02 novembre 2019

Ambiente e colonialismo alla nuova Biennale d’Arte di Toronto

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La prima edizione della Biennale di Toronto è imperniata sul concetto di ambiente nella sua doppia accezione, climatica e sociale

AA Bronson, A Public Apology to Siksika Nation; and Adrian Stimson, Iini Sookumapii: Guess who’s coming to dinner?” (courtesy the Toronto Biennial of Art, photo by Toni Hafkenscheid)
AA Bronson, A Public Apology to Siksika Nation; and Adrian Stimson, Iini Sookumapii: Guess who’s coming to dinner?” (courtesy the Toronto Biennial of Art, photo by Toni Hafkenscheid)

72 giorni d’arte per tutti. Questo il motto della prima Biennale dell’Arte di Toronto. Dieci settimane, dal 21 settembre al 1 dicembre, che rilanciano l’area di Toronto nel panorama dell’arte contemporanea. Più di cento opere d’arte, con oltre 20 nuove commissioni realizzate per l’occasione, un fitto calendario di appuntamenti uniti da un unico filo rosso: The Shortline Dilemma.

I curatori Candice Hopkins e Tairone Bastien offrono una riflessione sull’ambiente, nella doppia accezione climatica e sociale. In particolare, il titolo mette al centro la questione del litorale di Toronto. La zona costiera ha subito molteplici modifiche nel corso dei secoli, sia per interventi volontari dell’uomo, che a causa degli irreversibili cambiamenti climatici.

Su tutti, prevale il concetto di decolonizzazione. Alla Biennale d’arte di Toronto, il tema viene sviscerato sia in senso letterale – restituendo agli indigeni le terre precedentemente sottratte – sia in senso metaforico, smantellando le gerarchie precostituite che vedono gli indigeni schiacciati dall’egemonia colonialista. Questa la riflessione suggerita ai più di 90 partecipanti internazionali. Toronto è lo scenario ideale per una rassegna del genere; più della metà dei suoi abitanti, infatti non sono nativi canadesi, e vanta la reputazione di città con la cultura più sfaccettata. Questa ricchezza multietnica si riflette anche nella Biennale, che nasce inclusiva e accogliente delle realtà più variegate.

L’opera più significativa è il botta e risposta di AA Bronson e Adrian Stimson. Il primo propone A Public Apology to Siksika Nation. Si tratta di un mucchio di scatole impilate, piene di copie dell’omonimo libro di cui è autore. Nel testo racconta con rammarico del bisnonno, un missionario anglicano che fondò la prima scuola ad Alberta. La scuola costringeva i bambini indigeni ad allontanarsi dalle loro famiglie, costringendoli a vivere secondo la cultura europea.

Adrian Stimson è il pronipote del capo tribù che cercò di dissuadere l’antenato di Bronson dalle sue intenzioni. L’artista risponde all’installazione con un’altra opera: Iini Sookumapii: Guess Who’s Coming to Dinner?Bronson apparecchia una tavola per 10 persone con raffinate porcellane e un centrotavola di bisonte. Un modo per negoziare la pace “alla maniera dei coloni”, come la tradizione del Ringraziamento. La ragione dietro una scelta così amara è semplice: le tradizioni Siksika sono state forzatamente dimenticate, e non conoscono un’altra maniera per risolvere le controversie.

Per saperne di più, basta consultare il Guide Book della Biennale. Intanto potete guardare il video della cerimonia inaugurale, con una singolare chiamata alle armi. O alle arti?

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