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Renato Mambor – Gli ori
sono percorsi gli ultimi quattro anni di produzione pittorica di Mambor
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Concettuale è quest'idea: esiste un filtro pittorico per osservare la realtà
e l'arte, in realtà, accade nello sguardo di chi osserva, mentre la pittura
è soltanto una guida, un suggerimento di come osservare. L'arte avviene in
noi. La parte concettuale del mio lavoro, quindi è nel considerare la
pittura come un suggerimento allo sguardo, come una guida al vedere.
Renato Mambor
Questa frase esplicativa della poetica di Mambor rende bene l’idea di quale
artista stiamo ammirando le opere.
E’ difficile scrivere qualcosa per Renato Mambor. E’ un pittore? Uno
scultore? Un attore? Un regista? Uno scenografo? Un poeta?
E tutto questo ... ed altro. Ma è soprattutto un inguaribile ricercatore.
Curioso al limite dello spericolato, sperimentatore, mai soddisfatto dei
traguardi, cerca sempre di sfidare l’arte, la natura, la creatività.
La sua espressività, esplosa con la cosiddetta “scuola di Piazza del Popolo”
e erroneamente definita Pop Art Italiana, si inserisce bene nel fondamentale
elemento che accomuna tutti gli appartenenti a questa corrente: la
insaziabile ricerca. Da Tacchi a Lombardo, da Ceroli a Schifano, da Festa a
Angeli, da Pascali alla Fioroni, tutti, in misura diversa, si sforzano di
trovare nuove vie all’Informale, di cui decretano definitivamente la morte.
In quarant’anni di carriera artistica molto è stato detto su Mambor, ma ciò
che maggiormente è emerso nei giudizi e nelle critiche è una considerazione
intellettualistica della pittura, tanto da renderla addirittura fredda.
Infatti, sin dai primi passi, dopo il periodo accademico, cioè alla fine
degli Anni Cinquanta (nel 1958 la prima collettiva con Schifano e Tacchi),
Renato Mambor direziona il suo interesse all’immagine, meglio all’ICONA. In
forte contrasto con la poetica informale, figlia di una lacerazione
interiore, l’artista ricerca altri linguaggi più razionali e meno
concentrati verso l’interiorità, e da qui nascono le opere appunto definite
“fredde ed intellettuali” di Mambor.
Avendo iniziato a dipingere sin da ragazzo “ricalcando” le figure, questa
tecnica ha caratterizzato le sue opere in tutto il suo percorso, creando un
comune denominatore: le sagome senza connotazione espressiva né somatica,
senza quindi alcun coinvolgimento emotivo, viscerale, di parte, che potesse
renderle empatiche con lo spettatore. Anzi, addirittura è Mambor stesso,
insieme agli altri, che si pone come osservatore asettico delle sue opere.
L’arte è servita, è portata, è guardata da tutti (incluso il pittore) come
un valore assoluto, universale. Un elemento del cosmo di cui ogni individuo
fa parte.
Ognuno di noi è come una cellula che fa parte di un corpo unico. Portare in
campo l'universale, quindi, non è soltanto un atteggiamento mentale. Anche
nell'arte siamo un corpo unico, tutti gli artisti stanno facendo un unico
lavoro, che è l'opera d'arte, una sola, unica opera. Ho molto rispetto per
il lavoro degli altri, realizzo anche collaborazioni con altri artisti,
inserisco i segni dell'altro nel mio lavoro e in questo sento di andare
verso un'unità. Qui entra in campo l'universale. Cerco di praticarlo sempre,
oggi, in questo momento, quindi devo analizzare ciò che è separato dentro di
me, per ricondurlo all'unità, a un'unità di pensiero. Con tutta la mia vita
cerco di risolvere la separatezza, tendendo all'unità con tutto quanto mi
circonda. (Renato Mambor)
Di questo concetto totalizzante Renato Mambor è fermamente convinto, tanto
da considerare il suo talento “sfruttabile” in maniera tonda, dedicandosi al
teatro per molti anni, abbandonando completamente la pittura per poi
tornarci rinnovato e potenziato dalla parentesi del palcoscenico. Vissuto
però da pittore, con il Gruppo Trousse, Mambor concepisce lo spazio teatrale
come un momento creativo in toto, non solo visivo.
Nell’esposizione “Gli ‘ORI di Mambor”, proposta da Telemarket, sono percorsi
gli ultimi quattro anni di produzione pittorica di Mambor, un artista maturo
che mantiene viva la curiosità e la capacità di ricercare e rinnovare se
stesso e la sua arte, dando chiaramente anche a noi la possibilità di
seguirlo in questo viaggio nuovo e stimolante.
CENNI BIOGRAFICI
Renato Mambor nasce a Roma nel 1936. Il suo esordio risale al 1959, alla
Galleria Appia Antica in una collettiva con Mario Schifano e Cesare Tacchi.
«Il 1960 è stato un anno iniziatico, ha posto un punto di partenza per tutta
l’esperienza degli anni successivi, postulando l’azzeramento linguistico, la
superficie opaca, bidimensionale, concreta, l’autoreferenzialità dell’
opera.»
Dall’indagine sul "segnale stradale" considerato come «...Un segno astratto,
geometrico che però ha una funzione informativa, riconoscibile per
convenzione», Mambor passa a considerare in particolare l’omino stilizzato
del segnale del passaggio pedonale ("Uomini Statistici").
Nel ‘63 la sagoma dell’omino divenne ripetibile all’infinito tramite un’
unica matrice: un timbro di gomma. ("Timbri").
Fra i suoi temi iconografici di questi anni compaiono anche: rebus, fumetti,
particolari di esterni urbani o di interni domestici ed anche frammenti di
capolavori del passato.
Nel ‘68 l’attenzione di Mambor si sofferma sull’agire dell’uomo e realizza
una serie di tele ("Itinerari") utilizzando rulli da decoratore per
tappezzeria; questo tipo di ricerca sarà riproposta successivamente nel
corso di azioni legate all’attività teatrale dell’artista, che dal 1972
diventa il nucleo centrale della sua sperimentazione.
Nel ‘69 Mambor prosegue la sua indagine attraverso il mezzo fotografico
attratto dalla sua "meccanicità" e supposta garanzia di oggettività.
L’ "Evidenziatore" di Renato Mambor (1972) appartiene ad un discorso
artistico in cui la rappresentazione viene sostituita dalla stessa realtà...
Pensai allora di costruire un oggetto tridimensionale e prensile che
entrasse a far parte della realtà e segnalasse le cose attraverso l’
appropriazione, l’atto di afferrarle...Volevo far vedere le cose come
realmente sono, senza alterazioni, spostamenti, modifiche... una mano
meccanica come metafora dell’afferrare la realtà."
Dal 1975 fonda e dirige la compagnia teatrale Gruppo Trousse caratterizzata
dalla ricerca all’interno dell’ "uomo-soggetto" nella sua sfera cognitiva,
emotiva e nervosa.
Dal ‘77 all’87 dice Mambor "il mio interesse si è concentrato sui mezzi più
specifici del teatro, un teatro fortemente visivo, ma anche attento alle
dinamiche psicodrammatiche."
Negli anni Novanta l’ "Osservatore" riavvicina Mambor alla pittura.
Mentre l’immagine dell’uomo degli anni ‘60 ("L’Uomo Statistico") era per
Mambor il ricalco di un’immagine di un uomo fotografato, senza volto, senza
occhi, "L’Osservatore" degli anni ‘90, è il ricalco dell’uomo che
rappresenta l’atto del vedere e del guardare.
Dall’ "Osservatore" sono derivate altre opere quali : "Il Riflettore" (‘92),
"Il Diffusore" (‘93), "Il Viaggiatore ", "Il Decreatore" (‘96).
Nel 1998 l’Istituto Nazionale per la Grafica ospita la mostra antologica
Mambor. Opera di segni. Dal ‘60 ad oggi che ripercorre l’opera dell’artista
dagli esordi a "Fasce di pensiero" performance a cui hanno partecipato
studenti e docenti dell’Università "La Sapienza" di Roma.
"Occultare l’occhio superficiale, dinamizzato e sollecitato dalle immagini
del mondo moderno, invita a ritrovare dentro l’occhio lo sguardo che arriva
alla coscienza" ("Fasce di pensiero", 1998).
e l'arte, in realtà, accade nello sguardo di chi osserva, mentre la pittura
è soltanto una guida, un suggerimento di come osservare. L'arte avviene in
noi. La parte concettuale del mio lavoro, quindi è nel considerare la
pittura come un suggerimento allo sguardo, come una guida al vedere.
Renato Mambor
Questa frase esplicativa della poetica di Mambor rende bene l’idea di quale
artista stiamo ammirando le opere.
E’ difficile scrivere qualcosa per Renato Mambor. E’ un pittore? Uno
scultore? Un attore? Un regista? Uno scenografo? Un poeta?
E tutto questo ... ed altro. Ma è soprattutto un inguaribile ricercatore.
Curioso al limite dello spericolato, sperimentatore, mai soddisfatto dei
traguardi, cerca sempre di sfidare l’arte, la natura, la creatività.
La sua espressività, esplosa con la cosiddetta “scuola di Piazza del Popolo”
e erroneamente definita Pop Art Italiana, si inserisce bene nel fondamentale
elemento che accomuna tutti gli appartenenti a questa corrente: la
insaziabile ricerca. Da Tacchi a Lombardo, da Ceroli a Schifano, da Festa a
Angeli, da Pascali alla Fioroni, tutti, in misura diversa, si sforzano di
trovare nuove vie all’Informale, di cui decretano definitivamente la morte.
In quarant’anni di carriera artistica molto è stato detto su Mambor, ma ciò
che maggiormente è emerso nei giudizi e nelle critiche è una considerazione
intellettualistica della pittura, tanto da renderla addirittura fredda.
Infatti, sin dai primi passi, dopo il periodo accademico, cioè alla fine
degli Anni Cinquanta (nel 1958 la prima collettiva con Schifano e Tacchi),
Renato Mambor direziona il suo interesse all’immagine, meglio all’ICONA. In
forte contrasto con la poetica informale, figlia di una lacerazione
interiore, l’artista ricerca altri linguaggi più razionali e meno
concentrati verso l’interiorità, e da qui nascono le opere appunto definite
“fredde ed intellettuali” di Mambor.
Avendo iniziato a dipingere sin da ragazzo “ricalcando” le figure, questa
tecnica ha caratterizzato le sue opere in tutto il suo percorso, creando un
comune denominatore: le sagome senza connotazione espressiva né somatica,
senza quindi alcun coinvolgimento emotivo, viscerale, di parte, che potesse
renderle empatiche con lo spettatore. Anzi, addirittura è Mambor stesso,
insieme agli altri, che si pone come osservatore asettico delle sue opere.
L’arte è servita, è portata, è guardata da tutti (incluso il pittore) come
un valore assoluto, universale. Un elemento del cosmo di cui ogni individuo
fa parte.
Ognuno di noi è come una cellula che fa parte di un corpo unico. Portare in
campo l'universale, quindi, non è soltanto un atteggiamento mentale. Anche
nell'arte siamo un corpo unico, tutti gli artisti stanno facendo un unico
lavoro, che è l'opera d'arte, una sola, unica opera. Ho molto rispetto per
il lavoro degli altri, realizzo anche collaborazioni con altri artisti,
inserisco i segni dell'altro nel mio lavoro e in questo sento di andare
verso un'unità. Qui entra in campo l'universale. Cerco di praticarlo sempre,
oggi, in questo momento, quindi devo analizzare ciò che è separato dentro di
me, per ricondurlo all'unità, a un'unità di pensiero. Con tutta la mia vita
cerco di risolvere la separatezza, tendendo all'unità con tutto quanto mi
circonda. (Renato Mambor)
Di questo concetto totalizzante Renato Mambor è fermamente convinto, tanto
da considerare il suo talento “sfruttabile” in maniera tonda, dedicandosi al
teatro per molti anni, abbandonando completamente la pittura per poi
tornarci rinnovato e potenziato dalla parentesi del palcoscenico. Vissuto
però da pittore, con il Gruppo Trousse, Mambor concepisce lo spazio teatrale
come un momento creativo in toto, non solo visivo.
Nell’esposizione “Gli ‘ORI di Mambor”, proposta da Telemarket, sono percorsi
gli ultimi quattro anni di produzione pittorica di Mambor, un artista maturo
che mantiene viva la curiosità e la capacità di ricercare e rinnovare se
stesso e la sua arte, dando chiaramente anche a noi la possibilità di
seguirlo in questo viaggio nuovo e stimolante.
CENNI BIOGRAFICI
Renato Mambor nasce a Roma nel 1936. Il suo esordio risale al 1959, alla
Galleria Appia Antica in una collettiva con Mario Schifano e Cesare Tacchi.
«Il 1960 è stato un anno iniziatico, ha posto un punto di partenza per tutta
l’esperienza degli anni successivi, postulando l’azzeramento linguistico, la
superficie opaca, bidimensionale, concreta, l’autoreferenzialità dell’
opera.»
Dall’indagine sul "segnale stradale" considerato come «...Un segno astratto,
geometrico che però ha una funzione informativa, riconoscibile per
convenzione», Mambor passa a considerare in particolare l’omino stilizzato
del segnale del passaggio pedonale ("Uomini Statistici").
Nel ‘63 la sagoma dell’omino divenne ripetibile all’infinito tramite un’
unica matrice: un timbro di gomma. ("Timbri").
Fra i suoi temi iconografici di questi anni compaiono anche: rebus, fumetti,
particolari di esterni urbani o di interni domestici ed anche frammenti di
capolavori del passato.
Nel ‘68 l’attenzione di Mambor si sofferma sull’agire dell’uomo e realizza
una serie di tele ("Itinerari") utilizzando rulli da decoratore per
tappezzeria; questo tipo di ricerca sarà riproposta successivamente nel
corso di azioni legate all’attività teatrale dell’artista, che dal 1972
diventa il nucleo centrale della sua sperimentazione.
Nel ‘69 Mambor prosegue la sua indagine attraverso il mezzo fotografico
attratto dalla sua "meccanicità" e supposta garanzia di oggettività.
L’ "Evidenziatore" di Renato Mambor (1972) appartiene ad un discorso
artistico in cui la rappresentazione viene sostituita dalla stessa realtà...
Pensai allora di costruire un oggetto tridimensionale e prensile che
entrasse a far parte della realtà e segnalasse le cose attraverso l’
appropriazione, l’atto di afferrarle...Volevo far vedere le cose come
realmente sono, senza alterazioni, spostamenti, modifiche... una mano
meccanica come metafora dell’afferrare la realtà."
Dal 1975 fonda e dirige la compagnia teatrale Gruppo Trousse caratterizzata
dalla ricerca all’interno dell’ "uomo-soggetto" nella sua sfera cognitiva,
emotiva e nervosa.
Dal ‘77 all’87 dice Mambor "il mio interesse si è concentrato sui mezzi più
specifici del teatro, un teatro fortemente visivo, ma anche attento alle
dinamiche psicodrammatiche."
Negli anni Novanta l’ "Osservatore" riavvicina Mambor alla pittura.
Mentre l’immagine dell’uomo degli anni ‘60 ("L’Uomo Statistico") era per
Mambor il ricalco di un’immagine di un uomo fotografato, senza volto, senza
occhi, "L’Osservatore" degli anni ‘90, è il ricalco dell’uomo che
rappresenta l’atto del vedere e del guardare.
Dall’ "Osservatore" sono derivate altre opere quali : "Il Riflettore" (‘92),
"Il Diffusore" (‘93), "Il Viaggiatore ", "Il Decreatore" (‘96).
Nel 1998 l’Istituto Nazionale per la Grafica ospita la mostra antologica
Mambor. Opera di segni. Dal ‘60 ad oggi che ripercorre l’opera dell’artista
dagli esordi a "Fasce di pensiero" performance a cui hanno partecipato
studenti e docenti dell’Università "La Sapienza" di Roma.
"Occultare l’occhio superficiale, dinamizzato e sollecitato dalle immagini
del mondo moderno, invita a ritrovare dentro l’occhio lo sguardo che arriva
alla coscienza" ("Fasce di pensiero", 1998).
02
febbraio 2006
Renato Mambor – Gli ori
Dal 02 febbraio all'undici marzo 2006
arte contemporanea
Location
SHOW ROOM TELEMARKET
Bologna, Via Caprarie, 4, (Bologna)
Bologna, Via Caprarie, 4, (Bologna)
Orario di apertura
da martedì a venerdì 10-13 e 15-19.30. Sabato 10-19.30
Vernissage
2 Febbraio 2006, ore 18
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