07 gennaio 2024

«Un campo di sperimentazione artistica e politica». Parola a Hedwig Fijen, fondatrice di Manifesta

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La fondatrice e la direttrice della Biennale ripercorre i 30 anni di storia della Biennale nomade europea e introduce quali saranno gli approcci politici e curatoriali della prossima edizione, prevista per l'autunno 2024 nel territorio di Barcellona

Hedwig Fijen. Foto Manifesta
Hedwig Fijen. Ph. Flaminia Pelazzi. Courtesy Manifesta

Fondata all’inizio degli anni Novanta, Manifesta è una biennale nomade che nasce con l’obiettivo di ripensare la relazione tra cultura e società civile, generando un impatto positivo nella sfera sociale della città ospitante e delle sue comunità. Nel corso del tempo si è distinta per il suo carattere sempre più interdisciplinare e per una metodologia di lavoro orizzontale e collettiva, alternativa alle visioni più “autoriali” di altre biennali contemporanee. L’evento promuove un atteggiamento “radicalmente locale” e situato, oltre a un approccio creativo attento a tematiche urgenti come la transizione climatica. Nel settembre del 2024, Barcellona ospiterà le celebrazioni della 15ª edizione della manifestazione, dopo mesi di intensa ricerca decentralizzata sul territorio: parteciperanno dodici diverse municipalità, ognuna con la propria comunità. In occasione del lancio di un bando per la produzione di progetti locali (qui troverai ulteriori informazioni), abbiamo incontrato la direttrice fondatrice Hedwig Fijen per scoprire di più sul progetto.

manifesta 15
Artistic Team © Pietro Bertora

Con sede a Barcellona, Manifesta festeggerà nel 2024 la sua 15ª edizione. Come pensa che sia cambiata la Biennale nel corso di tutti questi anni?

«All’inizio degli anni ’90 c’era una sorta di ottimismo surreale riguardo all’unificazione dell’Europa orientale e occidentale. Ai miei collaboratori che hanno tra i venti e i trent’anni oggi, dico spesso che non possono immaginare come la gente allora non osasse viaggiare da Vienna a Bratislava o da Berlino a Varsavia. Quindi, il primo obiettivo di Manifesta era colmare la divisione tra l’Europa orientale e occidentale. Trentacinque anni dopo, vediamo chiaramente come siano andate le cose: ci sono nuovi conflitti e siamo di nuovo intrappolati in una sorta di Guerra Fredda».

Come è iniziata questa sfida?

«Siamo partiti da un’idea molto ottimista di unire profili che venivano da diverse latitudini e ci siamo riusciti, essendo tra i primi a collaborare con curatori russi o ungheresi. Persino artisti e ricercatori provenienti da Bulgaria, Romania, Polonia e tutti gli Stati baltici. Possiamo dire che, in quelle circostanze, Manifesta riuscì a diventare un importante punto di aggregazione. Ma poi abbiamo capito di doverci aprire anche al Mediterraneo orientale: siamo andati quindi a Cipro e poi in Spagna, ambientando l’ottava edizione nelle città di Murcia e Cartagena».

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Barcelona, Gustavo Gili ©IntiGajardo

Come sono cambiate le cose?

«Potremmo dire che l’evento si è evoluto seguendo un movimento dinamico da ovest a nord e da est a sud. Pur con un’attenzione sempre più multidisciplinare, il focus della biennale è stato sempre l’arte contemporanea, nonché l’esercizio di pratiche curatoriali collettive. È interessante pensarci, poiché agli esordi di Manifesta nel 1994, la figura del curatore come la conosciamo oggi non era così comune. Nei musei c’erano conservatori e c’erano pochi curatori indipendenti».

Ci può fare qualche esempio?

«Manifesta è stata un campo di sperimentazione per molti curatori; Massimilano Gioni, ad esempio, ha curato il suo primo progetto nell’ambito di Manifesta! Lo stesso potremmo dire per quegli artisti giovani che non avevano rappresentanza nelle gallerie, quindi non avevano esperienza nel lavorare su commissione. Ogni due anni producevamo tra 35 e 50 opere nuove, con l’obiettivo di incoraggiare e spingere la creazione contemporanea… E questo impegno è stato accolto molto positivamente dagli artisti».

Fin dall’inizio, Manifesta ha operato in contesti politici e sociali molto diversi: che influenza ha avuto il carattere nomade della Biennale nello sviluppo dell’evento nel corso del tempo?

«Credo che l’impegno politico dell’evento si sia concretizzato nella scelta di città secondarie con un forte valore simbolico. Decidemmo di spostare il focus del dibattito artistico da Londra, Parigi o Berlino a città che, forse, avrebbero potuto offrire prospettive diverse. Mi sono formata come storica dell’arte e, fin dall’inizio di questo progetto itinerante, è stato molto importante per me guardare ogni città con gli occhi della città stessa. Cioè, immergermi nella sua storia e cultura. E con gli occhi di una città particolare, guardare anche il mondo. Per esempio: come guardare il regionalismo o l’indipendentismo con gli occhi di San Sebastián? Come capire, con gli occhi di Palermo, la crescente potenza delle organizzazioni criminali in tutto il mondo? La funzione simbolica di ogni città è sempre stata un fattore importante nel processo di selezione della sede che avrebbe ospitato Manifesta».

El Prat de Llobregat Casa Gomis Manifesta 15 Barcelona ©NomadStudio
Manifesta 15 Barcelona
El Prat de Llobregat Casa Gomis Manifesta 15 Barcelona ©NomadStudio

Quale è stato l’impatto di queste scelte?

«Credo che in futuro la gente ricorderà Manifesta anche per il tipo di decisioni audaci che a volte abbiamo preso. E spero che verrà ricordata anche per l’impatto che ogni edizione ha lasciato sulla città in cui si è tenuto l’evento. Il caso di San Sebastián è stato esemplare in questo senso. Ricordo che la conferenza stampa si è svolta solo pochi giorni dopo l’attentato alla stazione di Atocha a Madrid; a causa dei sospetti iniziali di coinvolgimento di gruppi terroristici baschi, molte domande ruotavano intorno a una possibile, se non auspicabile, cancellazione di Manifesta. Ma abbiamo deciso di andare avanti e quella edizione del 2004 è stata un grande successo. Siamo riusciti a mostrare e celebrare un’altra visione dei Paesi Baschi. Lo stesso è successo in Kosovo e in Sicilia: abbiamo contribuito a cambiare la percezione che il mondo aveva di Pristina come città in guerra e di Palermo come capitale mafiosa, mostrando altri aspetti vitali e culturali di entrambi i luoghi».

Nonostante il vostro focus e punto di partenza sia l’esplorazione delle forme artistiche contemporanee, Manifesta si distingue oggi anche per il suo carattere interdisciplinare. In che momento avete iniziato a cambiare il vostro modo di lavorare?

«Credo che un cambiamento cruciale sia avvenuto proprio nel 2004, durante Manifesta 5 a San Sebastián. Durante quella edizione, abbiamo deciso di coinvolgere anche urbanisti e architetti, e questo modo di lavorare ha influenzato tutte le edizioni successive. Come è emerso chiaramente in Manifesta 14 a Pristina –esempio emblematico di questa tendenza interdisciplinare – oggi i curatori invitati collaborano con ecologisti, archivisti, storici, biologi, sociologi, ecc. Un altro cambiamento significativo è stato quando abbiamo iniziato a invitare le città candidate a presentare una proposta concreta. In base a questa proposta, il consiglio di amministrazione della Fondazione Manifesta seleziona una sola città, tenendo conto degli aspetti sociali, politici e geografici, nonché dell’infrastruttura e della stabilità istituzionale della stessa città».

E a Barcellona?

«Nel caso di Barcellona, la sindaca uscente Ada Colau ci presentó una proposta in cui ci chiedeva aiuto per creare un approccio alternativo a Barcellona e alle città limitrofe. Come decentralizzare le infrastrutture e la cultura? Come creare, ad esempio, un sistema di trasporti più fluido tra il centro e luoghi come Sant Adrià de Besòs e Granollers? Abbiamo iniziato a concepire l’edizione tenendo conto delle esigenze di questa proposta. In questo processo, la conoscenza dell’architetto Josep Bohigas è stata fondamentale». [Dal 2016, Bohigas è anche Direttore dell’Agenzia di pianificazione strategica di Barcellona Regional].

Granollers RocaUmbert Manifesta 15 Barcelona
Granollers RocaUmbert Manifesta 15 Barcelona

Quello che ha appena menzionato ci offre l’opportunità di approfondire i contenuti della prossima edizione catalana. Può dirci di più sulla metodologia che state seguendo per rispondere alla richiesta di Barcelona / Colau? Come lavorerà Manifesta vista anche la nuova amministrazione cittadina? 

«Di solito avviamo il processo di ricerca di ogni edizione con una stessa domanda: dove siamo? A partire da questa consapevolezza situata, cerchiamo di sviluppare un programma che risponda alle esigenze e alle caratteristiche della città che ci ospita. In questo caso, anche la proposta di Colau è emersa da un’analisi specifica sulla città di Barcellona e la sua area metropolitana, e le questioni che sollevava ci sembrano ancora rilevanti per il contesto, nonostante il cambio di amministrazione. Dopo aver analizzato oltre 400 studi urbanistici, abbiamo iniziato a renderci conto che la centralità di Barcellona aveva un po’ isolato altre realtà. Parlando con diverse città della provincia e conoscendo i loro problemi e le diverse infrastrutture, abbiamo scoperto, ad esempio, che città come Granollers erano meglio servite rispetto ad altre che invece erano completamente prive di sostegno istituzionale. Inoltre, come ci ha spiegato anche Colau, abbiamo potuto vedere che la difficoltà urbanistica dell’area metropolitana di Barcellona era dovuta al fatto che la città è contenuta da diversi elementi: i fiumi, le montagne e il mare. Tutto ciò ha costituito un buon punto di partenza per invitare le istituzioni a ripensare il sistema di trasporti tra le diverse città della provincia, senza che Barcellona ne rappresenti necessariamente il centro».

Quali soluzioni adotterete?

«Per cominciare, grazie alla collaborazione della Diputación, durante Manifesta ci sarà un autobus che collegherà tutte le diverse città, il che consentirà anche di spostarsi tra le diverse sedi della biennale. Speriamo che le istituzioni sappiano interpretare questo intervento in modo simbolico. Parallelamente, a partire da gennaio, abbiamo invitato diversi partecipanti locali e internazionali a condurre una ricerca pre-biennale su specifici nodi socio-ecologici: come immaginare un futuro condiviso; come gestire gli squilibri; come prendersi cura di noi stessi e del nostro ambiente naturale».

Ci racconti di più.

«Abbiamo l’obiettivo di immaginare storie alternative sul futuro, perché la narrazione associata ai cambiamenti climatici è in gran parte tecnica. Per questo motivo, abbiamo deciso di coinvolgere persone e collettivi come Arquitectes de Capçelera, Embassy of the North Sea, On-Trade Off, Elmo Vermijs, Lara Schnitger, radio SLUMBER, Massa Salvatge, INLAND, Anaïs Florin e Diversorium. Lavorano nel campo dell’arte, della scienza, del diritto, dell’architettura, dei diritti umani, dell’attivismo e dell’educazione. I risultati ottenuti in questi mesi sono stati sorprendenti. Queste ricerche, condotte in stretta collaborazione con esperti e con le comunità locali, mirano a portare a nuove e alternative forme di sensibilizzazione sulla crisi climatica, nonché a identificare le trasformazioni ecologiche e sociali necessarie nella regione».

L’Hospitalet de Llobregat CanTrinxet Manifesta 15 Barcelona

Per assicurare un impatto reale sul tessuto locale, il processo precedente alla celebrazione di un evento biennale è fondamentale. Spesso le biennali arrivano in una città, assorbono quanto possono del territorio e poi scompaiono senza lasciare tracce tangibili. Sebbene tutte le azioni legate alla ricerca pre-biennale vadano proprio nella direzione di evitare queste dinamiche, credo sia importante parlare anche del ruolo del vostro dipartimento di educazione e mediazione – che, nel vostro caso, è altrettanto importante quanto quello di produzione.

«Hai perfettamente ragione. Il ruolo del dipartimento di Educazione e Mediazione, così come dei mediatori creativi ed educativi, è fondamentale in un progetto come questo. Il dipartimento rappresenta una forza creativa importante della biennale, che sviluppa e cura le relazioni con la città ospitante e le sue comunità. Il programma è un insieme di progetti di ricerca correlati nati da incontri con una varietà di attori locali. Lavorando con 12 diverse città – Barcelona, Badalona, Cornellà de Llobregat, El Prat del Llobregat, L’Hospitalet de Llobregat, Granollers, Mataró, Sabadell, Sant Cugat del Vallès, Santa Coloma de Gramanet, Terrassa e Sant Adrià de Besòs – non possiamo semplicemente imporre che ognuna di esse realizzi un determinato progetto; è necessario coinvolgerle in tutto il processo. Ed a questo servono i partecipanti alla ricerca pre-biennale, ma anche il dipartimento di educazione e i mediatori».

Quale sarà il ruolo di queste figure?

«Non vogliamo che la mediazione sia qualcosa di marginale e superfluo. Per la pianificazione di questa edizione ci sembra ancora più necessario che in altri casi. Con il principio della mediazione al centro, l’obiettivo è fare in modo che il programma biennale risponda agli interessi e alle esigenze del pubblico non professionale, creando spazi nella cultura contemporanea in cui un maggior numero di persone si riconosca. Con gli occhi di queste città, stiamo cercando di immaginare come affrontare localmente e globalmente la transizione ecologica, ed è fondamentale che il processo sia collettivo. In modo collaborativo, abbiamo già approvato un piano di sostenibilità ambientale. Durante questo processo, ci siamo posti domande come: Perché viaggiamo? Come viaggiamo? Come possiamo produrre energia pulita? Come possiamo riciclare l’acqua? ecc. Tutto ciò sarebbe stato impossibile senza un impegno condiviso».

Sant Adrià de Besòs. Tres Xemeneies ©Eva Carasol
Santa Coloma de Gramanet River ©Eva Carasol

Il piano di sostenibilità ambientale appena menzionato si riferisce alla Magna Carta ecosociale di cui avete parlato anche in altre presentazioni dellevento?

«La Magna Carta presenterà i risultati chiave della ricerca condotta dai dieci partecipanti allo studio pre-biennale. Allo stesso tempo, funzionerà come un nuovo contratto culturale e artistico per sollevare questioni su come raggiungere in modo critico la decrescita nel mondo dell’arte o ridurre le emissioni di carbonio. Oppure: come possiamo dare ancora più potere alle minoranze etniche, e in particolare alle donne all’interno di queste minoranze? Qual è la nostra responsabilità nel processo di decolonizzazione di musei e archivi? E molte altre questioni. Ciò che ritengo importante sottolineare è che il programma della Biennale, così come i contenuti della Magna Carta, saranno il risultato di uno sforzo collettivo e non della visione autoriale di un singolo curatore. Per me, la dinamica di portare una persona da New York o dall’Asia e catapultarla in un altro luogo in modo che, in sole tre settimane, comprenda il contesto, non funziona più. Vogliamo agire in modo radicalmente locale».

A proposito delle produzioni, il bando presentato invita a proporre “progetti che presentino approcci nuovi e visionari alla transizione ecologica che stiamo affrontando a livello globale”. Può dirci di più? Sarà rivolto solo agli artisti o potranno partecipare anche altri profili, in linea con l’approccio interdisciplinare dellevento?

«È una bella domanda! Il bando costituisce un invito a pensare oltre i formati tradizionali delle arti visive. I progetti potranno affrontare temi che vanno dall’urbanizzazione alla decolonizzazione, dall’inclusione sociale alla transizione climatica, senza trascurare la necessità di generare un impatto positivo sulle comunità locali. Pertanto, artisti, ma anche operatori sanitari, giardinieri, designer, storici, attivisti politici e altri potranno partecipare. Una giuria internazionale selezionerà tra 10 e 15 progetti, ciascuno dei quali riceverà un finanziamento compreso tra 10.000 e 15.000 euro. Questi progetti faranno parte del programma principale della biennale e verranno presentati in una delle sedi dei 12 comuni che ospiteranno Manifesta 15 dall’8 settembre al 24 novembre 2024. Non vediamo l’ora di ricevere e leggere le proposte!».

Trovate la versione originale dell’intervista su exibart.es

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