09 febbraio 2021

IN-ATTESA Nove voci sul tempo delle migrazioni alla Prometeo Gallery di Milano

di

www.prometeogallery.com

Martedì 9 Febbraio, dalle ore 11.00 alle 21.00, nella sede milanese di Prometeo Gallery Ida Pisani (in via Ventura 6) inaugura In-attesa, mostra collettiva che ripensa la migrazione umana contemporanea attraverso una conversazione tra nove “narratori”: Maria José Arjona, Filippo Berta, Regina José Galindo, Edson Luli, Maria Evelia Marmolejo, Ruben Montini, Santiago Sierra, Giuseppe Stampone e Mary Zygouri.

In concomitanza con l’opening in via Ventura, si apre anche una nuova collaborazione con VIAFARINI, nello spazio CONCORDIA 11 (in Corso Concordia n.11, 20129 Milano), che si concretizza nella costruzione di un dialogo espositivo tra due artisti, uno rappresentato dalla galleria e uno attualmente in residenza presso la storica organizzazione non profit: Regina José Galindo e Arjan Shehaj.

Idealmente senza soluzione di continuità con la rassegna collettiva A volte penso che…, con riflessioni visive sul primo scoppio della pandemia, Prometeo Gallery decide ora -a un anno dall’origine dell’emergenza sanitaria- di rileggere il racconto di nove autori sul tema delle migrazioni dei popoli, una diaspora forzata e costante cui l’evento pandemico si sovrappone con effetti devastanti, e a cui questo inedito cataclisma rischia di sottrarre la giusta attenzione dell’opinione pubblica.

Colmando cosi frequenti lacune mass-mediatiche, In-attesa si propone di riportarci a riflettere sui germi di questi fenomeni migratori, dall’epilogo spesso tragico. Attraverso opere video, disegni e installazioni si dà prova che ciò che non lascia scelta al migrante, ovvero i conflitti, la povertà e la scarsità delle risorse, è spesso frutto di comportamenti predatori del singolo potere, o di scelte politiche comunitarie inique. La selezione di opere in mostra getta luce sui semi di queste diaspore, in segno di lotta contro ogni politica di esclusione e di disumanizzazione, offrendosi invece come strumento corale per andare oltre qualunque confine fisico e linguistico, in cui troppe voci spesso si perdono. Fortemente stratificata, già dal titolo la mostra sottolinea in particolare la condizione di attesa, patita dai migranti in transito per espletare una qualsiasi funzione basilare per l’uomo: attesa per mangiare, per avere un letto in cui dormire, per andare in bagno, per essere rilasciati o perché qualcuno li vada a prendere.

Il percorso espositivo
Nell’opera Flag (2016), l’artista Maria José Arjona (Bogotà, Colombia, 1973) appare mentre sventola come vessillo identitario una coperta termica dorata, spesso fornita come primo genere di conforto ai migranti. Anche l’italiano Filippo Berta (Treviglio, 1977), con l’opera Homo Homini Lupus (2011), riprende il simbolo della bandiera -in questo caso tricolore-, che il video mostra mentre viene contesa e sbranata dai lupi. Lo stesso Berta in On the Straight and Narrow (2014) evidenzia poi l’impossibilità di trovare un equilibrio quando si cerca di aderire, razionalmente, al corpo sociale. In questo video una fila di persone, riprese dall’alto, cammina cercando di seguire il margine del bagnasciuga, linea ideale di un confine evanescente.

Relazioni di potere, legale e illegale, definiscono il complesso panorama delle migrazioni contemporanee tra America Centrale e Stati Uniti, che Regina José Galindo (Guatemala city, Guatemala, 1973) ha indagato nell’installazione America’s Family Prison, composta da foto, video e da una chiave contenuta in una teca. Il progetto del 2008 di Galindo, acquisito successivamente dal MoMA di New York, consisteva nel far sostare l’artista, il suo compagno e la figlia nella piccola cella a forma di cubo prodotta dall’azienda T. Don Hutto, la prima autorizzata dallo stato del Texas a produrre celle per ospitare famiglie intere, trattenute dalle autorità nel loro tentativo di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti.

Nel 1985 Maria Evelia Marmolejo (Pradera, Colombia, 1958) si trovava incinta a Madrid, in Spagna: nella serie fotografica America l’artista colombiana ricorda che la scoperta del Nuovo Continente coincise con l’inizio del colonialismo europeo. Niente avrebbe dovuto legittimare gli orrori dei colonizzatori sui colonizzati e niente deve legittimare il perpetrarsi di certe atrocità.

Alle radici di ciò che rende tale l’uomo, compreso l’innegabile bisogno di spostarsi, risale l’intenso video in bianco e nero What is man? (2014) di Edson Luli (Shkoder, Albania 1989), in cui in un intimo close-up ogni intervistato, di differenti etnie e ceppi linguistici, risponde alla perpetua domanda che rimanda al filosofo greco Diogene e che assume nuovi significati in tempi di melting-pot e globalizzazione. Non a individui, ma al mare, detentore di tutti i corpi e di tutte le storie di quei migranti che non sono riusciti a oltrepassarlo, si rivolge invece Ruben Montini (Oristano, Italia, 1986) autore della struggente installazione Habibi (2019), fatta di fotografia e ricamo.

Le vittime di relazioni economiche che prevalgono su quelle personali sono poi il soggetto dell’opera fotografica monumentale di Santiago Sierra (Madrid, 1966) 3000 huecos de 180 x 50 x 50 cm cada uno (2002), un’azione realizzata attraverso un gruppo di immigrati di origine magrebina e sub-sahariana che ha scavato 3.000 buche, ciascuna a dimensione umana, su una collina di Montenmedio a Cadice, in Andalusia, da dove si può intravedere il continente africano.

Un panorama libero da qualsiasi pregiudizio è quello che Giuseppe Stampone (Cluses, Francia, 1974) immagina in Mimesis (2018), prendendo in prestito la Madonna del Belvedere di Raffaello, allora icona del nuovo spirito del Rinascimento e oggi simbolo di un nuovo mondo globale, la cui bandiera è ancora tutta da disegnare. Un’altra citazione è  infine quella che si ritrova in Venus of the rags/In transit/Eleusis (2014), dell’artista greca Mary Zygouri (Atene, 1973), che ha ricollocato l’opera emblematica di Pistoletto in una Elefsina contemporanea, la regione dove ha avuto origine il culto della dea dei raccolti Demetra, rivendicando la partecipazione attiva della comunità in nome di interessi comuni.

NB: L’inaugurazione avverrà in un orario appositamente dilatato e nel rispetto delle attuali normative anti-Covid19.

 

Per informazioni:
Prometeo Gallery Ida Pisani – Via Ventura 6, 20134 Milano
Tel. 02 83538236
cell. 329 0564 102
info@prometeogallery.com
www.prometeogallery.com

CONCORDIA 11- Corso Concordia, 11, 20129 Milano
Aperto solo su appuntamento