19 maggio 2023

exibart prize incontra Fabio Pasquali

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Mi piace combinare il rispetto per la tradizione con l’ironia; privare lo spettatore di ciò che si aspetta e riportarlo nel presente.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Fin da piccolo, ho sempre amato disegnare: le mie idee era più semplice trasformarle in immagini piuttosto che in parole.
Nel 1992, non ancora ventenne, influenzato soprattutto dai graffiti dell’underground londinese, mi ritrovai a dipingere con una certa frequenza ma la svolta definitiva avvenne nell’estate del ’93 a Parigi, dove conobbi e frequentai per qualche tempo un noto pittore della banlieue: Yves Aubry.
Grazie a lui capii che dipingere non è solo l’espressione di un dono di natura o la conseguenza di particolari attitudini, ma un bisogno incontrollabile di doversi esprimere: l’espressione artistica nasce da una mancanza, che gli artisti provano a colmare con una matita.
Non ha alcuna importanza sapere perché si creano delle cose, basta sentire il bisogno di realizzarle.
Dal ’94 per qualche anno ho affittato una stalla in cui dipingevo, soprattutto di notte e ho allestito alcune mostre personali presso i Chiostri di San Pietro e presso lo Spazio Ibrido dell’Archivio Giovani Artisti di Reggio Emilia.
Il mio lavoro nella moda intanto diventava sempre più impegnativo e per almeno un decennio mi sono limitato a disegnare saltuariamente, curandomi poco di mostrare le mie opere.
Solo da pochi anni ho ripreso il mio percorso artistico divertendomi a reinterpretare opere del passato sia digitalmente che materialmente: la “reclusione forzata” durante la pandemia, ha fatto riesplodere in me il famoso bisogno, avevo più tempo per ascoltare me stesso e quello che realmente sono.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Mi piace combinare il rispetto per la tradizione con l’ironia; privare lo spettatore di ciò che si aspetta e riportarlo nel presente; prendere “in prestito” rendendo evidente il prestito; accennare al conosciuto per distruggere l’atteso.
È affascinante girare per mercatini dell’antiquariato e scovare vecchi dipinti a cui dare una nuova possibilità: forse cent’anni fa quel quadro era appeso ad una parete e la vita gli scorreva intorno, ma ad un certo punto è stato messo da parte e dimenticato… io lo scelgo e lo rielaboro e tu che adesso lo guardi non sai che prima era appeso in casa della tua bis-nonna.
Spesso nel mio studio fotografo il quadro e lo rielaboro con Photoshop prima di deciderne la nuova forma.
Un’altra cosa con cui mi piace giocare sono gli elementi iconici, per esempio i colori Pantone: ogni colore è codificato e universalmente ripetibile in serie mentre io lo faccio diventare opera unica stravolgendone il significato e il messaggio.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte deve provocare una reazione, che sia una risata o una smorfia, approvazione o indignazione, deve trasmetterci un messaggio, attirarci o respingerci.
Se lascia indifferenti non è arte.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Ci sto lavorando: vorrei avere sempre più tempo e spazio per sperimentare, muovermi su più fronti, utilizzare tecniche e stili diversi ma con un impronta personale riconoscibile.
Ho ricominciato con le mie opere ad essere presente a mostre ed esposizioni e collaboro con una galleria alla quale affido gran parte delle mie creazioni.
Prossimamente, con un mio quadro Pantone, parteciperò ad un progetto di Sebastiano Balbo (del quale non posso rivelare nulla).

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

L’arte è espressione dei tempi, è condivisione di cultura, è relazionarsi con l’altro e fondamentali sono i momenti in cui il tuo lavoro viene svelato e può quindi trovare riscontro nell’approvazione ma anche nelle critiche di altri sguardi.
Sono ancora troppo poche le occasioni in cui un artista può permettersi un momento di confronto, anche in termini economici.
Per artisti e curatori, l’allestimento di una mostra è sempre piuttosto dispendioso, bisognerebbe avere più possibilità: se l’arte è cultura, la cultura deve essere accompagnata e resa fruibile da tutti e per tutti anche attraverso l’offerta di spazi pubblici messi a disposizione dalle istituzioni.

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