05 giugno 2023

exibart prize incontra Gianfranco Gentile

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Un percorso di memoria, a caccia di reperti tecnologici della rivoluzione industriale che fu  anche un sogno e un’illusione, un’epica cristallizzata.

Gianfranco Gentile

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Da Verona, dove sono nato, nell’autunno del ‘68 sono andato a vivere a Firenze dove mi sono laureato in Architettura. A metà degli anni ’70, seguendo la mia passione per la musica, ho frequentato il corso quadriennale di Fonologia e Musica elettronica diretto da Albert Mayr presso il Conservatorio Luigi Cherubini. Con il gruppo Nuova Musica diretto da Mayr, ho partecipato a manifestazioni di musica contemporanea in Italia e all’Estero e a performance del movimento artistico Fluxus. Ho collaborato a diverse colonne sonore, a volte anche in forma di performance dal vivo, per lavori teatrali tra cui i 6 eventi del Teatro Invisibile di Aldo Rostagno. All’inizio degli anni ’80 mi sono trasferito a Roma per la realizzazione di Finita Infinita, progetto teatrale della cantante e attrice Maria Monti, una lettura per attrice, percussioni e nastro magnetico sulla Nascita del Teatro nella mitologia  Vedica. Nella seconda metà degli anni ’80, tornato a vivere a Verona, per alcuni anni sono alla guida di una rock band e dalla metà degli anni ’90 inizio il percorso nell’arte pittorica che mi ha portato ai nostri giorni. Artisticamente, il mio è un percorso da autodidatta, mutuato da esperienze di lavoro creativo in diversi settori (grafica, scenografia, oggetti d’arredo), di lavoro manuale (manovale, idraulico, imbianchino) e di passione fotografica.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Un percorso di memoria, a caccia di reperti tecnologici della rivoluzione industriale che fu  anche un sogno e un’illusione, un’epica cristallizzata. Con l’utilizzo del cartone ondulato da imballaggio, spesso riciclato, e l’uso dei pastelli morbidi come tecnica pittorica, il mio lavoro manipola artigianalmente, concettualmente e artisticamente il materiale, non più mero supporto all’azione pittorica ma parte integrante dell’opera in dialogo ritmico con l’oggetto rappresentato. Con una tecnica di asporto meticoloso della superficie non dipinta, metto a nudo la struttura ondulare del cartone ottenendo un duplice effetto: una percezione quasi tridimensionale dell’opera e una decontestualizzazione del soggetto che ne fa una sorta di reperto catalogato e di icona della memoria. Le possibilità creative nell’utilizzo del cartone mi hanno col tempo portato a elaborare nuove tecniche espressive in altri contesti. All’interno di iniziative del “Movimento Arte Etica”, di cui faccio parte, ho realizzato grandi murali di cartone: Octopus Domesticus (m. 8,50 x 18,80) nel 2016, sul riciclo della plastica e La Danza Macabra delle rane e dei girini (m 4 x 37) sull’inquinamento ambientale, a Palazzo della Ragione di Mantova nel 2017. A causa della cecità e disumanità delle politiche anti-immigrazione, alcuni lavori recenti sono dedicati a sensibilizzare sulle condizioni di vita di gran parte degli immigrati e dei salvataggi in mare. In queste opere la fragilità del cartone si fa metafora della fragilità di queste persone, e il tema, così importante perché non si fermi a una fruizione superficiale, mi porta spesso a integrare la pura pittura con l’installazione (Visita al Sacro Pomodoro –  la nuova schiavitù nei campi) e la performance (No-people boat – la riduzione a numeri dei migranti), un invito a uno sguardo diverso dalla pratica saturante e consumistica dell’informazione mediatica.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Come ho già scritto, il mio lavoro è fortemente caratterizzato da un impegno sociale sia nella sensibilizzazione sulle tematiche ambientaliste che in quelle umanitarie. Ritengo che l’arte possa avere quantomeno un ruolo di stimolo e riflessione anche se, guardando il mondo con occhio freddo, vago tra la speranza e la distopia. Ritengo però anche che un artista debba essere libero di seguire le proprie inclinazioni o ricerche e non essere necessariamente coinvolto da temi di carattere sociale.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Oltre alla creazione di nuove opere che mi impegneranno per le esposizioni già in programma fino al 2025, lavorare al progetto di integrare sempre più le diverse componenti del mio fare artistico, una realtà fatta di ambiente visivo, sonoro e gestuale.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Prima di tutto riconoscendo la figura giuridica dell’artista e investendo per sostenere la ricerca e la produzione artistica, come avviene nei grandi paesi europei. In Italia siamo così lontani da un corretto e lungimirante approccio al problema che, giusto per fare un esempio quasi banale, chi come me ha una carta d’identità internazionale da artista professionista, rilasciata dall’AIAPI (Associazione Internazionale Arti Plastiche Italia) partner ufficiale UNESCO, entra gratuitamente nei principali musei d’arte europei ad esclusione del nostro Paese.

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