03 settembre 2025

«Abitare significa rimanere stranieri»: viaggio nella 13a Biennale di Berlino

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Le volpi di Berlino diventano l’emblema della “fuggitività”: nell'hub culturale per eccellenza prende corpo Passing The Fugitive On, attraverso 60 gruppi di artisti e più di 170 opere esposte in quattro sedi

Installation view, 13th Berlin Biennale, KW Institute for Contemporary Art, 2025; image: Diana Pfammatter, Eike Walkenhorst. Front (column): Tsuyoshi Ozawa with Andreas Eberlein, Dagmar Tinschmann, Daisuke Deguchi, Jinran Kim, Kathrin Schiff bauer, Li Koelan, Manuela Warstat, Yuan Shun, New Nasubi Gallery, 1993. © Tsuyoshi Ozawa, © VG Bild-Kunst, Bonn 2025 for Dagmar Tinschmann-Lichtefeld, Kathrin Schiffbauer, Manuela Warstat and Yuan Shun; Back (videos and installation): Etcétera, LIBERATE MARS, 2025. © Etcétera

Le volpi di Berlino non sono belle, non hanno il pelo lucido e folto degli esemplari in salute. Si aggirano per la città come ombre, appena visibili nella loro magrezza, con un passo che denota fatica e fame. Stimolano una riflessione sul concetto di mediazione e riposizionamento, sull’arte come strumento per descrivere nuovi spazi e riscrivere storie.

La “fuggitività” delle volpi è l’immagine che dà corpo a Passing The Fugitive On: la 13a edizione della Biennale d’Arte di Berlino a cura di Zasha Colah, con assistente curatrice Valentina Viviani, in mostra dal 14 giugno al 14 settembre 2025. La Biennale si compone di oltre 60 posizioni artistiche e più di 170 opere esposte in quattro sedi: Sophiensæle; KW Institute for Contemporary Art; Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart e l’ex tribunale in Lehrter Straße. Si tratta di spazi che riportano le memorie della violenza ma anche della resistenza di quel passato recente che ha segnato profondamente la Germania.

Passing The Fugitive On può essere letta come un messaggio o un’istruzione per chi la riceve, mentre i contenuti fuggitivi in Biennale sono come dei segni di trasmissione, dati dalla qualità imprevista dell’incontro. Segni che sono il riflesso di una condizione per cui «abitare significa rimanere stranieri», come le curatrici la descrivono, così come le volpi lo sono per la città di Berlino.

Sophiensæle

Affacciandosi da uno dei balconi fioriti che decorano la corte della Sophiensæle, capita di incontrare uno degli abitanti silenziosi che rompono i confini tra ciò che è naturale e ciò che non lo è, tra la città e la foresta, tra l’umano e l’animale. L’edificio è uno di quei luoghi che raccontano un po’ della storia di questa città, dei mutamenti e della resilienza dell’arte che dal 1996 vive dentro questo spazio divenuto luogo per spettacoli indipendenti, teatro e danza. È qui che si apre la 13a Biennale di Berlino con la conferenza stampa tenutasi il 12 giugno 2025, dove l’opera Fox & Coyote di Daniel Gustav Cramer è un riferimento puntuale al concetto di fuggitività. L’artista fotografa due incontri: un coyote che passa ripetutamente davanti al suo bungalow nella Death Valley, in California; una volpe che cammina disinvolta per le strade di Berlino. Con le sue fotografie Cramer attraversa il tempo e lo spazio, abbattendo distanze e differenze.

All’interno dell’edificio altre opere contribuiscono a costruire legami alternativi, nuovi luoghi e una storia dell’arte differente, più aperta e meno conclusa rispetto a ciò cui siamo abituati nella nostra parentesi occidentale. L’artista Amol K Patil racconta quelle storie di attivismo che hanno scosso la sua India; l’installazione di Luzie Meyer dà corpo a voci tratte da raduni politici, dibattiti e momenti d’interazione con i media tedeschi. Infine, con l’opera di Major Nom si evidenzia ancor più chiaramente un uso dell’arte in chiave politica e attivista. L’esposizione della Sophiensæle è la dimostrazione di come l’arte abbia il potere di far parlare anche i muri più silenziosi.

Installation view, 13th Berlin Biennale, KW Institute for Contemporary Art, 2025; image: Diana Pfammatter, Eike Walkenhorst. From left to right: Panties for Peace, Panties for Peace Emblems, 2010/25; Chaw Ei Thein, from the series Artists’ Street, 2025. © Chaw Ei Thein; Exterra XX – Künstlerinnengruppe Erfurt, Selection of performance objects, ca. 1988–1993. © Exterra XX – Künstlerinnengruppe Erfurt

KW Institute for Contemporary Art

Le volpi di Berlino non hanno paura dell’uomo, conoscono solo la fame e attraversano la nostra quotidianità con disinteresse verso ciò che non le riguarda. Si spostano per le strade della città e ora siedono nel cortile del KW Institute, statuarie e di quella serietà selvatica che le rende tanto affascinanti e uniche, come le opere che costellano gli spazi dell’edificio e che costruiscono uno spazio primordiale. Una forma di animalità dell’umano e un rimando al mondo naturale come luogo di appartenenza comune e universale, riecheggia nella grande stanza cui si accede tramite l’installazione dell’artista Margherita Moscardini. The Stairway è una scultura percorribile, realizzata con 561 pietre, con cui l’artista ragiona sul senso della neutralità: in un mondo costellato di confini, etichette e differenziazioni è un concetto di enorme impatto, politico e sociale. Tramite la scala si entra in uno spazio abitato da sculture arcaiche che funzionano da casse di riverbero. Anawana Haloba armonizza un canto di resistenza che mescola voci prese da diverse tradizioni orali dell’Africa meridionale, riproducendo un sentimento collettivo di lotta.

Margherita Moscardini, The Stairway, 2025, installation view, 13th Berlin Biennale, KW Institute for Contemporary Art, 2025. © Margherita Moscardini; Gian Marco Casini, Livorno; image: Eberle & Eisfeld

Salendo ai piani superiori del KW Institute, abitano le numerose sculture tessili cucite a mano da Chaw Ei Thein, opere attivate in vari momenti di protesta contro il regime militare del Myanmar; mentre altri artisti e collettivi contribuiscono ad ampliare l’indagine sull’uso del digitale, oppure di maschere e costumi a sostegno di contesti reazionari e d’opposizione. Tra questi l’Akademia Ruchu, il gruppo Exterra XX – Künstlerinnengruppe Erfurt, l’installazione di Huda Lutfi, oltre alle numerose realizzazioni di Piero Gilardi. Queste opere vengono messe in dialogo con l’umorismo eloquente della serie di vignette Critical Imagination Deficit dell’artista indiano Sarnath Banerjee. La sezione della Biennale ospitata dal KW Institute è una potente dichiarazione d’intenti per cui l’arte è uno strumento vivo di riflessione, opposizione e trasformazione. Una chiara espressione del concetto di fuggitività: non si tratta di un momento di evasione ma di un processo di recupero della dignità con cui edificare uno spazio comunitario di resilienza.

Hamburger Bahnhof

La volpe è un animale dalle lunghe zampe, sottili, che le permettono di sgattaiolare veloce nel traffico dell’ora di punta o tra la folla fuori le stazioni principali della città come quella dell’Hamburger Bahnhof – capolinea storico della tratta Amburgo-Berlino – dissolvendosi dietro gli angoli del fitto reticolato urbano.

Nella Werkraum al primo piano del museo, prende spazio un percorso ideato come un camminare insieme, una moltitudine commovente di storie diverse, come indica il termine in lingua marathi Chawal che trova nella forma libera del camminare insieme un profondo atto di protesta non violenta contro la tirannia. La serie Retablos dell’artista argentino Gabriel Alarcon, reinventa i simboli del potere coloniale da una prospettiva contemporanea (“we can all see that the colonizer is naked”); alle loro spalle si aprono i cupi scenari pittorici di Vikrant Bhise: composizioni laceranti che fanno riferimento alla marcia di Satyagraha (1927) verso la cisterna pubblica, dove persone di caste diverse bevvero insieme rompendo i principi religiosi, per descrivere le condizioni di privilegio socio-economico odierne in India.

Vikrant Bhise, We Who Could Not Drink [Wir, die nicht trinken konnten], 2025, Installationsansicht, 13. Berlin Biennale, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 2025. © Vikrant Bhise; Experimenter, Kolkata & Mumbai; Bild: Aristidis Schnelzer
Camminare è anche memoria e lo dimostrano le quattro installazioni video di Jane Jin Kaisen, in particolare quella dedicata al mare come archivio di ricordi traumatici e allo stesso tempo spazio per una nuova forza rigenerativa. Chiudono l’esposizione le raffigurazioni in gesso a parete dell’artista turca Larissa Araz: è la terra della volpe che si muove senza essere ostacolata dalla geografia politica, un fuggitivo che evita gli umani. Facendo riferimento alla moltitudine di persone che sono state sfollate dall’elaborazione dei confini in Turchia, Araz ridisegna, attraverso la prospettiva delle volpi, un paesaggio storico di profonda connessione tra umani e non umani. All’Hamburger Bahnhof le opere esposte tracciano il percorso di molteplici folle in movimento che tessono le trame di una diversa coscienza dell’arte.


Installation view, 13th Berlin Biennale, Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart, 2025; image: Eberle & Eisfeld. Textiles: Zamthingla Ruivah Shimray, Luingamla Kashan, 1990 and 2025 © Zamthingla Ruivah Shimray; Drawings: Larissa Araz, And through those hills and plains by most forgot, And by these eyes not seen, for evermore, 2025 © Larissa Araz; Gabriel Alarcón, Las montañas saben lo que hicieron [The mountains know what they did], 2025 © Gabriel Alarcón
Former Courthouse Lehrter Straße

Le volpi amano stare al caldo, rintanarsi quando Berlino non è che una mano fredda che punge il viso e il loro status fuggitivo le porta a nascondersi ovunque, ignorando ogni legge dell’ambiente urbano. Forse alcune di loro hanno riposato all’interno delle numerose e piccole stanze dell’ex tribunale di Lehrter Straße, rimasto vuoto dal 2012 e reso accessibile come sede di arte contemporanea per la prima volta proprio per la 13a Biennale di Berlino.

Le vecchie mura in mattoni rossi di questo edificio ora fanno da scenografia alla legalità, l’illegalità e alla rivendicazione culturale dell’arte. Mura a cui l’artista Anna Scalfi ha dato la possibilità di raccontare la loro storia, e su cui si aprono le vertiginose immagini pittoriche della violenza delle milizie in Myanmar di Busui Ajaw; insieme a quelle relative alle discriminazioni socio-economiche di Salik Ansari; o dei disegni di Elshafe Mukhtar che testimoniano l’inizio della guerra in Sudan nell’aprile del 2023, quando i primi obbiettivi colpiti furono archivi e musei. Le opere qui esposte, sono l’esempio di un’arte che sfida le divisioni e le classificazioni arbitrarie alla base della vita contemporanea. Immagini che invitano a considerare la legge come mezzo da sfidare e sfruttare per mantenere viva la propria rotta.

Elshafe Mukhtar, When Bots Rule a Great Nation, 2025, installation view, 13th Berlin Biennale, Former Courthouse Lehrter Straße, 2025. © Elshafe Mukhtar; image: Eberle & Eisfeld

Sostenendo l’affermazione dell’artista come strumento che consente di operare indifferentemente ai codici legali, questa sezione della Biennale esplora la possibilità di costruire vite al di fuori dei sistemi di confinamento. Ce lo dimostrano le video installazioni di Artcom Platform, dove si denunciano i diversi attacchi agli ecosistemi del lago Balkhash raccontato con la sua stessa voce; Fredj Moussa che combina paesaggi, narrazioni e oggetti appartenenti al mito per dar corpo a una critica comica sull’idea di barbaro e sui suoi pregiudizi; o Simon Wachsmuth che con il simbolismo del maiale reinterpretare la storia e l’idea di libertà, specie quella dell’espressione artistica. Le mura e gli spazi giudiziari del Former Courthouse hanno permesso di dar vita a una coesione collettiva di sguardi che aprono alla possibilità di una fuga, lì dove ogni confine implica la violenza del suo mantenimento.

La 13a edizione della Biennale d’Arte di Berlino è una moltitudine di storie e visioni eterogenee e vibranti, un diverso e nuovo paesaggio dove il personale e il politico si intrecciano in una molteplicità di linguaggi e materiali. L’idea di fuggitività viene usata per esaminare la capacità dell’arte di stabilire le proprie leggi di fronte alla violenza legale in sistemi globali ingiusti. Così come le volpi vivono la città ignorandone le leggi, l’arte consente al pensiero di svilupparsi in condizioni di persecuzione, militarizzazione ed ecocidio e Passing The Fugitive On ne accoglie la dimostrazione.

Nell’impossibilità di citare ogni artista, riportiamo qui la lista completa: Akademia Ruchu; Amol K Patil; Anawana Haloba; Anna Scalfi Eghenter; Armin Linke; Artcom Platform; Busui Ajaw; Bwanga „Benny Blow“ Kapumpa; Chaw Ei Thein; Daniel Gustav Cramer; Elshafe Mukhtar; Etcétera; Exterra XX – Künstlerinnengruppe Erfurt; flowers (Ceija Stojka, Erika Kobayashi, Fredj Moussa, Hannah Höch, Nyi Pu Lay and Ma Thida, OMARA Mara Oláh, Steve McQueen); Fredj Moussa; Freeszfe; fugitivity (Daniella Bastien, ☂ Gabriel Alarcón Gernot Wieland M. M. Thein, Steve McQueen); Gabriel Alarcón; Gernot Wieland; Gernot Wieland with Carla Åhlander & Konstantin von Sichart; Han Bing & Kashmiri Cabbage Walker; Helena Uambembe; Htein Lin; Huda Lutfi; Iris Yingzen; Isaac Kalambata; Jane Jin Kaisen; Judith Blum Reddy; Kazuko Miyamoto; Kikí Roca, Las Chicas del Chancho y el Corpiño; Larissa Araz; Luzie Meyer; Major Nom;;Margherita Moscardini; Memory Biwa; Memory Biwa and guests (Anike Joyce Sadiq, Céline Barry, Lusine Khurshudyan); Merle Kröger; Mila Panić; Mila Panić and guests (Carmen Chraim, Deo Katunga, Maya Upchurch, Sasha Dolgopolov, Tamer Katan, Victor Patrascan); Milica Tomić; Nge Nom; Padmini Chettur; Panties for Peace; parallelgesellschaft; People’s Tribunal (with Bana Group for Peace and Development, ALPAS Pilipinas and International Coalition for Human Rights in the Philippines (ICHRP) – Germany, Sinthujan Varatharajah, Moshtari Hilal); Piero Gilardi; Salik Ansari; Sarnath Banerjee; Sawangwongse Yawnghwe; Shahana Rajani; Simon Wachsmuth; Stacy Douglas; The Fly (Htein Lin, Chaw Ei Thein); Tsuyoshi Ozawa (with Andreas Eberlein, Dagmar Tinschmann, Daisuke Deguchi, Jinran Kim, Kathrin Schiffbauer, Li Koelan, Manuela Warstat, Yuan Shun); Vikrant Bhise; Yoshiko Shimade and BuBu de la Madeleine; Zamthingla Ruivah; Shimray Zoncy Heavenly.

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