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Simone Mussat Sartor – In assenza
Un percorso visivo tra corpo, spazio e percezione. Simone Mussat Sartor indaga l’assenza con immagini sospese, intime, frammentate: tra soglie, silenzi e paesaggi in movimento, lo sguardo si fa attento, vulnerabile, mai dominante.
Comunicato stampa
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La galleria Biasutti & Biasutti è lieta di presentare la mostra personale dedicata a Simone Mussat Sartor, “In assenza” (Torino, 1972). Attraverso quattro nuclei tematici distinti ma interconnessi, Mussat Sartor costruisce un percorso visivo intimo e frammentato, che indaga la relazione tra corpo, spazio e percezione. Le sue immagini raccontano silenzi, catturano pause, aprono varchi tra ciò che è visibile e ciò che è appena suggerito.
Nel primo nucleo, il corpo si frammenta e si sottrae, riducendosi a dettaglio, a postura, a peso. Le gambe — separate dal volto, dalla narrazione identitaria — diventano anatomie anonime, superfici attraversate da tensioni silenziose: il desiderio, la vulnerabilità, la durata. Non c’è identità, ma traccia. Non c’è posa, ma permanenza.
Dal corpo si passa allo spazio: luogo del passaggio e della separazione. La finestra, soggetto e soglia insieme, è superficie che filtra, riflette, protegge o espone. Qui, Mussat Sartor si muove tra trasparenze e opacità. Ogni scatto suggerisce una distanza, uno sguardo che non può — o non vuole — oltrepassare. Guardare diventa un gesto ambiguo: voyeuristico o difensivo, affettivo o sospettoso. Le finestre non sono solo oggetti, ma condizioni percettive: dispositivi dell’intimità, del controllo, dell’immaginazione. Sono spazi liminali, dove l’osservazione si fa incertezza. Dentro e fuori si mescolano. Il visibile è sempre parziale, sempre riflesso.
Dalle soglie si entra negli spazi abitati: gli interni. Qui, il corpo riappare, ma resta decentrato. Figure umane sono colte in momenti di sospensione: un’attesa, un silenzio, un pensiero che le porta altrove. Lo sguardo non è mai rivolto all’obiettivo: si perde nel fuori campo o si chiude dentro. Gli ambienti non sono solo contesti, ma prolungamenti emotivi dei soggetti. Luoghi dove la presenza è filtrata dal tempo, dal ricordo, da una malinconia trattenuta. Ogni interno diventa uno stato mentale, un tempo immobile. Mussat Sartor restituisce una quotidianità muta, scavata, in cui l’immagine non illustra ma ascolta.
A chiudere la mostra, un ciclo seriale di Polaroid scattate in Iran durante un viaggio dell’artista. Le immagini, tutte realizzate dal finestrino di un’auto in corsa e sempre dalla stessa posizione, trasformano il gesto del fotografare in un rituale ripetitivo e meditativo. Frammenti di paesaggio urbano e rurale scorrono come un diario visivo, come visioni sospese, filtrate dal vetro, dal movimento, dalla distanza. Non è tanto l’Iran ad essere raccontato, quanto la condizione dello sguardo in viaggio, costretto ai margini, ma profondamente partecipe. Ogni scatto è un esercizio di attenzione e limite. Non si tratta di conoscere un luogo, ma di sostare in quel punto di vista obbligato, tra dentro e fuori, partecipazione e separazione.
Uno sguardo che non possiede, non indaga, ma si lascia attraversare — ancora una volta, interrotto.
Nel primo nucleo, il corpo si frammenta e si sottrae, riducendosi a dettaglio, a postura, a peso. Le gambe — separate dal volto, dalla narrazione identitaria — diventano anatomie anonime, superfici attraversate da tensioni silenziose: il desiderio, la vulnerabilità, la durata. Non c’è identità, ma traccia. Non c’è posa, ma permanenza.
Dal corpo si passa allo spazio: luogo del passaggio e della separazione. La finestra, soggetto e soglia insieme, è superficie che filtra, riflette, protegge o espone. Qui, Mussat Sartor si muove tra trasparenze e opacità. Ogni scatto suggerisce una distanza, uno sguardo che non può — o non vuole — oltrepassare. Guardare diventa un gesto ambiguo: voyeuristico o difensivo, affettivo o sospettoso. Le finestre non sono solo oggetti, ma condizioni percettive: dispositivi dell’intimità, del controllo, dell’immaginazione. Sono spazi liminali, dove l’osservazione si fa incertezza. Dentro e fuori si mescolano. Il visibile è sempre parziale, sempre riflesso.
Dalle soglie si entra negli spazi abitati: gli interni. Qui, il corpo riappare, ma resta decentrato. Figure umane sono colte in momenti di sospensione: un’attesa, un silenzio, un pensiero che le porta altrove. Lo sguardo non è mai rivolto all’obiettivo: si perde nel fuori campo o si chiude dentro. Gli ambienti non sono solo contesti, ma prolungamenti emotivi dei soggetti. Luoghi dove la presenza è filtrata dal tempo, dal ricordo, da una malinconia trattenuta. Ogni interno diventa uno stato mentale, un tempo immobile. Mussat Sartor restituisce una quotidianità muta, scavata, in cui l’immagine non illustra ma ascolta.
A chiudere la mostra, un ciclo seriale di Polaroid scattate in Iran durante un viaggio dell’artista. Le immagini, tutte realizzate dal finestrino di un’auto in corsa e sempre dalla stessa posizione, trasformano il gesto del fotografare in un rituale ripetitivo e meditativo. Frammenti di paesaggio urbano e rurale scorrono come un diario visivo, come visioni sospese, filtrate dal vetro, dal movimento, dalla distanza. Non è tanto l’Iran ad essere raccontato, quanto la condizione dello sguardo in viaggio, costretto ai margini, ma profondamente partecipe. Ogni scatto è un esercizio di attenzione e limite. Non si tratta di conoscere un luogo, ma di sostare in quel punto di vista obbligato, tra dentro e fuori, partecipazione e separazione.
Uno sguardo che non possiede, non indaga, ma si lascia attraversare — ancora una volta, interrotto.
10
settembre 2025
Simone Mussat Sartor – In assenza
Dal 10 al 30 settembre 2025
arte contemporanea
Location
GALLERIA BIASUTTI & BIASUTTI
Torino, Via Alfonso Bonafous, 7L, (Torino)
Torino, Via Alfonso Bonafous, 7L, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 10-12.30 e 15.30-19.30
Vernissage
10 Settembre 2025, ore 18
Sito web
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