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Pier Giorgio Bar
Mostra personale
Comunicato stampa
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Oltre, apparizioni fantasmatiche
La tenebra è una fertile parentesi di tempo senza tempo. Scevra, se glielo consentiamo, dalla comune scansione in secondi, minuti, ore. Per l’artista, da vivere in solitudine. Unicamente con se stesso ed i fantasmi che si contorcono nella sua mente. Un buco nero che risucchia prepotentemente, irresistibilmente, ma che al mattino riduce i suoi campi magnetici e lascia sgattaiolare via il creativo che tutta notte ha prodotto febbrilmente. Accecato da visioni. Egoista, ispirato, affamato.
All’alba, quasi in sordina, egli riemerge da una pozzanghera di pece disegnata come in un fumetto su un suolo di cemento, con gli occhi arrossati, le mani ancora tremanti d’azione, forse -talvolta- con un lieve e recondito senso di colpa rivolto al mondo di unioni e di affetti che gli gravita attorno, in procinto di risvegliarsi. Estraneo, suo malgrado, alle sue pulsioni più intime. Ai bisogni interiori che si agitano e sbattono tra loro, come ali di pipistrello all’interno della sua cassa toracica.
Queste sono le notti magiche, stregate e feconde che Pier Giorgio Bar ha vissuto, dopo la recente morte dell’amato, contrastato, rimpianto padre, dipingendo senza sosta, concitatamente, aggressivamente, non avvertendo la stanchezza e non accorgendosi dell’implacabile srotolarsi e dilatarsi della spirale temporale. Come avrebbe voluto fare da adolescente, travolto dalle più ferventi stimolazioni. Da un’inalienabile e genuina necessità di espressione, comunicazione, trasmutazione e traduzione della realtà.
Oggi, dopo il crepuscolo, unici compagni il silenzio e l’irrefrenabile, imperante vigoria compositiva, più forti di tutto: del dubbio e della paura, dell’amore, dei vincoli materiali, della dipendenza emotiva. Oppure alimentati da ognuno di questi fattori primari insieme, amalgamati in un vortice pulsante senza pari.
Tra i suoi dipinti del passato, tesoro perduto, più di un centinaio sono andati distrutti durante l’alluvione piemontese del 2000. Dunque rimangono ora, a beneficio del pubblico e dell’autore stesso, i suoi lavori più recenti, tutti eseguiti con estrema prolificità tra il 2008 e l’inizio del 2009. Proprio in un periodo dove il frenetico e smanioso impulso creativo si traduce, spontaneamente e per contro, in ricerca di quiete, di equilibrio. Di un balsamo lenitivo per massaggiare le ferite ancora aperte, come profonde fenditure nella carne e nell’anima.
Dedizione, concentrazione e rapimento nutrono un intento salvifico più o meno consapevole, danno vita ad un processo di spurgo del dolore e del disagio, del veleno ristagnante fin dentro le ossa. Così i nodi si sciolgono, adagio. I nervi contratti si distendono un poco, portano la mano a dar voce e forma ad echi interiori reconditi. Le tensioni si allentano, l’energia purificata si cristallizza e si deposita sul supporto bianco in veste di ingrediente pittorico, pigmento, colore rappreso. La nebulosità temporale si rischiara, diventa più nitida e tante piccole finestre si aprono attraverso le tele non più vergini. Si spalancano repentinamente, talora, guardando oltre, altrove, soprattutto lontano nell’ostico trascorso o verso un futuro incerto di desideri e aspettative.
Una peculiarità di Pier Giorgio Bar che è difficile non cogliere immediatamente è l’insolita versatilità tematica e stilistica, tanto che i singoli cicli di opere paiono eseguiti da autori differenti. Istrionico, colto, riflessivo, arguto ed ironico, realizza contemporaneamente essenziali ed emblematici paesaggi metropolitani (Skycrapers), composizioni geometriche e segniche dalla matericità prorompente, alcune prodotte unicamente con l’uso delle dita (Abstracts; Gold Passions), seduttivi astrattismi sfumati, dalle atmosfere vagamente infernali (Red & Black).
Perciò, incroci di saette e spine si accostano ad ingranaggi in lento e scricchiolante movimento, sfere sospese a grattacieli compattati, corpi di donna -resi irriconoscibili da mirabili scomposizioni- a curve e linee d’oro rappresentanti percorsi di vita e di pensiero.
Nonostante la sorprendente varietà di tecniche e soggetti, nell’opera di Bar sono facilmente ravvisabili molteplici punti in comune, invisibilmente legati da un unico filo conduttore: l’analisi degli odierni meccanismi sociali, ormai innescati con un’inarrestabile reazione a catena, unitamente ad una sentita e sagace riflessione sulla condizione umana in toto, sebbene quasi mai la presenza dell’uomo sia palesata per mezzo della figurazione.
In ogni artefatto, tralasciando le dovute e lecite differenze, vi sono un tratto incisivo e pregnante (Palle con cerchi, del 2008, che in qualche modo riporta ad un intenso capolavoro del 1956 -Paysage Incandescent- di uno tra i componenti del celebre Gruppo Cobra, Corneille), un sapiente utilizzo degli accostamenti cromatici, sbavature e striature di colore, assembramenti, una frequente saturazione degli spazi mediante elementi geometrici, solo in alcuni casi in contrasto con la sorprendente leggerezza e delicatezza di rari lavori che discretamente ricordano alcune rarefatte armonie di Minjung Kim, artista coreana da molti anni apprezzata in Italia (Palle con spine, 2008).
Ma in effetti, a ben guardare, come fosse un fascinoso seppur inquietante leitmotiv, si scopre presto un altro elemento ricorrente, presente in circa una ventina di tele, sia tra gli astratti che fra i figurativi dedicati ai grattacieli urbani. Si tratta di entità fantasmatiche che, spontaneamente e con successivo stupore dell’autore, si materializzano durante la stesura del colore, la marcatura di certi tratti, la dissolvenza di alcune campiture cromatiche. Come esseri ingovernabili ed autonomi, emersi da altre dimensioni, da spaccature temporali o da meandri misteriosi, si manifestano all’occhio umano quando questo si allontana per ottenere una visione d’insieme dell’opera compiuta. Spettri impalpabili, luminescenze lattescenti oblunghe, volti esangui ombreggiati – dagli occhi neri e profondi, dai lineamenti amorfi. Finalmente si liberano e si palesano i dolori, i dubbi, i rimorsi, le antiche paure.
Un nucleo assai nutrito di lavori di Pier Giorgio Bar, tra i più significativi, comprende scorci metropolitani stipati di imponenti grattacieli, ora paradossalmente raffigurati quasi come fossero fragili parallelepipedi di cartone, ora quali edifici monumentali di una bellezza ammaliante (si osservino i pezzi dedicati alla città di Mosca).
Il grattacielo: simbolo fallico per eccellenza, ma anche emblema di potere economico e comunitario. C’è la vita in quelle torri di cemento, sebbene sembrino silenti e l’obbiettivo del pittore non fotografa quasi nulla di ciò che hanno intorno. Al loro interno c’è il brulicare e il vociare di chi tira i fili di migliaia di marionette, il loro fermento, le macchinazioni bisbigliate. In sottofondo, il rumore di computer e stampanti che sputano a fiotti relazioni programmatiche. E’ il mondo dei potenti, di chi non si cura di ciò che accade fuori, di chi non vede ad un palmo dal suo naso, di chi cerca senza ritegno di eludere ogni disagio e aberrazione sociale.
E l’universo della gente comune -come fosse trasparente- neppure si vede, non vi è alcun accenno ad esso -una figura umana, una sagoma proiettata-, anche se è indubbio che scorra come un fiume vermiglio ai margini delle strade, sui marciapiedi, sostando ai semafori, percorrendo mestamente un tragitto uguale giorno dopo giorno.
Il colore rosso, vibrante ed intenso, assume una valenza sostanziale nei più recenti scenari di Pier Giorgio, realizzati nelle prime decadi del 2009. Qui, ai piedi delle consuete costruzioni svettanti avvolte da una pesante aura di inquietudine, in pieno contrasto architettonico, sono collocati ampi anfiteatri come scrigni contenenti ogni sorta di sofferenza percepibile. Le strutture delle arene, dove in antichità gli uomini lottavano per la vita, sono intrise di sangue che sembra non coagularsi mai, metafora del dolore più estremo. Sullo sfondo, i grattacieli si ergono verso l’etere, inutili obelischi innalzati per osannare la forza di infami combattenti privi di meritata gloria.
Sonia Gallesio, marzo 2009
La tenebra è una fertile parentesi di tempo senza tempo. Scevra, se glielo consentiamo, dalla comune scansione in secondi, minuti, ore. Per l’artista, da vivere in solitudine. Unicamente con se stesso ed i fantasmi che si contorcono nella sua mente. Un buco nero che risucchia prepotentemente, irresistibilmente, ma che al mattino riduce i suoi campi magnetici e lascia sgattaiolare via il creativo che tutta notte ha prodotto febbrilmente. Accecato da visioni. Egoista, ispirato, affamato.
All’alba, quasi in sordina, egli riemerge da una pozzanghera di pece disegnata come in un fumetto su un suolo di cemento, con gli occhi arrossati, le mani ancora tremanti d’azione, forse -talvolta- con un lieve e recondito senso di colpa rivolto al mondo di unioni e di affetti che gli gravita attorno, in procinto di risvegliarsi. Estraneo, suo malgrado, alle sue pulsioni più intime. Ai bisogni interiori che si agitano e sbattono tra loro, come ali di pipistrello all’interno della sua cassa toracica.
Queste sono le notti magiche, stregate e feconde che Pier Giorgio Bar ha vissuto, dopo la recente morte dell’amato, contrastato, rimpianto padre, dipingendo senza sosta, concitatamente, aggressivamente, non avvertendo la stanchezza e non accorgendosi dell’implacabile srotolarsi e dilatarsi della spirale temporale. Come avrebbe voluto fare da adolescente, travolto dalle più ferventi stimolazioni. Da un’inalienabile e genuina necessità di espressione, comunicazione, trasmutazione e traduzione della realtà.
Oggi, dopo il crepuscolo, unici compagni il silenzio e l’irrefrenabile, imperante vigoria compositiva, più forti di tutto: del dubbio e della paura, dell’amore, dei vincoli materiali, della dipendenza emotiva. Oppure alimentati da ognuno di questi fattori primari insieme, amalgamati in un vortice pulsante senza pari.
Tra i suoi dipinti del passato, tesoro perduto, più di un centinaio sono andati distrutti durante l’alluvione piemontese del 2000. Dunque rimangono ora, a beneficio del pubblico e dell’autore stesso, i suoi lavori più recenti, tutti eseguiti con estrema prolificità tra il 2008 e l’inizio del 2009. Proprio in un periodo dove il frenetico e smanioso impulso creativo si traduce, spontaneamente e per contro, in ricerca di quiete, di equilibrio. Di un balsamo lenitivo per massaggiare le ferite ancora aperte, come profonde fenditure nella carne e nell’anima.
Dedizione, concentrazione e rapimento nutrono un intento salvifico più o meno consapevole, danno vita ad un processo di spurgo del dolore e del disagio, del veleno ristagnante fin dentro le ossa. Così i nodi si sciolgono, adagio. I nervi contratti si distendono un poco, portano la mano a dar voce e forma ad echi interiori reconditi. Le tensioni si allentano, l’energia purificata si cristallizza e si deposita sul supporto bianco in veste di ingrediente pittorico, pigmento, colore rappreso. La nebulosità temporale si rischiara, diventa più nitida e tante piccole finestre si aprono attraverso le tele non più vergini. Si spalancano repentinamente, talora, guardando oltre, altrove, soprattutto lontano nell’ostico trascorso o verso un futuro incerto di desideri e aspettative.
Una peculiarità di Pier Giorgio Bar che è difficile non cogliere immediatamente è l’insolita versatilità tematica e stilistica, tanto che i singoli cicli di opere paiono eseguiti da autori differenti. Istrionico, colto, riflessivo, arguto ed ironico, realizza contemporaneamente essenziali ed emblematici paesaggi metropolitani (Skycrapers), composizioni geometriche e segniche dalla matericità prorompente, alcune prodotte unicamente con l’uso delle dita (Abstracts; Gold Passions), seduttivi astrattismi sfumati, dalle atmosfere vagamente infernali (Red & Black).
Perciò, incroci di saette e spine si accostano ad ingranaggi in lento e scricchiolante movimento, sfere sospese a grattacieli compattati, corpi di donna -resi irriconoscibili da mirabili scomposizioni- a curve e linee d’oro rappresentanti percorsi di vita e di pensiero.
Nonostante la sorprendente varietà di tecniche e soggetti, nell’opera di Bar sono facilmente ravvisabili molteplici punti in comune, invisibilmente legati da un unico filo conduttore: l’analisi degli odierni meccanismi sociali, ormai innescati con un’inarrestabile reazione a catena, unitamente ad una sentita e sagace riflessione sulla condizione umana in toto, sebbene quasi mai la presenza dell’uomo sia palesata per mezzo della figurazione.
In ogni artefatto, tralasciando le dovute e lecite differenze, vi sono un tratto incisivo e pregnante (Palle con cerchi, del 2008, che in qualche modo riporta ad un intenso capolavoro del 1956 -Paysage Incandescent- di uno tra i componenti del celebre Gruppo Cobra, Corneille), un sapiente utilizzo degli accostamenti cromatici, sbavature e striature di colore, assembramenti, una frequente saturazione degli spazi mediante elementi geometrici, solo in alcuni casi in contrasto con la sorprendente leggerezza e delicatezza di rari lavori che discretamente ricordano alcune rarefatte armonie di Minjung Kim, artista coreana da molti anni apprezzata in Italia (Palle con spine, 2008).
Ma in effetti, a ben guardare, come fosse un fascinoso seppur inquietante leitmotiv, si scopre presto un altro elemento ricorrente, presente in circa una ventina di tele, sia tra gli astratti che fra i figurativi dedicati ai grattacieli urbani. Si tratta di entità fantasmatiche che, spontaneamente e con successivo stupore dell’autore, si materializzano durante la stesura del colore, la marcatura di certi tratti, la dissolvenza di alcune campiture cromatiche. Come esseri ingovernabili ed autonomi, emersi da altre dimensioni, da spaccature temporali o da meandri misteriosi, si manifestano all’occhio umano quando questo si allontana per ottenere una visione d’insieme dell’opera compiuta. Spettri impalpabili, luminescenze lattescenti oblunghe, volti esangui ombreggiati – dagli occhi neri e profondi, dai lineamenti amorfi. Finalmente si liberano e si palesano i dolori, i dubbi, i rimorsi, le antiche paure.
Un nucleo assai nutrito di lavori di Pier Giorgio Bar, tra i più significativi, comprende scorci metropolitani stipati di imponenti grattacieli, ora paradossalmente raffigurati quasi come fossero fragili parallelepipedi di cartone, ora quali edifici monumentali di una bellezza ammaliante (si osservino i pezzi dedicati alla città di Mosca).
Il grattacielo: simbolo fallico per eccellenza, ma anche emblema di potere economico e comunitario. C’è la vita in quelle torri di cemento, sebbene sembrino silenti e l’obbiettivo del pittore non fotografa quasi nulla di ciò che hanno intorno. Al loro interno c’è il brulicare e il vociare di chi tira i fili di migliaia di marionette, il loro fermento, le macchinazioni bisbigliate. In sottofondo, il rumore di computer e stampanti che sputano a fiotti relazioni programmatiche. E’ il mondo dei potenti, di chi non si cura di ciò che accade fuori, di chi non vede ad un palmo dal suo naso, di chi cerca senza ritegno di eludere ogni disagio e aberrazione sociale.
E l’universo della gente comune -come fosse trasparente- neppure si vede, non vi è alcun accenno ad esso -una figura umana, una sagoma proiettata-, anche se è indubbio che scorra come un fiume vermiglio ai margini delle strade, sui marciapiedi, sostando ai semafori, percorrendo mestamente un tragitto uguale giorno dopo giorno.
Il colore rosso, vibrante ed intenso, assume una valenza sostanziale nei più recenti scenari di Pier Giorgio, realizzati nelle prime decadi del 2009. Qui, ai piedi delle consuete costruzioni svettanti avvolte da una pesante aura di inquietudine, in pieno contrasto architettonico, sono collocati ampi anfiteatri come scrigni contenenti ogni sorta di sofferenza percepibile. Le strutture delle arene, dove in antichità gli uomini lottavano per la vita, sono intrise di sangue che sembra non coagularsi mai, metafora del dolore più estremo. Sullo sfondo, i grattacieli si ergono verso l’etere, inutili obelischi innalzati per osannare la forza di infami combattenti privi di meritata gloria.
Sonia Gallesio, marzo 2009
09
aprile 2009
Pier Giorgio Bar
Dal 09 aprile al 09 maggio 2009
arte contemporanea
Location
VART LE RIVE
Rivoli, Corso Susa, 22 c, (Torino)
Rivoli, Corso Susa, 22 c, (Torino)
Orario di apertura
dal martedì al sabato, dalle h 16.00 alle h 19.30
Vernissage
9 Aprile 2009, dalle ore 18 alle ore 22
Autore
Curatore