Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Roméo Mivekannin | Black Mirror
Per la sua prima mostra personale in Italia Roméo Mivekannin ha concepito un corpus organico di nuove opere pittoriche che si sviluppa attraverso diverse sale della Collezione Maramotti.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Per la sua prima mostra personale in Italia Roméo Mivekannin ha concepito un corpus organico di nuove opere pittoriche che si sviluppa attraverso diverse sale della Collezione Maramotti.
Compongono l’esposizione circa venti dipinti su velluto nero, perlopiù di grandi dimensioni, che attingono al vasto universo iconografico di Mivekannin, arricchito da spunti raccolti nel corso delle sue visite in Emilia-Romagna e dal legame con lo spazio artistico e culturale italiano.
Il passato, la sua eredità e i suoi spiriti, che costituiscono la storia del mondo e si propagano nella contemporaneità, affiorano con forza in questo progetto, che origina dalla messa in discussione del Sé a livello formale ed esistenziale, radicandosi in una riflessione sulla condizione umana.
Appropriandosi, per abitarle e ricostruirle, di iconografie di opere d’arte classiche di Masaccio e Caravaggio, di fotografie derivate dalla stampa e dal reportage, di movimenti e archetipi della danza e del cinema – da Pina Bausch a Pier Paolo Pasolini, Sergei Parajanov e Leos Carax – o di figure estrapolate dai suoi archivi personali, Mivekannin plasma un multiforme ritratto di se stesso, diventando specchio di immagini che lo affascinano e lo interrogano.
L’autoritratto, incorporato in modo tanto puntuale quanto pervasivo, è lo strumento con cui Mivekannin, sostituendosi ai personaggi originali delle rappresentazioni, entra nella narrazione come soggetto – potente, fantasmatico, perturbante Sé nel corpo dell’Altro da Sé. Il suo volto sembra emergere dalle profondità della notte, il suo sguardo penetrante scruta l’osservatore, ribaltando le logiche di costruzione della composizione, sovvertendo ruoli e dinamiche di potere (interne ed esterne all’opera) e dando forma a uno spazio instabile, in costante trasformazione.
Questi lavori delineano l’esplorazione dell’artista sulla costruzione e la soppressione della memoria e delle immagini, sul rapporto individuale e collettivo con la storia e col sacro: le sue opere fluttuanti, senza cornice né telaio, caricate di presenze, dischiudono una mitopoiesi intima quanto universale, nutrita di visioni nascoste, sottoposte a effetti di apparizione, sparizione, cancellazione e lotta interiore.
Nella forma e nel contenuto questa serie aperta di ricerca è ancorata a una dualità già insita nel lavoro di Mivekannin, in cui da sempre convivono tensioni divergenti: visibile-invisibile, nero-bianco, negativo-positivo, consapevolezza-inconscio. Alcune opere sono state infatti concepite come “duo”, in relazione di corrispondenza e variazione reciproca: esse non si pongono in opposizione, così come non esistono esclusivamente all’interno di una necessaria dipendenza, ma rimandano echi e riflessi l’una dell’altra.
La tecnica utilizzata, inedita nella pratica dell’artista, trova la sua origine nell’incontro con un’opera di Julian Schnabel esposta alla Collezione Maramotti. Sperimentando per la prima volta la pittura su velluto, Mivekannin ha creato un rapporto sensoriale con l’opera, di cui il tessuto è vero e presente corpo, scoprendo al contempo la straordinaria capacità di questo materiale di assorbire il colore e la luce: uno "specchio nero" che non restituisce, ma piuttosto aspira e trattiene tra le sue fibre, segni e immagini.
Cresciuto in Benin e formatosi in Francia, Mivekannin intreccia narrazioni e tradizioni ancestrali africane con raffigurazioni e simboli della storia dell’arte occidentale.
Inizialmente legato alle rappresentazioni stereotipate di individui africani nel periodo coloniale, il suo lavoro ha poi largamente indagato il ruolo – anonimo, marginale, decorativo, esotico – assegnato ai neri, agli schiavi e alle figure femminili nell’iconografia storica europea, con l’intento di scardinarlo generando interferenze visive perturbanti e fluidi slittamenti semantici. L’insistente reiterazione del proprio volto in quello di soggetti oppressi o considerati secondari, spesso con lo sguardo rivolto all’osservatore a sollecitarne un’attivazione, è la peculiare "firma" di Mivekannin.
Compongono l’esposizione circa venti dipinti su velluto nero, perlopiù di grandi dimensioni, che attingono al vasto universo iconografico di Mivekannin, arricchito da spunti raccolti nel corso delle sue visite in Emilia-Romagna e dal legame con lo spazio artistico e culturale italiano.
Il passato, la sua eredità e i suoi spiriti, che costituiscono la storia del mondo e si propagano nella contemporaneità, affiorano con forza in questo progetto, che origina dalla messa in discussione del Sé a livello formale ed esistenziale, radicandosi in una riflessione sulla condizione umana.
Appropriandosi, per abitarle e ricostruirle, di iconografie di opere d’arte classiche di Masaccio e Caravaggio, di fotografie derivate dalla stampa e dal reportage, di movimenti e archetipi della danza e del cinema – da Pina Bausch a Pier Paolo Pasolini, Sergei Parajanov e Leos Carax – o di figure estrapolate dai suoi archivi personali, Mivekannin plasma un multiforme ritratto di se stesso, diventando specchio di immagini che lo affascinano e lo interrogano.
L’autoritratto, incorporato in modo tanto puntuale quanto pervasivo, è lo strumento con cui Mivekannin, sostituendosi ai personaggi originali delle rappresentazioni, entra nella narrazione come soggetto – potente, fantasmatico, perturbante Sé nel corpo dell’Altro da Sé. Il suo volto sembra emergere dalle profondità della notte, il suo sguardo penetrante scruta l’osservatore, ribaltando le logiche di costruzione della composizione, sovvertendo ruoli e dinamiche di potere (interne ed esterne all’opera) e dando forma a uno spazio instabile, in costante trasformazione.
Questi lavori delineano l’esplorazione dell’artista sulla costruzione e la soppressione della memoria e delle immagini, sul rapporto individuale e collettivo con la storia e col sacro: le sue opere fluttuanti, senza cornice né telaio, caricate di presenze, dischiudono una mitopoiesi intima quanto universale, nutrita di visioni nascoste, sottoposte a effetti di apparizione, sparizione, cancellazione e lotta interiore.
Nella forma e nel contenuto questa serie aperta di ricerca è ancorata a una dualità già insita nel lavoro di Mivekannin, in cui da sempre convivono tensioni divergenti: visibile-invisibile, nero-bianco, negativo-positivo, consapevolezza-inconscio. Alcune opere sono state infatti concepite come “duo”, in relazione di corrispondenza e variazione reciproca: esse non si pongono in opposizione, così come non esistono esclusivamente all’interno di una necessaria dipendenza, ma rimandano echi e riflessi l’una dell’altra.
La tecnica utilizzata, inedita nella pratica dell’artista, trova la sua origine nell’incontro con un’opera di Julian Schnabel esposta alla Collezione Maramotti. Sperimentando per la prima volta la pittura su velluto, Mivekannin ha creato un rapporto sensoriale con l’opera, di cui il tessuto è vero e presente corpo, scoprendo al contempo la straordinaria capacità di questo materiale di assorbire il colore e la luce: uno "specchio nero" che non restituisce, ma piuttosto aspira e trattiene tra le sue fibre, segni e immagini.
Cresciuto in Benin e formatosi in Francia, Mivekannin intreccia narrazioni e tradizioni ancestrali africane con raffigurazioni e simboli della storia dell’arte occidentale.
Inizialmente legato alle rappresentazioni stereotipate di individui africani nel periodo coloniale, il suo lavoro ha poi largamente indagato il ruolo – anonimo, marginale, decorativo, esotico – assegnato ai neri, agli schiavi e alle figure femminili nell’iconografia storica europea, con l’intento di scardinarlo generando interferenze visive perturbanti e fluidi slittamenti semantici. L’insistente reiterazione del proprio volto in quello di soggetti oppressi o considerati secondari, spesso con lo sguardo rivolto all’osservatore a sollecitarne un’attivazione, è la peculiare "firma" di Mivekannin.
09
marzo 2025
Roméo Mivekannin | Black Mirror
Dal 09 marzo al 27 luglio 2025
arte contemporanea
Location
COLLEZIONE MARAMOTTI
Reggio Nell'emilia, Via Fratelli Cervi, 66, (Reggio Nell'emilia)
Reggio Nell'emilia, Via Fratelli Cervi, 66, (Reggio Nell'emilia)
Orario di apertura
Giovedì e venerdì dalle 14.30 alle 18.30
Sabato e domenica dalle 10.30 alle 18.30
Autore




