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Ogata – Genesi

Per Ogata l’acqua e i segni dell’acqua, la goccia sono stati sempre simboli della vita, della vita che scaturisce, scorre, scava il suo cammino, rigenera goccia dopo goccia, così come la sua mancanza è simbolo di morte.

Comunicato stampa  
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10 febbraio 2018

Ogata – Genesi

Dal 10 febbraio all'otto marzo 2018
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA ARIANNA SARTORI
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Biglietti
dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso festivi
Orario di apertura
Dal 10 febbraio all’8 marzo 2018 la Galleria Arianna Sartori di Mantova nella sede di Via Ippolito Nievo 10, ospiterà la mostra “Genesi” dell’artista giapponese Ogata, e per l’occasione saranno esposte sculture e dipinti. L’inaugurazione della mostra si svolgerà Sabato 10 febbraio alle ore 17.00 alla presenza del Maestro. OGATA La goccia, sorgente di vita Uno dei segni che più caratterizzano il nostro pianeta, la terra, è l’acqua, quella degli oceani, dei mari, dei laghi, dei fiumi. Alla presenza dell’acqua si collega l’origine della vita. Nella ricerca di mondi paralleli, di forme di vita passata, presente, o possibile, per prima cosa si cerca l’acqua. L’acqua, dunque, è sorgente di vita, ed è elemento necessario per la continuità della vita, sia nella dimensione planetaria sia nella dimen-sione dei grandi e piccoli nuclei sociali, anche dove l’importanza del fiume, della roggia, del fossato sembra essere stata smarrita o addirittura cancellata. Anzi, proprio lì si avvertono i maggiori disagi, la perdita più grave di ‘segno’ del territorio, di strumento di irrigazione e fecondazione, di bene necessario alla sopravvi-venza, a contrastare la desertificazione, bene da non sprecare come si è fatto sinora e da distribuire con equità. I problemi dell’approvviggionamento idrico sono da noi emersi in tempi recenti (da noi in Europa e nelle Americhe soprattutto), Ma ci sono aree che da sempre lottano contro la scarsità e contro la pro-gressiva desertificazione (non solo aree sahariane e sub sahariane dell’Africa, ma anche in Europa, in America, in Asia, in Australia e nelle città si parla già da tempo di razionamenti, di limitazioni d’uso. Yoshin Ogata è sempre più consapevole di queste condizioni, ma la sua scelta dell’acqua e della goccia come tema costante ed emblema del suo operare risale a molto tempo prima della denuncia del disgelo dei poli, delle siccità sempre più frequenti ed estese nel tempo e nello spazio. Per Ogata l’acqua e i segni dell’acqua, la goccia sono stati sempre simboli della vita, della vita che scaturisce, scorre, scava il suo cam-mino, rigenera goccia dopo goccia, così come la sua mancanza è simbolo di morte. Ed è proprio la goccia, molto spesso rappresentata scolpita da Yoshin, a porsi come avvio di una lettura che fa delle sue opere, di piccole e grandi dimensioni, delle installazioni che animano e coinvolgono l’ambiente circostante più che delle semplici sculture, perché la goccia incombente subito ci dà immediata percezione temporale, di con-tinuità e di trasformazione in atto. Non solo, ma concorre a formare con il resto della scultura una sorta di speciale calligramma, proprio di Ogata, o, più semplicemente un ‘cangi’, la parte di una parola, prefisso o suffisso che interviene a dare il significato preciso dell’ideogramma. Così, l’insistenza di Ogata sulle forme d’acqua non ha il senso di particolare iterazione, di studio insistito, bensì di variante di scrittura, di emble-ma sillabico, ‘cangi’ appunto, che procede poi per direzioni multiple, polisenso, in scorrimenti linguistici, formali, plastici, poetici, nell’espandersi dei cerchi concentrici, nel movimentarsi e modularsi dei marmi come segni, percorsi, fontane, semplice sgocciolio, caduta. La goccia incombente è frequente nelle opere di Ogata, modellata in modo da dare il senso del peso dell’acqua, che si raccoglie e si gonfia sensualmente nella parte bassa , e della preziosità della stilla, che si empie di energia, e della sua capacità trasformazionale in relazione con la materia, ma, naturalmente anche con l’umano di cui diventa metafora di interiorità e di corporeità in continuo mutamento, continuamente scalfita e nutrita. Nella cultura orientale, si sa, la perdita di peso e di materia corrisponde a un processo di purificazione, di semplificazione positiva, di spiritualizzazione; in occidente, invece, è il processo di acqui-sizione a essere positivo arricchimento con tutte le manipolazioni di rifinitura necessarie. Così, per Ogata, la goccia interviene come elemento di purificazione della natura, e della materia che tocca, su cui scivola, da cui sgorga, in un ricercato rapporto armonioso, ora ritmico, per caduta, ora melodica, in andamenti si-nuosi, che riflettono certamente dati e suggestioni di matrice naturalistica ma portati a dimensione di sim-boli poetici, di memoria archetipica e non di rado totemica, che interpreta i movimenti della psiche, mani-festarsi di energia spirituale in movimento verso una luce di conoscenza, verso ‘mandala’ di disciplina e di illuminazione estetica ed etica. Il dialogo di Ogata con l’acqua dura ormai da oltre trent’anni e si è espresso in una gamma ricchissima di marmi, di graniti, di pietre, scelti per texture o per il colore adatto a una visione d’ambiente, rarissimamen-te per la scultura come oggetto in sé. La scultura di Ogata ha bisogno del vuoto attorno e del diretto rap-porto con l’ambiente, piccola o grande che sia. Ed è proprio per questa esigenza che si deve considerare l’evento plastico una materializzazione dello spazio stesso, dando alle opere un particolare valore installati-vo, di progetto decorativo, urbano e non, o di segnale, riferimento ambientale o linguistico che in qualche modo ‘misura’, qualifica, ‘responsabilizza’ lo spazio esistenziale, lo spazio di relazione e quello intimo, di gestione personale e più confidenziale, lì dove convergono sensi esterni e sensi interni, conoscenza, cultura recente e cultura profonda, aspirazioni. La sorgente, la fontana, la stilla gonfia sono sempre elementi che danno voci alla natura naturans, origine del giardino fiorito, del giardino come mandala, luogo di meditazione e di riflessione profonda (come l’acqua riflette il cielo), del dilatarsi di tempo e spazio in una dimensione ‘fuori storia’ di particolare sensi-bilità. Le sculture d’acqua, le ‘forme d’acqua’ di Ogata ‘fioriscono’ letteralmente (e non a caso prendono spesso il titolo di ‘Fior di Loto’ o ‘ Immagine di Loto’, paesaggi intimi, perlustrazioni che attraversano le soglie, le ‘porte sacre’ dei sensi, per tuffarsi nel grande oceano della conoscenza mutevole, della percezione di sé e del mondo. La goccia rende dinamiche la contemplazione e la rappresentazione di Ogata, che sente la vita e il pensiero come flusso continuo di energia, carica inesausta sempre in bilico tra passato (remoto e vicino) e futuro prossimo e lontano, figura gravida degli elementi di memoria e di attesa. La goccia, lo scorrere dell’acqua, la sua caduta, il suo scorrere sono sempre metafore della vita e del senso effimero e caduco dell’essere entro il grande flusso metamorfico dell’energia, del flusso cosmico, universale. La goccia è insieme l’emblema e il pretesto di Ogata per rappresentare i movimenti ed esprimere le vita in tutti i suoi stati e movimenti metamorfici e transmorfici, di germinazione e di purificazione, di implicazio-ni emotive e concettuali, che, come dicevo, portano la scultura a essere modulazione plastica dello spazio e nello spazio, avvio di parola, di racconto, materia che si fa parola, immagine e ‘gangi’ o compiuto calli-gramma polisenso. E’ evidente che Ogata mira con le opere maggiori, ma anche con quelle di minore grandezza, a disegnare e a ‘comprendere’, catturare lo spazio, a dargli forma comunicativa e al tempo stesso architettonica, di un’archtettura che muove dall’intimo e si proietta fluida, con le movenze suggerite dall’acqua, a essere mi-sura e forma del paesaggio, nota , connotazione, anche in senso strettamente musicale, del paesaggio, figu-ra ritmica, ora in orizzontale ora in verticale che incide in modo rilevante sull’ambiente, nel rapporto dell’uomo con l’ambiente, con la natura naturans e con la preponderante natura artificiale. Ogata, quindi, si è liberato dall’iniziale e fondamentale debito naturalistico e ha riportato tutta l’esperienza a livello mentale, concettuale (mindscapes), a paesaggio tutto interiore, simbolico, psicologico, filosofico ed etico, e le sue sequenze plastiche diventano momenti necessari ed esigenti di una disciplina conoscitiva che si sviluppa e si allarga per gradi da una stessa origine, da una stessa idea, la goccia origine di vita, di tra-sformazione, di crescita, ed esigenti anche una autentica partecipazione sul piano del sentimento esisten-ziale e delle idee, della progettualità costante, quotidiana, che deve qualificare e continuare, animare il lavo-ro, gli interventi dell’artista. Allora anche le sue opere di maggiori dimensioni sfuggono a qualsiasi monu-mentalità retorica e passatista, di occupazione abusiva dello spazio di vita, di relazione, di riflessione am-bientale (come accade a tanta scultura contemporanea scioccamente definita di arredo urbano) e si affer-mano, piuttosto, come segnali, impronte, tracce di percorsi conoscitivi, di illuminazione sensitiva e concet-tuale, utili indicazioni e importanti riferimenti di meditazione, di sosta, di quiete, di ascolto interiore e di raffinamento dello sguardo sulla natura. Con grande capacità e originalità inventiva, Ogata realizza opere che esaltano i movimenti dell’acqua, sot-tolineando soprattutto la caduta della goccia, una goccia che non di rado incombe sulla materia, che pren-de forma, diventa impronta, disegna tracce, percorsi verticali od orizzontali, scie, cadute o scorrimenti: come elemento che coniuga cielo e terra, potente, inarrestabile energia primaria che cresce la vita, modifica terra e pietre, marmi e graniti, proponendosi come emblema dell’energia che modella le forme e rende fer-tile la terra (la sequenza di ‘Loto’ come metafora dei fiori e delle piante che l’acqua nutre) e come emblema dello scorrere, e dunque del tempo che passa, del mutare delle cose, delle metamorfosi, delle transmorfosi che l’acqua produce. ‘Tutto scorre’ sembra ripetere Ogata facendo il verso al panta rei di Eraclito, ma più correttamente sottolineando un concetto della filosofia orientale, dello Shintoismo e del Confucianesimo che avvertono tutto in chiave di energia che continuamente si elabora e si rinnova e appare alla conoscen-za come limitata illuminazione della mente, satori, o lirica modulazione del sentimento, haiku. E’ proprio la forma della goccia, per lo più incombente sulla materia, con il suo peso interno che la tende rigonfia verso il basso a dare immediatamente il senso simbolico e fisico di un movimento e, altre volte, di una muta-zione e di una fertile rigenerazione in atto: l’acqua e la pietra, due elementi primari in costante dialogo formativo e simboli della visione del mondo di Ogata, emblemi delle energie della natura e della sua disponibilità dinamica e potenzialità rigenerante. Le mostre di Yoshin Ogata si traducono in inno alla vita, ad altari celebrativi di semplici rituali connessi , a una riscoperta dell’acqua come universale nutrimento e delle vie d’acqua come vie di comunicazione, fisi-ca, culturale, che uniscono il Mediterraneo al Mar del Giappone, e come origini delle forme, piccoli e grandi elementi di ‘paesaggio’ che allargano e acuiscono le nostre capacità percettive sia in rapporto allo spazio-ambiente che alle qualità delle materie. Yoshin ha trattato le più diverse tipologie di marmi, pietre e graniti, in ogni parte del mondo, perché convinto che anche le radici di un marmo, di un granito, di una pietra affondano nella cultura di un popolo, nei ritmi più fondi della sua visione, della sua tattilità, dei suoi paesaggi e dei colori che più sente ed ama. E non c’è ripetitività, nonostante il ciclo sia ormai particolar-mente lungo, ricco e articolato, con sequenze preziose per rarità di marmi e difficoltà di esecuzione e dei trattamenti con cui Ogata sapientemente esalta texture, grana, elasticità. qualità cromatiche e potenzialità costruttive ed architettoniche delle materie. Non poche sculture si fondono al paesaggio come strutture architettoniche, come segnali costruttivi più che ornamenti estetici, come, già dal 1977, Dialogo, in grani-to rosso persiano, il Dialogo in purissimo marmo di Carrara del 1978, Volo d’acqua in statuario del 1980, la splendida Impronta in nero del Belgio del 1982, le Immagini di Loto dei primi anni Novanta, la Forma d’acqua 10° in travertino rosso persiano, la sequenza di piccole e grandi Forme, Vie, e Im-pronte d’acqua verticali a scorrimento singolo, binario e a tre elementi ( Le vie dell’acqua del 2003, rea-lizzata in granito grigio cinese, alta m 10,25x4x1,4), le suggestive Porta sacra in nero del Belgio del 1995, la Porta rossa, in rosso Laguna del 1988 e l’affascinante stilizzazione della Porta sacra del 1999, il pae-saggio mosso di Goccia della roccia, in materiali vari, del 1998, e Raggi di sole in marmo rosso iraniano del 2002, lo splendido Loto in marmo rosa del Portogallo, del 2003. vari allestimenti di fontane che con-fermano come l’acqua che scorre sia per Ogata riferimento costante. Le cromie e le venature dei marmi non preoccupano l’artista che, anzi, le rende parte del dialogo e del racconto simbolico, decorazione del simbolo. Il senso dello spazio animato dalla caduta incombente della goccia e dall’anticipazione mentale dei suoi effetti, dei differenti tipi di impronte, tracce, movimenti che creerà, la percezione della disponibili-tà dell’acqua ad assumere qualsiasi forma, della sua tenacia a incidere, scavare, creare percorsi diversi, on-dulazioni circolari, a pentrare nel cuore della terra a svegliarne gli umori (da Forma d’acqua 7 del 1994 all’imponente Sole fiammeggiante del 1995-1996 in travertino rosso persiano, dall’Immagine di Loto 12 del 1965 alla Forma d’acqua 24, in statuario di Carrara, dalla Forme d’acqua 48 e 47, nell’affascinante travertino rosso persiano del 2004 e nella sequenza di opere di grandi dimensioni con i cerchi d’acqua, gli scorrimenti, l’abbondante fluire, l’emblema della Rinascita, 2006, come luce e goccia di fertilità, fino al suggestivo, recentissimo (2007) movimento di Impronta d’Acqua CS 207, in travertino persiano lasciato opaco. Il titolo prevalente, Forma d’acqua, che negli anni recenti diventerà più spesso ‘Mindscape’, Paesaggio mentale, sottolinea inequivocabilmente l’aspetto dinamico della forma pensata e modulata da Ogata come simbolo e memento di ricchezza germinale di una natura inesausta di trasformare, di espandersi, di dilatar-si, di modificarsi in virtù dell’acqua: metafora dell’uomo, del suo mondo psichico e spirituale, dei suoi spa-zi interiori che sanno farsi più ampi di quelli esterni, goccia dopo goccia di esperienza, di conoscenza, di consapevolezza, in perfetta armonia con la natura nella natura. Intendo dire che le opere di Ogata rispon-dono alla necessità di un dinamismo insieme ‘esistenziale’e spirituale che impregna la matericità e la ge-stualità operativa: da un lato individua una nuova modalità di concepire l’unità plastica di ‘base’, il fram-mento, il particolare, la goccia che diviene forma stabile e geometrica, elemento linguistico, sintattico, dall’altro verte alla realizzazione di una scultura che sappia farsi “continuum” spaziale, diventare spazio illi-mitato di riflessione. L’opera così è una presenza ‘integrale’ ed ‘integrata’ nella quale gli equilibri interni come la capacità di aderire al vuoto interno e al vuoto circostante sembrano sanciti in eguale misura dall’ordine naturale che le fonda ’acqua, la goccia), e dall’ordine mentale che le ha ‘immaginate’ nuovamen-te riconducendo la pratica creativa alle sue matrici primarie. Ogata si lascia guidare dalla tensione empatica per una materia, il marmo, che lavorato secondo una precisa volontà progettuale, fa del carattere ambiguo e plurisignificante, polisenso, della vibrazione energetica e fenomenologia che l’attraversa, il punto focale del suo rinnovato ‘essere’ al mondo, e l’opera si offre come spazio sospeso, è traccia dinamica di un ‘agi-re’, che è un ‘sentire’, e viceversa. Giorgio Segato Yoshin Ogata nasce a Miyakonojo (Giappone), nel 1948. Espone le sue prime sculture nel 1969, presso il Shinseisaku-Kyoukai di Tokyo e nel 1970 si trasferisce a Londra dove studia al British Museum. Dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa decide di recarsi negli Stati Uniti e in Messico. Nel 1971 arriva in Italia, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera. Da Milano si trasferisce a Firenze, Roma e poi Carrara. Vive e lavora a Lerici (Sp) e Wakayama (Giappone). Mostre personali recenti: 2000 - Salone di Consolato Generale del Giappone, Milano. 2001 - Mostra antologica al Museo Municipale di Miyakonojo (Giappone). 2004 - Istituto Rumeno Cultura e Ricerca Umanistica, a cura di Claudio Giu-melli, Palazzo Correr, Venezia. 2005 - La Galerie de la Cathedrale, Fribourg (Svizzera). Belle Usine, Fully (Svizzera) Museo Crocetti, Roma. 2006 - Galerie Joan Planellas, Tossa de Mar (Spagna). 2007 - Abbazia di Rosazzo Manzano (Ud). Colussa Galleria d’Arte, Udine. 2009 - Parco Oscar e Centro storico di Padova con le opere monumentale, Galleria Anna Breda (Pd). 2010 - “Forme nel verde sulla Francigena in Val d’Orcia”, San Quirico d’Orcia, Bagno Vignoni, Rocca d’Orcia, Radicofani. 2012 - Gallery JUEN, Wakaya-ma (Giappone), Akasaka YU Gallery, Tokyo (Giappone). 2013 - Shimada Gallery, Kobe (Giappone). Mu-seum of Arts “Geam MAT”, Timisoara (Romania). Libreria Bocca, Milano. 2014 - Galerie Monika Beck, Homburg/Saar (Germania). 2015 - Galerie Simoncini, Luxembourg. 2016 - Castello di Lerici (Sp). Lavori eseguiti su committenza recenti: 2000 - Aeroporto di Miyazaki, scultura monumentale “Il Sole”, Città di Miyazaki (Giappone). 1999/2000 - Takagibaru Walking Road, scultura-fontana, “Vie dell’Acqua”, h. m. 5x8x100, Miyakonojo (Giappone). 2005 - Miyanomori Museo d’Arte, scultura monumentale “DUO”, h. m. 2,8x1x23, granito rosso e nero, Sapporo (Giappone). 2005 - Chiesa S. Maria di Costantinopoli, realizza Altare, Ambone, Tabernacolo, Battistero, Se-dia celebrante, Acquasantiera, Cereo pasquale, in marmo bianco di Carrara, Angri (Sa). 2007 - Coral Springs Museum of Art “Mindscape”, h. m. 3, Florida (USA). 2011 - Tsinghua University “Spiritual Water”, Pechino (Cina). 2013 - Crystal Lake Park “Canto d’Acqua”, Macclesfield (Australia). 2014 - “Rising Sun”, Tour du Pin (Francia). “Felice volo”, Aeroporto A. Canova di Treviso/Venezia. 2015 - “Tempo e Spazio Infinito”, BenQ foundation, Taiwan. 2016 - “Sunshine”, Adelaide Hill (Australia). Scultura “Love” Chayi city (Tai-wan). “Limitless Union” Izmir (Turchia). 2017 - Work “Mediterranea”, Hammamet (Tunisia). “Water Mark”, Differdange (Lussemburgo).
Vernissage
10 Febbraio 2018, ore 17.00
Autore
Curatore

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