25 maggio 2023

exibart prize incontra Fabrizio Pozzoli

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Penso che l'arte non debba avere la presunzione di diventare uno strumento di riflessione o cambiamento.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Oltre ai miei studi scientifici, ho avuto un’esperienza come assistente scenografo.
Ho effettuato ricerche nel campo della grafica e della scrittura e mi sono formato presso la Scuola del Fumetto di Milano, dove ho acquisito precise abilità nella rappresentazione anatomica.
A partire dalla fine degli anni ’90 ho lavorato alle sculture metalliche tridimensionali, create con fili di ferro.
Nel 2017 ho iniziato a concentrarmi sulla creazione di nuove e importanti installazioni. Ho aggiunto nuovi elementi altamente simbolici al suo uso iconico del filo (legno, chiodi arrugginiti, materassi coperti di tagli e suture, piante appassite, insetti…).

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Parlando degli elementi (intendendo gli elementi tecnici), il punto di partenza del mio percorso artistico è stato il fil di ferro.
Questo perché, non avendo affrontato studi artistici, quando ho iniziato il mio viaggio, non avevo conoscenze tecniche sull’uso di materiali canonici.
Incontrare il fil di ferro è stato necessario, non presupponendo regole da seguire, così come del tutto casuale e sorprendente.
Recentemente, con il passaggio dalla scultura alle installazioni, la gamma di materiali si è notevolmente ampliata, favorendo il riutilizzo di elementi con un passato.
Parlando di elementi, intendendo in termini di temi, tuttavia, l’essere umano, come entità individuale in relazione al contesto sociale in cui è necessariamente inserito, è senza dubbio la pietra angolare di tutte le mie riflessioni.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Penso che l’arte non debba avere la presunzione di diventare uno strumento di riflessione o cambiamento. Penso che sia il semplice prodotto della consapevolezza e del ragionamento di un artista, una persona che, in congiunzione con condizioni particolari (una forte sensibilità, capacità espressive e una buona dose di egocentrismo e motivazione), riesce a tradurre i propri pensieri rendendoli espliciti. Il fatto che il prodotto di questo processo poi venga a interagire con la società e diventi motivo di riflessione per le persone è un passo che non necessariamente deve interessare all’artista.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

I piani per il futuro erano più chiari in passato… Mi scuso per il gioco di parole… Penso di poter dire che il COVID-19 ha accelerato lo sviluppo di certi meccanismi che non sono esattamente favorevoli alla crescita dell’ambiente artistico, i prodromi dei quali potevano già essere intravisti prima della pandemia e, quando c’è una crescita scarsa o una crescita che si basa su poca consistenza, spesso si finisce per cadere nel vuoto. Quello che sento di poter dire è che non smetterò mai di cercare un’evoluzione, anche se ciò dovesse significare scontrarsi con quei meccanismi e certe convenzioni.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Penso che sia necessario ridefinire il ruolo del curatore, alla luce delle profonde trasformazioni che stiamo vivendo, restituendo a lui l’importanza del meccanismo fondamentale di collegamento tra l’artista e il pubblico. Penso anche che le istituzioni dovrebbero lavorare per mettere a disposizione più spazi pubblici per valorizzare il lavoro degli artisti, la loro crescita e lo sviluppo del loro pensiero, come testimonianza del periodo storico a cui appartengono.

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