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Ruben Montini – COME FUOCO IN UNA POZZANGHERA COME FUOCO SPENTO
Prometeo Gallery Ida Pisani, Milano è lieta di annunciare la quarta mostra personale di Ruben Montini intitolata “Come fuoco in una pozzanghera come fuoco spento”, accompagnata dai testi critici di Arnold Braho e Domenico de Chirico.
Comunicato stampa
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Segnatamente esitante rispetto ad ogni forma di ostracismo, di misoneismo e di subdola sopraffazione, appellandosi in linea diretta a quanto affermato dallo storico e filosofo francese Michel Foucault nel suo saggio Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, la cui prima edizione italiana risale al 1976, ovverosia che «storicamente, il processo con cui la borghesia divenne nel corso del diciottesimo secolo la classe politicamente dominante viene mascherato con l'istituzione di una cornice giuridica esplicita, codificata e formalmente egualitaria, resa possibile dall'organizzazione di un regime rappresentativo parlamentare. [...] La forma giuridica generale che garantiva un sistema di diritti, egualitari in linea di principio, era sorretta da questi minuscoli, quotidiani, fisici meccanismi, da tutti questi sistemi di micro-potere - essenzialmente non-egualitari ed asimmetrici - che noi chiamiamo discipline», Ruben Montini, parimenti, esamina l'evoluzione e le conseguenze delle pratiche della punizione, della disciplina e della sorveglianza nel contesto arzigogolato delle società occidentali e non solo, analizzando più propriamente come il potere si eserciti, fuori e dentro l'ambiente domestico, non solo mediante la coercizione fisica ma anche attraverso un forte controllo psicologico e sociale.
Proteiforme e viscerale, il suo lavoro, collocandosi perentoriamente nel pieno di un flusso proibitivo e spettacolarizzante, prende corpo in contaminazioni reciproche e continue tra performance, scultura, installazione e video, all'insegna sia di esperienze vissute in prima persona sia di altre tramandate da terzi, maggiormente inerenti al mondo LGBTQIA+, comprensive di temi legati alla comunità queer, alla fluidità di genere e all'identità. Per di più, oscillando tra l’esperienza individuale e l’insopprimibile desiderio di un'esistenza collettiva paritetica ed egualitaria, rafforza tangibilmente il dialogo globale sui diritti umani e sull'inclusività.
Tutti questi presupposti non si riducono a un inerte repertorio di citazioni, ma vibrano ardentemente facendo sanguinare le corde del fremito del presente, copiosamente alimentato dalla questione dei migranti, dal più che mai attuale tentativo globale di decostruzione dell’identità dell'essere umano, dalla recrudescenza dei nazionalismi, dall'appiattimento culturale nonché dalla spinosa questione dei diritti umani che, nel suo caso, si erge furente per contrastare ogni forma di omotransfobia e, più in generale, di discriminazione. Fuori da grovigli sociali, frutto di malsane involuzioni ideologiche, ogni cosa è qui decantata nel rispetto del suo colore e della sua incomparabilità, qui dove urlano i tessuti intersecati che delineano i perimetri ardenti delle discernibili figure umane che, allungate e potenzialmente mobili, trovano, come fiori, la loro luce nell’intrigo.
Ed è per tutto ciò che Ruben Montini dedica una gran parte della sua attenzione alla figura umana, dapprima spogliandola per poi rappresentarla con un linguaggio che può sembrare teatrale, talvolta sacrilego talaltra vivace. La sua interpretazione del corpo non si limita al naturalismo, ma si spinge verso una profonda indagine delle emozioni e della psiche umana, trattando temi come il dolore, la paura, l'autoflagellazione, la solitudine, i disturbi e le alterazioni fisiologiche, gli abusi, lo squilibrio, la penuria, l’estasi, la redenzione
e, infine, la catarsi. Difatti, le sue figure sembrano sovente prigioniere di sé stesse, ma allo stesso tempo emanano una sorta di potere sacro ed inestimabile. Così facendo, egli mette in evidenza l'inevitabilità e l'unicità dell’esistenza e l'intensità dell'esperienza umana, esplorando la tensione tra luce e oscurità, vita e morte, bellezza e sofferenza. Attraverso un vivido politeismo di tessuti cuciti a più mani, una metafora potente sia di collaborazione e collettività sia di memoria e continuità, volta ad esplorare le relazioni umane, la costruzione di significato collettivo e l'interazione tra individualità e comunità ampliata, e poi ancora di colori, materiali, immagini, parole, slogan di denuncia o di sensibilizzazione, la sua arte cerca di esprimere l’interconnessione degli opposti, suggerendo che ogni aspetto della vita umana è intrinsecamente legato all’altro.
Il suo stile inconfondibile è fortemente analitico e visibilmente provocatorio. Egli utilizza un ampio repertorio storico, filosofico, sociologico ed empirico che costituisce la base della sua ricerca nonché della trama delle sue opere. L’approccio è sistematico e interdisciplinare, mescolando storia, politica, filosofia e psichiatria e si avvale di un vocabolario specifico che molto spesso lascia intendere provocazioni che, a ogni piè sospinto, invitano l'astante a riflettere su come le strutture di potere agiscono nella vita quotidiana, cercando di mostrare come queste si siano evolute genealogicamente in risposta a nuove necessità politiche ed economiche. Alfine, esattamente come dichiarava l'artista di origine rumena Dan Perjovschi, noto per le sue opere che combinano umorismo, critica sociale e politiche globali, la cui potenza concettuale invita sovente alla riflessione, in una delle sue interviste: «I grew up in a society that did not have a variety of voices in public art. Everything was controlled and censored [...] The first graffiti I saw in 1989 was revolutionary, it said: “Down with Dictatorship!” I will never forget this graphic scream»*, analogamente Ruben Montini, seppur in epoca e contesto differenti, alla luce delle sue esperienze più recenti, ci dona anche questa volta, in occasione di Come fuoco in una pozzanghera come fuoco spento, titolo mutuato da una delle opere in mostra, un proscenio in cui è possibile esprimersi chiamando le cose con il loro giusto e insostituibile nome.
Considerando, dunque, che la moderna società non si limita unicamente a punire ma produce continuamente nuovi modi di essere, nuove forme di soggettività che si adattano alle richieste di disciplina e sorveglianza, il dubbio che permane, tuttavia, è sempre lo stesso: in che modo l’unicità del singolo essere umano può affermare sé stessa senza mai venir meno all’ascolto fondamentale per comprendere la sua posizione nel mondo e per empatizzare con l’alterità? E più propriamente, come verbalizzato da Emil Cioran in Al culmine della disperazione, la sua prima opera filosofica pubblicata nel 1934, ovvero: «che cosa succederebbe se il volto umano esprimesse fedelmente tutta la sofferenza di dentro, se l'espressione traducesse tutto il tormento interiore? Riusciremmo ancora a conversare? Non dovremmo parlare nascondendoci il volto con le mani? La vita diventerebbe decisamente impossibile se i nostri tratti palesassero l'intensità dei nostri sentimenti. Nessuno avrebbe più il coraggio di guardarsi allo specchio, perché un'immagine insieme grottesca e tragica mescolerebbe ai contorni della fisionomia macchie di sangue, piaghe sempre aperte e rivoli di lacrime irrefrenabili». Un fuoco primordiale per l’appunto, ravvisabile nelle contorsioni e nella varietà espressiva delle opere in mostra, di cui si intravede il ricordo manifestato dal bagliore muto eppur feroce, una lingua variopinta che decanta la carne della realtà in un mondo sintonizzato su logoranti caducità.
(Domenico de Chirico)
* Ten Questions to Dan Perjovschi - Interview by Marius Meli published on Kunstkritikk - 13.11.14 - https://kunstkritikk.com/ten- questions-dan-perjovschi/
Proteiforme e viscerale, il suo lavoro, collocandosi perentoriamente nel pieno di un flusso proibitivo e spettacolarizzante, prende corpo in contaminazioni reciproche e continue tra performance, scultura, installazione e video, all'insegna sia di esperienze vissute in prima persona sia di altre tramandate da terzi, maggiormente inerenti al mondo LGBTQIA+, comprensive di temi legati alla comunità queer, alla fluidità di genere e all'identità. Per di più, oscillando tra l’esperienza individuale e l’insopprimibile desiderio di un'esistenza collettiva paritetica ed egualitaria, rafforza tangibilmente il dialogo globale sui diritti umani e sull'inclusività.
Tutti questi presupposti non si riducono a un inerte repertorio di citazioni, ma vibrano ardentemente facendo sanguinare le corde del fremito del presente, copiosamente alimentato dalla questione dei migranti, dal più che mai attuale tentativo globale di decostruzione dell’identità dell'essere umano, dalla recrudescenza dei nazionalismi, dall'appiattimento culturale nonché dalla spinosa questione dei diritti umani che, nel suo caso, si erge furente per contrastare ogni forma di omotransfobia e, più in generale, di discriminazione. Fuori da grovigli sociali, frutto di malsane involuzioni ideologiche, ogni cosa è qui decantata nel rispetto del suo colore e della sua incomparabilità, qui dove urlano i tessuti intersecati che delineano i perimetri ardenti delle discernibili figure umane che, allungate e potenzialmente mobili, trovano, come fiori, la loro luce nell’intrigo.
Ed è per tutto ciò che Ruben Montini dedica una gran parte della sua attenzione alla figura umana, dapprima spogliandola per poi rappresentarla con un linguaggio che può sembrare teatrale, talvolta sacrilego talaltra vivace. La sua interpretazione del corpo non si limita al naturalismo, ma si spinge verso una profonda indagine delle emozioni e della psiche umana, trattando temi come il dolore, la paura, l'autoflagellazione, la solitudine, i disturbi e le alterazioni fisiologiche, gli abusi, lo squilibrio, la penuria, l’estasi, la redenzione
e, infine, la catarsi. Difatti, le sue figure sembrano sovente prigioniere di sé stesse, ma allo stesso tempo emanano una sorta di potere sacro ed inestimabile. Così facendo, egli mette in evidenza l'inevitabilità e l'unicità dell’esistenza e l'intensità dell'esperienza umana, esplorando la tensione tra luce e oscurità, vita e morte, bellezza e sofferenza. Attraverso un vivido politeismo di tessuti cuciti a più mani, una metafora potente sia di collaborazione e collettività sia di memoria e continuità, volta ad esplorare le relazioni umane, la costruzione di significato collettivo e l'interazione tra individualità e comunità ampliata, e poi ancora di colori, materiali, immagini, parole, slogan di denuncia o di sensibilizzazione, la sua arte cerca di esprimere l’interconnessione degli opposti, suggerendo che ogni aspetto della vita umana è intrinsecamente legato all’altro.
Il suo stile inconfondibile è fortemente analitico e visibilmente provocatorio. Egli utilizza un ampio repertorio storico, filosofico, sociologico ed empirico che costituisce la base della sua ricerca nonché della trama delle sue opere. L’approccio è sistematico e interdisciplinare, mescolando storia, politica, filosofia e psichiatria e si avvale di un vocabolario specifico che molto spesso lascia intendere provocazioni che, a ogni piè sospinto, invitano l'astante a riflettere su come le strutture di potere agiscono nella vita quotidiana, cercando di mostrare come queste si siano evolute genealogicamente in risposta a nuove necessità politiche ed economiche. Alfine, esattamente come dichiarava l'artista di origine rumena Dan Perjovschi, noto per le sue opere che combinano umorismo, critica sociale e politiche globali, la cui potenza concettuale invita sovente alla riflessione, in una delle sue interviste: «I grew up in a society that did not have a variety of voices in public art. Everything was controlled and censored [...] The first graffiti I saw in 1989 was revolutionary, it said: “Down with Dictatorship!” I will never forget this graphic scream»*, analogamente Ruben Montini, seppur in epoca e contesto differenti, alla luce delle sue esperienze più recenti, ci dona anche questa volta, in occasione di Come fuoco in una pozzanghera come fuoco spento, titolo mutuato da una delle opere in mostra, un proscenio in cui è possibile esprimersi chiamando le cose con il loro giusto e insostituibile nome.
Considerando, dunque, che la moderna società non si limita unicamente a punire ma produce continuamente nuovi modi di essere, nuove forme di soggettività che si adattano alle richieste di disciplina e sorveglianza, il dubbio che permane, tuttavia, è sempre lo stesso: in che modo l’unicità del singolo essere umano può affermare sé stessa senza mai venir meno all’ascolto fondamentale per comprendere la sua posizione nel mondo e per empatizzare con l’alterità? E più propriamente, come verbalizzato da Emil Cioran in Al culmine della disperazione, la sua prima opera filosofica pubblicata nel 1934, ovvero: «che cosa succederebbe se il volto umano esprimesse fedelmente tutta la sofferenza di dentro, se l'espressione traducesse tutto il tormento interiore? Riusciremmo ancora a conversare? Non dovremmo parlare nascondendoci il volto con le mani? La vita diventerebbe decisamente impossibile se i nostri tratti palesassero l'intensità dei nostri sentimenti. Nessuno avrebbe più il coraggio di guardarsi allo specchio, perché un'immagine insieme grottesca e tragica mescolerebbe ai contorni della fisionomia macchie di sangue, piaghe sempre aperte e rivoli di lacrime irrefrenabili». Un fuoco primordiale per l’appunto, ravvisabile nelle contorsioni e nella varietà espressiva delle opere in mostra, di cui si intravede il ricordo manifestato dal bagliore muto eppur feroce, una lingua variopinta che decanta la carne della realtà in un mondo sintonizzato su logoranti caducità.
(Domenico de Chirico)
* Ten Questions to Dan Perjovschi - Interview by Marius Meli published on Kunstkritikk - 13.11.14 - https://kunstkritikk.com/ten- questions-dan-perjovschi/
23
gennaio 2025
Ruben Montini – COME FUOCO IN UNA POZZANGHERA COME FUOCO SPENTO
Dal 23 gennaio al 15 marzo 2025
arte contemporanea
Location
Prometeo Gallery ida Pisani
Milano, Via Privata Giovanni Ventura, 6, (MI)
Milano, Via Privata Giovanni Ventura, 6, (MI)
Orario di apertura
Aperta dal martedì al sabato dalle 14 alle 19
Vernissage
22 Gennaio 2025, Dalle ore 18.00 alle ore 21.00
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