11 ottobre 2022

exibart prize incontra Gelidelune

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L'elemento affettivo-narrativo è senz'altro una costante anche nella fase matura del mio lavoro, il cuore pulsante della mia ricerca, che si nutre e si sviluppa a partire dalla ricostruzione di ricordi e stati d'animo, in seno alle costellazioni familiari e genealogiche.

Gelidelune

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Mi chiamo Francesca Bonfatti in arte Gelidelune, sono una poetessa visiva e visionaria, fotografa, video performer, generatrice di “dolenti sogni metamorfici.”
Non mi definirei una creativa o una creatrice, forse nemmeno artista.
Non mi definiscono status fissi. Mi sento continuamente nuda. Nuda di tutto.
L’arte mi possiede, ho un atteggiamento mentale sobrio.
Mi interessa di più l’atto generativo in sé, che non l’atto creativo; generare implica un collegamento, un continuum, elimina ranghi e disparità. In tal senso mi ritengo un’artista feconda, figlia e madre del suo tempo.
Creare, per me, è un meccanismo utile e funzionale, declinabile a moltissimi aspetti della vita umana, un bisogno istintivo di ricerca e scoperta dell’irrazionale che ci circonda e che ci compenetra, nella più assoluta e dissoluta anarchia d’intenti, senza la pretesa di farsi speculazione, ergo pensiero.
Preferisco definirmi una “functional body artist o human functional artist” e dedicarmi allo studio del funzionamento umano – dell’essere umano nel significato biologico del termine – e delle sue funzioni vitali riferite al presente; essere presente a me stessa e presente al tempo, attraverso l’azione del corpo, concentrata sulle sue sensazioni, svincolata dal pensiero e dalla sua azione disgregante.
Il mio percorso artistico, come quello di ogni artista, nasce con la mia nascita ma diviene consapevolezza nella piena  maturità. L’aver intrapreso una formazione artistica a 360 gradi,  passando dalla danza classica agli studi al liceo artistico, fino al conseguimento della laurea in Pittura all’Accademia di Belle arti di Roma, coincide in quegli anni con una volontà ancora allo stato embrionale, ben lontana dalla presa di coscienza di quello che volevo e potevo essere, e che avrei maturato negli anni a seguire.
Se ripercorro a ritroso la mia storia,  posso affermare che  l’attrazione che la fotografia ha esercitato su di me fin da giovanissima, non era paragonabile a nessun altra attività di  gioco o di intrattenimento.
L’oggetto che incarnava ogni mio desiderio era circoscritto in quell’occhio magico, che mi scrutava e attraverso il quale stabilivo il mio contatto con il mondo. Le prime fotografie sono autoritratti e ritratti di famiglia, in particolar modo  ritratti “rubati” di mia madre.
Al linguaggio pittorico dei primi anni accademici, subentra progressivamente la sperimentazione con la fotografia, il video, il suono e la parola. Fino a trovare una mia cifra stilistica, quella che oggi mi rappresenta  senza compromessi.
Lavoro sullo stato e lo spazio di presenza, durante i miei scatti o le mie performance mi adatto ad esso, non preparo il set, tendo ad improvvisare a privilegiare l’elemento della fortuità e del caso. Lavoro sempre su precari equilibri (nell’arte come nella poesia), che mi aiutano ad abbattere la  confort zone, a rischiare e a sperimentare esiti imprevisti. Sospesa in una dimensione fluttuante. Accolgo e trasformo.  Con la mia opera metto in atto una palingenesi, ovvero “una predittiva rigenerazione” (come il poeta veggente).
Il rapporto con l’elemento narrativo è molto stretto… l’idea nasce sempre da un pensiero – voce narrante un io plurimo che si manifesta e si riunisce nell’essere performativo, come atto o insieme di atti espressivi agiti nell’improvvisazione. studio e preparo l’impalcatura narrativa ma non adatto ad essa il mio agito, faccio sì che quest’ultima ne divenga una sua pendice, in una relazione di libera interdipendenza, nella costruzione di significanti prima ancora che di significati.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

L’elemento affettivo-narrativo è senz’altro una costante anche nella fase matura del  mio lavoro, il cuore pulsante della mia ricerca, che si nutre e si sviluppa a partire dalla ricostruzione di ricordi e stati d’animo, in seno alle costellazioni familiari e genealogiche. I vissuti e le storie tramandate, immaginate, ricostruite straripano dalla realtà al sogno, nel detto e nel non detto, nel rimosso. Fin da subito, dirompe la passione per la poesia, che nel tempo assume un ruolo sempre più incisivo nella genesi creativa delle mie opere: Poesia ed immagini traspaiono in esse come riverberi e sprazzi di memorie, frammenti senza tempo, riconsegnate all’oblio di un altrove: nell’impermanenza.
La tecnica del foto monologo interiore mi consente, attraverso il libero flusso dei ricordi, di rappresentare ed agire vissuti mediante parole, suoni e immagini ricreando una sorta di “archivio del ricordo”; un’introspezione in cui affiorano tracce o frammenti di memoria, con la quale é ancora aperto e vivo un confronto.
Mente e corpo.
Il Corpo diviene il fulcro di una ricerca intimistica ed umana, scevro da ogni orpello e sovrastruttura formale o concettuale. Mi focalizzo e pongo al centro della mia ricerca e di ogni mia riflessione Il Corpo dell’azione, che cela ed al contempo manifesta  l’essere mutevole, l’enigma sfuggente a logiche e definizioni.
La mia arte, infatti, é pura cinestesia. I miei lavori spesso sono numerati in atti (atto I – II – III – ecc.,), oppure in range di anni; questo per un motivo ben preciso, sia di natura pratica, ovvero di classificazione, e sia per circoscrivere e scandire il ritmo della performance o la sequenza di movimenti necessaria a imbastire una trama coesa, coerente e, soprattutto “generativa” della  narrazione rappresentabile, che mi sono prefissa. Ogni atto è come se fossero tanti fotogrammi, tanti quanti quelli necessari per far funzionare la sequenza narrativa. Gli anni sono un’astrazione del medesimo procedimento, ma molto più personale ed ermetico. Costruire progressione è l’obiettivo fondamentale, anche se a volte sono necessari migliaia di scatti ed ore di riprese per raggiungerlo.
Viene denominata intelligenza corporeo cinestetica, ed è il canale preferenziale ed innato che utilizzo per esprimere, in maniera autentica e personale, me stessa. I miei movimenti sono presi in prestito dal mondo della danza. Ho fuso questa esperienza di quasi 7 anni, dedicati all’universo del movimento del corpo e dello spirito, con  le esperienze espressive successive. Un bisogno direi quasi atavico, di esprimermi attraverso il linguaggio della  danza, utilizzandolo come  canale di comunicazione elevato ad  esercizio di sublime poesia. Simbolicamente la danza suggerisce una modalità di incedere nella vita,  secondo un dato passo o ritmo, è anche ripetizione sequenziale di gesti, improvvisazione, ricerca e perdita di equilibr(io).
Lasciarsi danzare. Non è la stessa cosa di mettersi a danzare. Lascio che il mio peculiare modo di essere, di esprimermi e di comunicare sia “gesto e movimento”. Lascio che ie mie vene pulsino, creando reticoli sempre nuovi sulle mie gambe. Che i miei occhi, ad ogni battito o tremolio di palpebra, comunichino il mio stato d’animo, generando inedite  “calligrafie dello sguardo.”
Lavoro sullo stato e lo spazio di presenza, durante i miei scatti o le mie performance mi adatto ad esso, non preparo il set, tendo ad improvvisare a privilegiare l’elemento della fortuità e del caso. Lavoro sempre su precari equilibri (nell’arte come nella poesia), che mi aiutano ad abbattere la  comfort zone, a rischiare e a sperimentare esiti imprevisti. Sospesa in una dimensione fluttuante. Accolgo e trasformo.  Con la mia opera metto in atto una palingenesi, ovvero “una predittiva rigenerazione” (come il poeta veggente).
Il rapporto con l’elemento narrativo è molto stretto… l’idea nasce sempre da un pensiero – voce narrante, un io plurimo che si manifesta e si riunisce nell’essere performativo, come atto o insieme di atti espressivi agiti nell’improvvisazione. Studio e preparo l’impalcatura narrativa, ma non adatto ad essa il mio agito, faccio sì che quest’ultima ne divenga una sua pendice, in una relazione di libera interdipendenza, nella costruzione di significanti prima ancora che di significati.
Nelle mie performance video mi racconto, attraverso le inesorabili “trasformazioni” che scorrono nella cornice di uno spazio di presenza personale privato, in cui azioni mute e laceranti – come passaggi necessari o soglie di trasformazione –  tentano di oltrepassare il limite della natura stessa del dolore e debellarne come un morbo, la sua “imperitura memoria.”
Il tema del dolore è un motivo ricorrente: Esperire dolore. Esalare sofferenza. Raggiungere l’essenza.
“Se l’esperienza del dolore viene esperita in grandezza, possiamo mutare il mondo e il corso della nostra vita.”
Alla passione per la poesia e la scrittura si aggiunge quella per il Cinema Muto. Tra i capolavori del repertorio muto mi incantano, dal punto di vista formale, soprattutto  le opere sopravvissute all’azione del tempo,  come frammenti quasi illeggibili di pellicola. Un senso di “indefinito e di indeterminato” che mi seduce, e che è altro tema ricorrente nel mio lavoro, specchio della condizione umana mutevole ed instabile.
In particolar modo, prediligo il genere drammatico e psicologico che alimenta il mio immaginario, influenzando le mie creazioni video, che intendono restituire una mappatura dell’inconscio e del suo flusso senza tempo, che riscrive incessante trame di destini paralleli, in un componimento corale, di fantasmatiche plurime voci poetiche. Fonte di ispirazione e presenze costanti nei miei lavori,  le poesie degli autori ed autrici con i quali  condivido uno sguardo complice ed un sentire affine. Spesso, accosto ad esse ed alle mie performance, segmenti di pellicola intervallati da incisi o versi poetici, utilizzando la tecnica del cut off e del found footage; ricomponendoli in una nuova narrazione, trasformando e accrescendo scena dopo scena, il livello di tensione di ogni atto che sta per compiersi, quasi a sospenderlo, a congelarlo, portandolo ad una soglia in cui tutto può accadere o sta ancora accadendo o è già accaduto.
Nelle mie serie fotografiche e video performance, Natura e Corpo sono assimilati e compenetrati in un unico organismo, il cui funzionamento è molto simile a quello di una pianta, di un albero, di un polmone verde che pulsa all’unisono con l’essenza. Ritorno alla mia parte animale più autentica, alla primigenia; la mia anima si commista alla terra, all’inestricabile universo dei sentimenti umani, come in una fitta vegetazione, le mie vene irrorano il corpo di humus. Mi spingo in profondità recondite, raggiungo i nervi scoperti del funzionamento dei miei pensieri, come le radici che riaffiorano dalle crepe della terra.
Fin dagli esordi del mio percorso,  elaboro il metodo  “Photo_Synthesis“,  dal quale nasce il progetto fotografico  “Studio del movimento del corpo.”
Come una pianta il Corpo umano immagazzina luce-energia solare o lunare – per attivare le trasformazioni per mezzo di misteriosi scambi energetici.  Entro in risonanza con la natura e la sua magia, instaurando un legame di moto simbiotico con le cose che mi circondano. Lasciare che il flusso creativo generi nuova linfa ed avvenga il miracolo della “photo-synthesis”, diviene “vitale” per la mia arte. Ogni azione è originata da sollecitazioni invisibili, corrispondenti ai movimenti degli strati profondi, sottili ed immateriali del corpo.
In sintonia con il respiro.
Luce ed energia che è anche manifestazione ovvero epifania e, poiché apparire è prendere forma dal nulla (ad_parére “venire alla luce”), l’apparenza come rivelazione diviene la sola profondità possibile.
Indago e porto “oltre” le esperienze sensibili, in uno spazio di presenza visibile, lasciando emergere ombre e luci dell’essere, spazi dell’io impervi e sommersi, dove lo spazio dell’azione diviene luogo dell’imprevisto, del “possibile”, quindi del cambiamento. Emblematici i titoli di alcune serie fotografiche: (Venuto alla luce) è il titolo del primo lavoro della serie…rappresenta simbolicamente una ri – nascita, così come le opere rivelatrici, già nel titolo, di una duplice chiave di lettura, dai significati intrinseci sia di natura funzionale che trascendentale: “In(contro) luce” , “Come una prima(vera) luce”, “Epifanie lunari”, “(Ph)osphorescence”, ecc.,.
Nel mio lavoro il “fare artistico” è sempre allineato con l’ascolto, uno stato mentale di di silenzio interiore, di libero flusso del pensiero privo di argini, come un lago calmo e profondo che si trasforma in un fiume in piena. E’ una ricerca che si alimenta e trae il suo nutrimento dalle esperienze personali ed i vissuti, che entrano in risonanza con tutti i viventi. La mia arte è il raccolto sempre grato tanto al cielo ed alla luce, quanto all’ombra dell’attesa, nel silenzio. Il poeta e al di là e al di qua delle parole. Sul filo spinato.
La parola, la voce, la poesia, divengono quel filo che cuce insieme i frammenti che compongono l’intero.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Dal mio punto di vista, l’artista dovrebbe tornare ad essere una presenza di spicco nella nostra società e, il suo lavoro,  riconosciuto come seminale per la spinta al cambiamento. La creatività, il pensiero creativo, sono considerate sempre più delle competenze da acquisire, ed è dallo sconfinamento delle competenze e dalla contaminazione tra i saperi, che possiamo reinventarci e rigenerare nuova linfa.
L’artista da sempre  ha la capacità di modellare e muovere flussi di pensiero, di generare l’energia per l’avanzamento delle civiltà e di farsi interprete del suo tempo.  La sua funzione è fondamentale per la crescita e lo sviluppo della società,  infatti l’arte può azionare molti interruttori contemporaneamente; è un linguaggio universale, me ne rendo conto sempre di più dai i social. Attraverso il filtro dell’arte crollano barriere. L’arte inoltre, è la chiave che può aprire varchi. Penso che sia questa la sua missione oggi,  farsi interprete e voce di bisogni universali spesso disattesi; nel mio lavoro pongo fortemente l’accento sul concetto di voce o assenza di essa, come stato di deprivazione e conseguente condizione di dolore.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

I miei programmi per il futuro riguardano principalmente un mio prossimo trasferimento, probabilmente nella mia città natale, Roma. Non escludo però altre destinazioni.
Immagino la mia nuova dimora,  metà abitazione e l’altra metà adibita come spazio accessibile di fruizione per la video arte.
Attualmente ho terminato le riprese del mio nuovo video sul tema della caducità, dal titolo “Caducitas (choc désir)”, improntato sull’espressione corporea gestuale, il movimento e la danza.
Parallelamente sto lavorando  un progetto multimediale dal titolo “Tout le reste en arrière-plan,” un’opera  sulla visione trasversale, tra arte e poesia.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Mi riallaccio a quest’ultimo “sforzo creativo”,  per rispondere con completezza alla domanda postami.
L’artista e tutte le altre figure professionali che gravitano nel sistema dell’arte contemporanea, subiscono il pregiudizio e l’ingiusta etichetta dell’essere l’anello debole del sistema, pagandone inevitabilmente tutta una serie di conseguenze, prima fra tutte l’invisibilità. Inoltre, molto spesso progetti interessanti conoscono  battute di arresto o devono essere autofinanziati dagli artisti stessi, poiché le istituzioni offrono poco margine. Sarebbe auspicabile che, le risorse fossero distribuite in modo equo, ma qui preferisco non addentrarmi oltre. Mi auguro che i tempi siano finalmente maturi ed  inizi una nuova era, in cui queste problematiche trovino da parte delle istituzioni  la dovuta accoglienza, occupando una posizione di primo piano e, citando il titolo del mio nuovo video (Tout le reste en arrière – plan), non siano più relegate “sullo sfondo.”

 

 

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