27 marzo 2023

exibart prize incontra Lucrezia Costa

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Gli elementi principali del mio lavoro funzionano come un flusso che ha avuto la sua origine nel mio interesse per l’architettura vernacolare come rinnovata possibilità ecosostenibile, evolutosi in una forte attrazione per la terra e per gli elementi semplici e poveri.

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Mi sono formata prima come fotografa con una laurea triennale alla LABA di Brescia dove ho avuto Giovanni Gastel come mentore, per poi proseguire i miei studi e ampliare le mie conoscenze nell’ambito dell’arte contemporanea con il biennio specialistico in arti visite e studi curatoriali alla NABA di Milano. Il cambio di indirizzo tra triennale e magistrale e la formazione complessa e reticolare che ho ricevuto sono stati stimoli che hanno segnato la mia costante ed imprescindibile evoluzione. Sono partita pensando che l’artista è un eletto dotato di un talento impensabile per i comuni mortali, me mi sono ricreduta sposando la tesi di Rudofsky per cui “tutto si può fare con tutto, è il tocco umano che conta”.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Direi che gli elementi principali del mio lavoro funzionano come un flusso che ha avuto la sua origine nel mio interesse per l’architettura vernacolare come rinnovata possibilità ecosostenibile, evolutosi in una forte attrazione per la terra e per gli elementi semplici e poveri, alla ricerca di analogie tra il corpo umano e il corpo del mondo. La commistione tra terra ed il senso di precarietà figlio della pandemia mi hanno avvicinata poi a temi come l’entropia e il decadimento fisiologico sfociati poi nel mio ultimo progetto “Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini”, un archivio partecipativo sul tema del dolore con una connotazione più socio-politica.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

Credo fortemente nell’arte come volano del cambiamento ma sono convinta che perché il motore inizi a far sentire la sua spinta propulsiva, occorra incidere strutturalmente sul sistema dell’arte per scongiurare dispersioni, auspicando invece la più ampia interconnessione collettiva. Un ruolo fondamentale lo giocano le istituzioni che devono necessariamente evolvere customizzando le risposte sulle specifiche richieste del tessuto sociale.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

A maggio porterò a Galleria Ramo (Como) il progetto “Trentatré ovvero tre rampe da undici gradini” insieme ad una pubblicazione ad esso dedicata. Subito dopo parteciperò a una residenza in Italia che sarà una grande sfida per me, mentre a novembre sarò in Finlandia. Insieme al mio collettivo The Sympoietic Society intraprenderemo un tour di tre mesi dedicato alle forme dell’acqua e alla perdita del patrimonio naturale a causa dello scioglimento dei ghiacciai.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Ultimamente noto una maggiore attenzione rispetto al mondo artistico e curatoriale, soprattutto emergente: gli studio visit della Quadriennale, piuttosto che alcune forme di residenza artistica e premi come quello di Exibart creano opportunità fino a pochi anni fa impensabili.
In altri contesti però si finisce spesse con l’arenarsi in bandi oscuri e farraginosi, che suonano più come deterrenti volti a scoraggiare artisti e curatori piuttosto che come una reale volontà di coinvolgerlo in iniziative di valore. Forse un modo per agevolare il lavoro di artisti e curatori potrebbe essere rendere limpide e più snelle le modalità di partecipazione e il coinvolgimento in alcune iniziative.

 

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