11 novembre 2022

exibart prize incontra Nadia Galbiati

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Vedo nel mio landscape quotidiano la maggiore fonte di ispirazione. La città è la primaria esperienza di relazione tra vuoto e pieno, tra materia costruita e spazio vuoto.

Nadia Galbiati

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Ho iniziato a elaborare un mio linguaggio plastico già negli anni degli studi accademici, mi sono laureata in scultura a Brera. Integrando successivamente la mia formazione con differenti tipologie di master e corsi, in particolare il T.A.M. sotto la direzione artistica di Eliseo Mattiacci.  Già da allora la progettazione di opere di solo tre dimensioni e che si limitassero allo spazio di un basamento,  mi stava stretta. Attraverso simposi, residenze e mostre ho cercato quindi di lavorare nell’espansione della forma scultorea con la logica installativa, portando sempre la relazione tra opera e spazio espositivo come elemento fondamentale della ricerca. Molto importante è stata la residenza all’Accademia di Lodz in Polonia così come il Kuzukubo Art Camp in Giappone, dove ho integrato il progetto scultoreo/installativo con altre tecniche artistiche, come l’incisione e il disegno.
Partendo da progetti espositivi auto prodotti in spazi no profit, all’inizio del duemila, sono approdata al rapporto con gallerie private, in Italia e all’estero, con le quali attualmente lavoro.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Il principale è il tema del rapporto spazio-materia che, nella mia ricerca, trova ispirazione nel tessuto urbano. L’architettura e il tema città, scultura/architettura, sono alla base della mia concettualità. Vedo nel mio landscape quotidiano la maggiore fonte di ispirazione. La città è la primaria esperienza di relazione tra vuoto e pieno, tra materia costruita e spazio vuoto. Come una matrice: l’una disegna l’altra e porta alla nostra percezione del vuoto come materia. Da questa si innestano concetti relativi al noi e ora e ai pensieri sull’oggi. Sull’essere ora nel tempo presente, sensazioni e sentimenti, il sentire personale che diventa messaggio collettivo.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

In primis la bellezza dell’arte è sempre motore primario all’evoluzione della sensibilità umana, trasmissione di sensazioni, pensieri ed esperienze. L’arte ha e avrà sempre il ruolo di matrice per la formazione di un sentire sempre in espansione. Credo che la mia produzione artistica sia un micro tassello in un mosaico di linguaggi che spinge ad una evoluzione collettiva. Dalla fruizione personale e domestica di un opera, che accresce e stimola sensazioni intime, ai progetti mostre a fruizione collettiva, di varia natura, che arricchiscono il percorso esperienziale collettivo. Ciò che le mie opere raccontano sono storie dove tutti possono immedesimarsi, aprendo la propria sensibilità dal sentiero che nasce dalla mia poetica.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Sto lavorando a nuovi cicli di opere, cercando sempre di mettermi in discussione, azzardando nuove forme di espressine del mio pensiero. Calibrando il desiderio di condividere il mio sentire personale con le necessità collettiva del presente.
Per l’arte le mostre sono fondamentali, è il nostro “campo di gioco”, articolato in diverse situazioni e contesti. Ognuna ha un suo scenario culturale e commerciale. E’ qui che si propone un dibattito e una relazione con il pubblico. Sperando che anche il mercato dell’arte abbia nuova spinta, perché è fonte di sostentamento alla nuova e sempre rinnovata produzione. Nei prossimi mesi sarò presente in collettive in diverse città italiane, una mostra personale e in lavorazioni altre per il 2023. Seguitomi su i miei canali social.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

C’è poco da girarci intorno, come detto sopra, comperare arte contemporanea. Ma non intendo solo i soliti nomi noti, assecondando le logiche di mercato imposte dal circuito oligarchico di gallerie nazionali e internazionali. La realtà dell’arte non è una fiction.
Le istituzioni devono acquistare opere, con quotazioni normali, ad ampio raggio su tutte le fasce di età e di molteplici linguaggi e ricerche. Sostenendo la produzione nazionale. Perché acquisire è sostenere. Non basta qualche raro e striminzito fondo per progetti espositivi sterili e sempre rivolti a una nicchia di artisti, sempre più ristretta, per rare collezioni/musei del contemporaneo. Che servono solo la logica del mercato delle già citate gallerie. Investire, come in tutti i settori, vuol dire metterci soldi. Se non sono le istituzioni nazionali le prime a dichiarare che l’arte è un bene da comperare, perché ha un valore sociale ed economico, perché dovrebbero farlo le persone comuni?
Ben vengano anche fondi per produrre progetti culturali, ma che mettano sul tavolo abbastanza per realizzarli veramente. Mi fanno sempre ridere le cifre a pochi zeri per manifestazioni dichiarate importanti. Sapendo come tutti che in altri circuiti, dalla moda allo sport, gli zeri normalmente sono molti di più.

 

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