Ci sono anime prigioniere nella pietra, nel legno, qui legate dall’incantesimo della metamorfosi e ammutolite per sempre in ineffabili forme.

Maurizio Catellani, operando al contrario delle antiche divinità capricciose di Ovidio, non solo va scoprendo vite intrappolate in rigide eternità, ma ne libera la loro intima sostanza, il loro canto spesso sussurrato, aereo, la loro luce guizzante come tizzone sotto la cenere.

Così facendo, cercando, levigando, accarezzando superfici prima scabre poi divenute morbide e palpitanti come carne, ne restituisce attraverso i sensi il tempo dello spirito; attraverso suggestioni astratte, sintesi liriche fa affiorare memorie indelebili, atmosfere di monti e di lune, di fiumi e di voli, d’abbracci e di varchi sull’infinito.

Proprio nello stesso luogo dove 500 anni prima Parmigianino aveva rappresentato l’arcana vicenda di Diana e Atteone, celando nella funesta trasformazione del giovane avventato anche suggestioni alchemiche, magie dell’arte, ermetismo, così Catellani novello Ermes ha rubato forme alla natura per comporle in enigmatiche sculture. Esse suggeriscono senza palesarsi interamente, dando uno scarto – quello dell’autentica arte – alla verità, lasciando spazio a chi osserva e interrogativi, anzi forse punti di sospensione oltre i quali si deve procedere.

Le sue opere pur ondeggiandoci incontro come foglie, viluppi vegetali, spiriti indomiti, s’insinuano in noi silenziose per poi risuonare insistenti come la risacca del mare, soffi di luce nella memoria. Possiedono la forza della natura, la verità dell’arte che è eco che ci accompagna, restando dentro, portando lontano.

Lo scultore–illusionista gioca tra ombra e luce, lo scultore–alchimista manipola la materia, procedendo dalla concretezza massima, dalla faticosa manualità per raffinarla in astrazioni, “levandone” l’anima, questa sì autentica pietra filosofale.

E’ così che il legno, il sasso recano le impronte dell’acqua o sfilano nella luce facendosi leggeri, imponderabili, mentre altrove suggeriscono sogni di terra, paesaggi lontani tra venature, fenditure.

Quanto è freddo, pesante, inanimato si fa caldo, lieve, vivo.

Questo è il segreto della scultura – e forse della vita - : togliere il superfluo per scoprire la forma intima, l’essenziale vibrante, come aveva compreso l’insuperabile Michelangelo, quindi i maestri più prossimi a Catellani Hans Arp, Brancusi, Moore.

Questa è la magia, dove una fine è in realtà inizio e la parabola ermetica chiude per rivelare, come nello specchio misterioso e nell’altrettanto misteriosa scritta della camera affrescata da Parmigianino: “Respice finem”.

E tutto si trasforma, in eterno.

Manuela Bartolotti


Maurizio Catellani è nato a Belluno nel 1943. Vive e lavora a Noceto (Parma). Dal 1993 ha esposto in numerose località con mostre collettive e personali. Di queste si ricordano tra le principali MIART a Milano (1994, 1995), diverse successive edizioni di ETRURIARTE a Venturina (Livorno), le personali al Centro Culturale S. Andrea di Parma, all’Atelier Branceschi a Piacenza, al Palazzo delle Orsoline a Fidenza (Pr), alla Rocca di Noceto, alla Rocca di Sala Baganza e quelle inserite nel contesto d’importanti manifestazioni come “Telethon” alla Banca Nazionale del Lavoro di Parma, “Habitalia ‘96” “Nel segno del Giglio” nella Reggia di Colorno (Pr), “Naturalia” all’interno del Mercante in Fiera di Parma e nello stand di “Le due Torri” all’ultima Fiera Antiquaria Internazionale “Gotha” di Parma (2008). Ha ricevuto numerosi premi e ha collaborato con iniziative a scopo didattico per le scuole.