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Maurizio Montagna – Albedo
Alle immagini a colori presenti in catalogo, si aggiungono in mostra una serie di scatti in bianco e nero uniti ai precedenti dal permanere della medesima qualità luminosa
Comunicato stampa
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«E’ un’epifania quella che inevitabilmente avviene di fronte a queste immagini, nelle quali gli oggetti del quotidiano, generalmente trascurati, assumono improvvisamente un aspetto del tutto inedito, affascinante come una rivelazione», scrive Francesco Zanot, curatore della mostra, riferendosi alle fotografie di Maurizio Montagna raccolte nel volume Albedo, di recente pubblicazione. E’ una selezione di queste, ampliata da alcuni inediti, a costituire il nucleo centrale della mostra che la Galleria Bel Vedere è lieta di ospitare negli spazi di Via Santa Maria Valle.
In Albedo Maurizio Montagna indaga il modo attraverso cui la luce intensa e bianchissima delle sue opere trasfigura gli oggetti e i luoghi del nostro vedere, e lo fa sfruttando in maniera autoreferenziale un’arte che letteralmente si definisce “scrittura della luce”. E’ proprio questa insostenibile luminosità che principalmente ingenera l’”epifania” di cui parla Zanot nel brano citato, stendendo su ogni cosa un velo «rassicurante e spaventoso, certamente enigmatico». Protagonista assoluta, essa rischiara scenari perlopiù caratterizzati da una totale assenza di animazione, ma disseminati delle tracce di avvenimenti indefinitamente lontani nel tempo: segni di pneumatici sull’asfalto attestano un viaggio ormai trascorso, l’ombra portata di un uomo racconta di un recentissimo attraversamento. Perché Albedo, come ogni documento fotografico, è altresì un lavoro sul passato, sulla memoria, non tanto quella universale, bensì quella intima e privata degli abitanti di questi luoghi misteriosi.
Alle immagini a colori presenti in catalogo, si aggiungono in mostra una serie di scatti in bianco e nero uniti ai precedenti dal permanere della medesima qualità luminosa. La loro presenza, oltreché una finestra sulla ricerca più recente di Montagna, costituisce una netta spaccatura nel percorso lineare dell’esposizione. Come l’assenza dei titoli delle opere a parete porta paradossalmente a riflettere sull’importanza che nella fruizione dello spettatore hanno le informazioni che essi generalmente portano con sé (data, luogo di esecuzione...), così il brusco mutamento di alcuni degli elementi fondamentali della grammatica fotografica conduce a interrogarsi sul loro specifico contenuto semantico. Affermano Montagna e Zanot in un’intervista rilasciata al periodico cinematografico duellanti: «disattendere le aspettative del mercato dell’arte, che pretende la titolazione per soddisfare le proprie esigenze di catalogazione, e quelle di un pubblico avvezzo a una fruizione affrettata e superficiale, è un modo per prolungare l’investigazione delle opere. Serve a stimolare l’atto di guardare».
In Albedo Maurizio Montagna indaga il modo attraverso cui la luce intensa e bianchissima delle sue opere trasfigura gli oggetti e i luoghi del nostro vedere, e lo fa sfruttando in maniera autoreferenziale un’arte che letteralmente si definisce “scrittura della luce”. E’ proprio questa insostenibile luminosità che principalmente ingenera l’”epifania” di cui parla Zanot nel brano citato, stendendo su ogni cosa un velo «rassicurante e spaventoso, certamente enigmatico». Protagonista assoluta, essa rischiara scenari perlopiù caratterizzati da una totale assenza di animazione, ma disseminati delle tracce di avvenimenti indefinitamente lontani nel tempo: segni di pneumatici sull’asfalto attestano un viaggio ormai trascorso, l’ombra portata di un uomo racconta di un recentissimo attraversamento. Perché Albedo, come ogni documento fotografico, è altresì un lavoro sul passato, sulla memoria, non tanto quella universale, bensì quella intima e privata degli abitanti di questi luoghi misteriosi.
Alle immagini a colori presenti in catalogo, si aggiungono in mostra una serie di scatti in bianco e nero uniti ai precedenti dal permanere della medesima qualità luminosa. La loro presenza, oltreché una finestra sulla ricerca più recente di Montagna, costituisce una netta spaccatura nel percorso lineare dell’esposizione. Come l’assenza dei titoli delle opere a parete porta paradossalmente a riflettere sull’importanza che nella fruizione dello spettatore hanno le informazioni che essi generalmente portano con sé (data, luogo di esecuzione...), così il brusco mutamento di alcuni degli elementi fondamentali della grammatica fotografica conduce a interrogarsi sul loro specifico contenuto semantico. Affermano Montagna e Zanot in un’intervista rilasciata al periodico cinematografico duellanti: «disattendere le aspettative del mercato dell’arte, che pretende la titolazione per soddisfare le proprie esigenze di catalogazione, e quelle di un pubblico avvezzo a una fruizione affrettata e superficiale, è un modo per prolungare l’investigazione delle opere. Serve a stimolare l’atto di guardare».
22
settembre 2005
Maurizio Montagna – Albedo
Dal 22 settembre al 06 novembre 2005
fotografia
Location
GALLERIA BEL VEDERE
Milano, Via Santa Maria Valle, 5, (Milano)
Milano, Via Santa Maria Valle, 5, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a domenica 13-20
Vernissage
22 Settembre 2005, ore 18-21
Autore
Curatore




