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Nedko Solakov – Dead lock stories
L’artista bulgaro Nedko Solakov interviene con “Dead lock stories” nello spazio della Galleria Continua dedicato a installazioni site specific “One year project”, che prevede la realizzazione di progetti visibili per tutta la durata dell’anno
Comunicato stampa
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Sin dai primi anni Novanta Nedko Solakov (nato a Tcherven Briag nel 1957, Bulgaria; vive a Sofia) ha partecipato a numerose esposizioni sia in Europa che negli Stati Uniti. Il suo lavoro è stato presentato a Aperto ‘93 (Biennale di Venezia); alla 48°, 49° e 50° Biennale di Venezia; alla 3° and 4° Biennale di Istanbul; a São Paulo ‘94; a Manifesta 1, Rotterdam; alla 2° and 4° Biennale di Gwangju; alla 5° Biennale di Lyon, a Sonsbeek 9, Arnhem, alla 4° and 5° Biennale di Cetinje e alla prima Biennale di Lodz. Recentemente ha avuto mostre personali al Museu do Chiado, Lisbona; De Appel, Amsterdam; CCA Kitakyushu, Giappone; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid, Israel Museum, Gerusalemme e al Centre d’Art Santa Monica, Barcelona. Nel 2003-2005 un’ampia mostra personale "A 12 1/3 (and even more) Year Survey" è stata presentata al Casino Luxembourg, Rooseum Malmoe e O.K Centrum Linz. Tra i progetti futuri: “Leftovers,” personale alla Kunsthaus di Zurigo; 7° Biennale di Sharjah, Emirati Arabi; 9° Biennale di Istanbul.
L’artista bulgaro Nedko Solakov interviene con “Dead lock stories” nello spazio della Galleria Continua dedicato a installazioni site specific “One year project”, che prevede la realizzazione di progetti visibili per tutta la durata dell’anno.
L’opera di Solakov è centrata su una riflessione variamente coniugata sul sistema dell’arte occidentale e sui suoi attori che esamina e mette in discussione. Un continuo ed ironico interrogarsi sull’arte ed il suo linguaggio, ma anche sui meccanismi che ne regolano l’espressione, emerge in ogni suo lavoro.L’artista realizza le sue opere utilizzando la pittura, il disegno, la performance e la scultura, ma l’elemento comune a tutti i suoi lavori è una corrosiva ironia, uno sguardo acuto e divertito che sembra sempre scrutare lo spettatore e le sue reazioni.
Nel celebre “A life (black and white)” presentato anche in occasione della Biennale di Venezia nel 2001, due imbianchini dipingono ininterrottamente le pareti di una sala, uno usando il colore bianco e l’altro il nero, l'uno ricoprendo e quindi cancellando ciò che l'altro ha in precedenza tinteggiato. Lo spettatore diventa così partecipe di una situazione paradossale in cui non solo il contesto istituzionale dell'arte, ma lo stesso senso dell'agire umano viene messo in discussione.
Nel 2001 con “A (not so) White Cube”, 2001 intervento realizzato al P.S.1 di New York, Solakov dà inizio ad una serie di progetti in cui l’artista sembra non avvertire più il bisogno di avere un oggetto-opera nella stanza: il pubblico si trovava in uno spazio espositivo apparentemente vuoto, ma ad uno sguardo più attento sui muri si notavano piccoli disegni, rapidi commenti sulla natura architettonica dello spazio stesso e i dettagli architettonici, fili elettrici, prese della luce sembravano prendere vita, grazie a commenti arguti scritti dall'artista. Lo spettatore si trovava in uno spazio apparentemente vuoto, che soltanto ad un esame più approfondito rivelava le molteplici tracce dell’artista. Le annotazioni di Solakov accentuano le imperfezioni dei muri, le tracce di interventi precedenti e le caratteristiche del luogo collegate alla sua natura di spazio espositivo. Questi segni, che sono divenuti distintivi dell’opera di Solakov, costituiscono una mappatura che cerca di spiegare la reale natura dello spazio. Alcune di questi sono commenti immediati sullo spazio, mentre altri invece sono indicazioni perentorie che direzionano lo sguardo dello spettatore, come a voler sottolineare la specificità del luogo espositivo che, come tale, tende a guidare e condizionare la percezione. Lo scopo di un intervento come questo sembra essere la costruzione di una sorpresa percettiva, un voler affermare quanto possa essere pieno uno spazio vuoto.
L’intervento “Dead lock stories” realizzato per gli spazi della Galleria Continua, si pone sulla scia di questo primo intervento al P.S.1. Entrando nello spazio, che questa volta non è il puro white cube modernista, ma un ambiente piuttosto complesso, costituito da un dedalo di piccole stanze che, per questa occasione, recano ancora le tracce di un’installazione precedente e che hanno l’aspetto di ambiente in ristrutturazione. L’intervento dell’artista si colloca proprio in questa imperfezione dello spazio, sottolineandone gli elementi architettonici costituitivi. Lo spazio espositivo si va così popolando di minuscole creature che agiscono delicatissime storie, narrazioni surreali nascoste negli interstizi dei muri, sui pavimenti in restauro e sul soffitto. Le imperfezioni dei muri diventano pretesti per brevi storie che si susseguono, alcune si nascondono, altre sembrano balzare fuori, ansiose di essere lette. Tutte storie che alla fine della mostra scompariranno per riapparire in altri white cubes, spogli della propria aura, fino a che il rito dell’arte non torna a consumarsi.
Ancora una volta l’artista trasforma l'azione passiva del vedere in partecipazione attiva, svelando in realtà come il white cube incarni solo un’utopia illusoria e irrealizzabile. E il comportamento dello spettatore diventa l’oggetto del suo interesse, che sembra volerne cogliere le reazioni emotive, i movimenti e gli sforzi per riuscire a leggere piccole storie, che più che offrirsi sembrano fuggire la percezione, andando così a completare l’intervento dell’artista.
Le immagini delicate e poetiche e l'ironia delle brevi storie, che sembrano racchiudere in sé il nostro vivere quotidiano, interrogano in modo sottile l'autorità costituita, la percezione e la stessa esistenza umana.
L’artista bulgaro Nedko Solakov interviene con “Dead lock stories” nello spazio della Galleria Continua dedicato a installazioni site specific “One year project”, che prevede la realizzazione di progetti visibili per tutta la durata dell’anno.
L’opera di Solakov è centrata su una riflessione variamente coniugata sul sistema dell’arte occidentale e sui suoi attori che esamina e mette in discussione. Un continuo ed ironico interrogarsi sull’arte ed il suo linguaggio, ma anche sui meccanismi che ne regolano l’espressione, emerge in ogni suo lavoro.L’artista realizza le sue opere utilizzando la pittura, il disegno, la performance e la scultura, ma l’elemento comune a tutti i suoi lavori è una corrosiva ironia, uno sguardo acuto e divertito che sembra sempre scrutare lo spettatore e le sue reazioni.
Nel celebre “A life (black and white)” presentato anche in occasione della Biennale di Venezia nel 2001, due imbianchini dipingono ininterrottamente le pareti di una sala, uno usando il colore bianco e l’altro il nero, l'uno ricoprendo e quindi cancellando ciò che l'altro ha in precedenza tinteggiato. Lo spettatore diventa così partecipe di una situazione paradossale in cui non solo il contesto istituzionale dell'arte, ma lo stesso senso dell'agire umano viene messo in discussione.
Nel 2001 con “A (not so) White Cube”, 2001 intervento realizzato al P.S.1 di New York, Solakov dà inizio ad una serie di progetti in cui l’artista sembra non avvertire più il bisogno di avere un oggetto-opera nella stanza: il pubblico si trovava in uno spazio espositivo apparentemente vuoto, ma ad uno sguardo più attento sui muri si notavano piccoli disegni, rapidi commenti sulla natura architettonica dello spazio stesso e i dettagli architettonici, fili elettrici, prese della luce sembravano prendere vita, grazie a commenti arguti scritti dall'artista. Lo spettatore si trovava in uno spazio apparentemente vuoto, che soltanto ad un esame più approfondito rivelava le molteplici tracce dell’artista. Le annotazioni di Solakov accentuano le imperfezioni dei muri, le tracce di interventi precedenti e le caratteristiche del luogo collegate alla sua natura di spazio espositivo. Questi segni, che sono divenuti distintivi dell’opera di Solakov, costituiscono una mappatura che cerca di spiegare la reale natura dello spazio. Alcune di questi sono commenti immediati sullo spazio, mentre altri invece sono indicazioni perentorie che direzionano lo sguardo dello spettatore, come a voler sottolineare la specificità del luogo espositivo che, come tale, tende a guidare e condizionare la percezione. Lo scopo di un intervento come questo sembra essere la costruzione di una sorpresa percettiva, un voler affermare quanto possa essere pieno uno spazio vuoto.
L’intervento “Dead lock stories” realizzato per gli spazi della Galleria Continua, si pone sulla scia di questo primo intervento al P.S.1. Entrando nello spazio, che questa volta non è il puro white cube modernista, ma un ambiente piuttosto complesso, costituito da un dedalo di piccole stanze che, per questa occasione, recano ancora le tracce di un’installazione precedente e che hanno l’aspetto di ambiente in ristrutturazione. L’intervento dell’artista si colloca proprio in questa imperfezione dello spazio, sottolineandone gli elementi architettonici costituitivi. Lo spazio espositivo si va così popolando di minuscole creature che agiscono delicatissime storie, narrazioni surreali nascoste negli interstizi dei muri, sui pavimenti in restauro e sul soffitto. Le imperfezioni dei muri diventano pretesti per brevi storie che si susseguono, alcune si nascondono, altre sembrano balzare fuori, ansiose di essere lette. Tutte storie che alla fine della mostra scompariranno per riapparire in altri white cubes, spogli della propria aura, fino a che il rito dell’arte non torna a consumarsi.
Ancora una volta l’artista trasforma l'azione passiva del vedere in partecipazione attiva, svelando in realtà come il white cube incarni solo un’utopia illusoria e irrealizzabile. E il comportamento dello spettatore diventa l’oggetto del suo interesse, che sembra volerne cogliere le reazioni emotive, i movimenti e gli sforzi per riuscire a leggere piccole storie, che più che offrirsi sembrano fuggire la percezione, andando così a completare l’intervento dell’artista.
Le immagini delicate e poetiche e l'ironia delle brevi storie, che sembrano racchiudere in sé il nostro vivere quotidiano, interrogano in modo sottile l'autorità costituita, la percezione e la stessa esistenza umana.
23
aprile 2005
Nedko Solakov – Dead lock stories
Dal 23 aprile 2005 al 23 aprile 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA CONTINUA
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 14-19
Vernissage
23 Aprile 2005, ore 18
Autore




