, si basa sul tentativo di una riappropriazione di valori estetici e umani che aiuti a ricomporre il dissidio, non sempre cosciente ma evidente e lacerante, tra l’aspirazione alla bellezza e all’armonia e la realtà di espressioni contemporanee.
L’Ente Cassa ha voluto, con questa prima iniziativa di riflessione nell’architettura, non solo promuovere e realizzare un evento di architettura contemporanea ma, legandolo al tema del sacro e seguendo il percorso creativo di Botta, esplorare anche possibili soluzioni al bisogno di spiritualità insito nell’uomo.
Le “preghiere di pietra” di Botta sono affascinanti per noi contemporanei, anche perché dall’Oriente e dall’America più profonda ci vengono oggi appelli al sacro che sarebbe stolto accantonare quali meri fenomeni di integralismo.
Questa mostra è destinata a coloro che vogliono fermarsi per meditare sui misteri cui non è consentito sfuggire. Mario Botta offre un’eccellente occasione.
ELEMENTI CARATTERISTICI DELL’ARCHITETTURA DI MARIO BOTTA
Architettura fortemente strutturale con largo uso del laterizio e di materiali lapidei (a volte abbinamento con materiali hitech)
Impiego di figure semplici. Spesso ricorre il quadrato e il cerchio con i suoi corrispettivi solidi, cubo e cilindro. Una immagine tipica di Botta: due elementi gemelli, cubi o parallelepipedi, inframezzati dal un elemento cilindrico che funge da ricettore di luce (lucernaio)
Ricerca di effetti di luce zenitale in modo però non diffuso ma mirato a disegnare all’interno determinate geometrie secondo la sensibilità dell’architetto.
30
aprile 2005
Mario Botta – Architetture del Sacro
Dal 30 aprile al 30 luglio 2005
architettura
Location
LICEO ARTISTICO STATALE PORTA ROMANA
Firenze, Piazzale Di Porta Romana, 9, (Firenze)
Firenze, Piazzale Di Porta Romana, 9, (Firenze)
Orario di apertura
Tutti i giorni dalle ore 10,00 alle ore 19,00
Vernissage
30 Aprile 2005, ore 11,30
Sito web
www.mostrabotta.it
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