21 dicembre 2022

exibart prize incontra Vale Palmi

di

Tutto inizia e si conclude con il Sangue, linfa vitale che attiva e dà senso al disegno e a molte delle mie installazioni. Sangue come parte materiale dell’Anima.

Vale Palmi

Qual è stato il tuo percorso artistico?

Come ci siamo conosciute dunque?
Da adolescente annebbiata dagli antidepressivi cercavo di esprimermi in ogni modo possibile, esternavo goffamente e senza comprendere in quale via le mie energie sarebbero confluite. Il secondo anno di liceo mi fecero leggere un libro che, in qualche pagina marginale, parlava di un pittore che dipingeva il mare usando solo l’acqua salmastra del mare, un gioco di invisibilità sulla superficie della tela. Nonostante quel passaggio fosse ininfluente ai fini della trama, mi colpì. Allora il mio interesse per la Morte era già forte e avevo cominciato a studiarla da vicino con le prime ingenue sperimentazioni artistiche, ma quelle poche righe mi diedero un impulso in più e decisi che anche io volevo dipingere il soggetto con la sua stessa essenza. Iniziai così a realizzare dei ritratti ad amici che mi donavano il loro Sangue; certo i donatori non furono molti, ma da quel momento divenne la materia primigenia del mio lavoro.
In quel periodo sentivo che l’Arte impregnava tutta la Realtà, ma ancora non avevo capito quanto stretto sarebbe stato il nostro rapporto e continuavo a soffrire in una grigia depressione. Gli ultimi turbolentissimi anni di liceo passavo le ore di lezione a disegnare, era l’unico modo per renderle sopportabili, ciò non accadeva però in quelle di Storia dell’Arte, che seguivo con entusiasmo. All’iscrizione in Accademia venni ammessa sia a pittura che a didattica e fui piuttosto indecisa sul sentiero da seguire…sapevo solo che amavo l’Arte…il crescente desiderio di esserne penetrata risolse il dubbio e il seme della creazione si piantò nel mio ventre.
Ogni anno all’Accademia è stato un passo in avanti nel nostro rapporto, più diventava stretto più la depressione si diradava; l’Arte sostituì tutto (persino le amicizie) e al terzo anno ci sposammo ufficialmente, il tatuaggio sul mio anulare sinistro lo testimonia.
Ora non sono solo la sua sposa ma sono anche la sua umile servitrice a tutto tondo, non mi occupo più solo di portare avanti il mio lavoro artistico ma anche quello degli altri, promuovendo artisti grazie alla galleria che ho aperto insieme a Giovanni Avolio, Studio la Linea Verticale.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Ci sono elementi materiali ed elementi immateriali.
Tutto inizia e si conclude con il Sangue, linfa vitale che attiva e dà senso al disegno e a molte delle mie installazioni. Sangue come parte materiale dell’Anima. Questo ciclo è particolarmente letterale nei disegni, per ottenere i quali parto costruendo lo scheletro del soggetto con il Sangue direttamente sulla carta. Seguono svariate ore di lavoro con molteplici tipi di matite e biro e, in conclusione, nuovamente il Sangue, che va a rimarcare le parti spesso sepolte dal processo e a dare una colorazione più scura alla trama intessuta di segni. Il Sangue apre e chiude la stratificazione del lavoro.
Le Ossa, sculture perfette della Natura, multipli unici ed assoluti, testimonianze irriducibili della materia per le quali ho un vero e proprio feticismo, le sintetizzo col disegno, oppure le porto nelle installazioni come documentazione ultima della realtà materiale.
I mattoni di Gasbeton, che mi servono a costruire strutture geometriche adatte alla venerazione degli Déi in putrefazione, piccoli memoriali che interagiscono con altre Realtà grazie a sostanze (essenze) attive.
Tra gli elementi immateriali vi è l’Aura di energia vermiglia che si estroflette dagli uomini in
decomposizione e turbinando si espande sulle grandi carte; la ritroviamo in ogni disegno, come il Vuoto, altro elemento della mia ricerca, che ottengo mantenendo una rispettosa distanza del gesto.
Infine l’Oltre, le altre dimensioni, l’Assoluto…o come preferite chiamarlo…l’Aldilà, che è un richiamo, un’urgenza, la voglia di tornare a casa.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’Arte che interagisce con la società è il pop(ular). Non credo che l’Arte dovrebbe interagire con la società a meno di voler essere assolutamente orizzontale e superficiale. Essa dovrebbe invece interagire con il singolo individuo e penetrarlo come un ago fino a bucargli cuore, cervello e Anima. L’Arte deve sconvolgere il senso della vita di ognuno di noi, ribaltare ogni nostra priorità e far bussare alle porte della carne il nostro Sé. Ecco che l’Arte deve staccarsi dall’orizzontalità e concentrarsi invece sulla verticalità, l’elevazione e la maturazione della Coscienza. L’Arte deve sì formare l’umanità, ma deve farlo come un’insegnante di sostegno, prendendosi carico di ognuno di noi singolarmente e seguendoci fino a che non avremo consapevolezza delle nostre disabilità e sapremo scalare da soli…

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Citando i Baustelle “Il futuro desertifica la vita ipotetica […] il futuro cementifica la vita possibile” … non è roseo ma posso renderlo Rosso, no?
Non è dunque previsto alcun divorzio dall’Arte, le resterò fedele e cercherò di onorarla ogni giorno primariamente continuando la mia ricerca artistica e poi approfondendo la teoria della linea di ricerca verticale, l’unica che, riprendendo dalla domanda precedente, può sollevare l’Umanità dal decadimento totale ed indicarci la via in salita, l’Acclivitas.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Smettendo di concepire l’Arte come un bene superfluo si potrebbe arrivare a rivelarne la sua vera potenzialità di educatrice dello Spirito. Ecco che allora le scuole dedicherebbero più ore al suo studio e finalmente i programmi potrebbero arrivare fino all’arte contemporanea. Ecco che ci sarebbe meno ignoranza e interrogando a caso le persone per strada saprebbero discernere tra una galleria e un museo, tra un artigiano e un artista, tra l’Accademia e il DAMS… Ecco che i musei smetterebbero di promuovere artisti che giocano all’ormai popolare, ripetitiva e svilente ridicolizzazione di un’arte che è già zimbello, critica di un’arte che è già suicida, distruzione di un’arte che è già rovina.

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