12 maggio 2023

exibart prize incontra Angelica Ruggiero

di

Gran parte dei miei progetti scaturiscono da un’indagine antropologica e metafisica.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Durante gli anni della formazione accademica sono entrata in contatto con il linguaggio della fotografia.
Innamorandomene. Gli studi conseguenti hanno contribuito a fondare il mio sguardo, a comprendere cosa alimentasse la mia necessità di fotografare il mondo: ho potuto trovare così le prime assonanze, nei campi dell’antropologia e della metafisica.
Dal 2015 insegno storia dell’arte. Il lavoro di approfondimento teorico mi ha consentito di rendere interdisciplinare la mia ricerca, affinché il linguaggio della fotografia potesse entrare in dialogo con quello della performance, del video e dell’installazione. A partire dal 2020 ho inoltre intrapreso una collaborazione con Luca Panaro, storico e critico dell’arte contemporanea, maturando ulteriormente la possibilità di mettere in relazione più linguaggi e sviluppando la necessità di correlare la pratica artistica a un luogo specifico.
Alcuni miei lavori sono divenuti quindi dispositivi di interazione, in cui l’opera intende consegnarsi alla collettività.
E’ il caso della prima tappa di SERALUCI [Azione #1], tenutasi a Giovinazzo, in Puglia, nel 2022 e resa possibile dalla stretta interazione tra artista, pubblico e tessuto socio-culturale. Da questa interazione è nata anche una collaborazione, ancora in essere, con Nicolò Carnimeo, autore di libri e reportage legati
al mare, al fine di proseguire il dialogo tra pratica artistica e società.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Gran parte dei miei progetti scaturiscono da un’indagine antropologica e metafisica.
Sin da bambina interrogo la natura delle cose e le connessioni che operano segretamente nella consuetudine della materia. Cosa c’è dietro? Cosa posso vedere pur non vedendo?
Per me l’arte rappresenta la possibilità di concedersi il senso dello smarrimento. Dialoga con quel luogo interiore in cui ancora si può essere disposti a lasciare andare qualcosa. Come in una mappa in cui ho smarrito le tracce, mi lascio così guidare dall’incertezza di aver perso qualcosa. Ed è una ricerca urgente: la ricerca delle radici, lo studio della tradizione o del rituale, l’esplorazione della materia e di ciò che ne
trascende.
Nell’arte, trovo quindi l’innesto fra teologia e archeologia.
La risposta ad un bisogno naturale di ridefinire i punti cardinali, le altezze e le profondità. Una sorta di riconfigurazione. O forse più semplicemente una rammemorazione dell’essenziale.
Per discernere i fili con cui siamo tutti intessuti.
Nella mia ricerca artistica il linguaggio fotografico, diviene così mezzo preferenziale di indagine. Il gesto, -che sia disegno, pratica o azione nel mondo- un tentativo di decrittare, di ricucire le parti. A ritornare là dove ci si è persi.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

La pratica artistica contemporanea può essere strumento di riflessione per la collettività.
Noi artisti dovremmo riuscire a porci in contesti culturalmente trasversali, raggiungendo in modo capillare non solo gli addetti ai lavori ma anche una fetta di pubblico più ampio e variegato.
Da docente, mi accorgo delle difficoltà connesse alla comprensione dell’arte contemporanea. Bisognerebbe mettere maggiormente in dialogo la pratica artistica, gli artisti e la società.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Portare avanti l’opera aperta SERALUCI, creando nel tempo un atlante che accolga nuove tappe.
Costruire progressivamente un dialogo con il pubblico, lavorando sull’immaginario collettivo e sul materiale di archivio in quanto luogo di memoria.
Lavorare in contesti non convenzionali, in cui la relazione sia parte dell’opera, della pratica artistica. Approfondire la mia ricerca, tra archeologia e teologia e dedicarmi ad alcuni progetti che ho recentemente intrapreso, tracciando nuove possibili connessioni con la dimensione del pubblico agent

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Creando un circuito che realmente accompagni quegli artisti emergenti, privi di un curriculum tale che possa garantire la diffusione del loro lavoro.
Sarebbe inoltre di grande supporto fornire maggiori strumenti per comprendere come risalire alle risorse e ai fondi necessari quanto indispensabili, per proseguire la ricerca artistica.
Sia in ambito curatoriale, che in ambito creativo

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