30 marzo 2022

miart domani al via: intervista a Nicola Ricciardi

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Oltre centoquaranta gallerie e una città che deve ripartire, anche con l'arte. Le sinergie non mancano, ma bisogna anche tenere d'occhio il presente, mentre si guarda al futuro delle kermesse fieristiche. Ne parliamo con Nicola Ricciardi

Nicola Ricciardi, foto di Paolo Ventini

Ed eccoci qui, dopo solo pochi mesi, a raccontare di miart. Se l’edizione di settembre era stata una sorta di tappa zero nella ripresa dopo la pandemia, organizzare di nuovo la fiera dopo nemmeno mezzo anno non può che essere stato impegnativo, eppure «Abbiamo cercato di capitalizzare l’ottimismo generato dall’edizione 2021 – attacca Nicola Ricciardi, direttore della fiera al suo secondo anno – dove abbiamo comunque riscontrato ottimi risultati in termini di critica, partecipazione e vendite. Quella è stata un’edizione dalla gestione inevitabilmente complicata, ma che ha segnato un cambio di passo importante e una rinnovata fiducia nella fiera».

miart 2021, foto di Paolo Ventini

Come hai progettato la seconda edizione di miart in così poco tempo?
«Quando a novembre abbiamo iniziato a interloquire nuovamente con le gallerie in vista del 2022 abbiamo trovato grande disponibilità e ascolto, nonostante i galleristi fossero giustamente esausti, dopo una stagione di fiere autunnali alquanto logorante. La chiave è stata mantenere un dialogo costante: è quello che ci sta permettendo di costruire un progetto di lungo termine credibile e trasparente».

Nell’epoca delle fiere “pandemiche”, ti sei fatto un’idea della “metodologia” che bisognerà adottare approcciando i grandi eventi, nel prossimo futuro?
«Ovviamente serve cautela. Nondimeno credo che le fiere autunnali abbiano dimostrato che—osservando le giuste accortezze—si può tornare a operare in tranquillità e sicurezza senza che qualità e accessibilità ne risentano. Il formato delle fiere d’arte ibride, ovvero in grado di integrare una versione fisica e una piattaforma digitale, ha ben funzionato ed è la strada che percorreremo anche nel 2022».

miart 2021, foto di Paolo Ventini

Che trasformazioni vedi nel concetto “fiera”?
«Il principale stravolgimento negli ultimi due anni è stato che le fiere hanno scoperto di non essere più imprescindibili. Se nel 2019 quasi il 70% delle gallerie indicava le fiere d’arte come la propria priorità in termini di business, nel 2020 quella stessa percentuale era scesa sotto al 25%. Questo ha significato che l’anno scorso tutte le manifestazioni—anche le più importanti o rappresentative—non hanno più potuto dare per scontato la partecipazione di nessuno. Noi operatori siamo dovuti necessariamente tornare ad ascoltare le esigenze delle gallerie, e a modellare l’offerta e le proposte sui loro effettivi bisogni. Personalmente ritengo che questo abbia fatto molto bene a tutto il settore, perché si è tradotto in una comunicazione e una relazione più bilanciata e trasparente tra le parti».

Parliamo ora di un tema più generale: cosa deve avere una fiera d’arte contemporanea per funzionare? Chi deve accontentare nella realtà? I collezionisti e i galleristi, o bisogna “coltivare” anche il pubblico generale?
«La fiera d’arte ideale per me deve saper creare e offrire quante più opportunità possibili affinché le gallerie partecipanti possano veder ripagato il proprio investimento (in termini di vendite ma anche di visibilità). È una questione di fiducia tra le parti, solo così si creano manifestazioni solide e durature nel tempo. Ovviamente bisogna poi bilanciare questa cura per gli aspetti economici con la capacità di costruire un progetto stimolante anche per il pubblico generalista. In questo caso l’ingrediente fondamentale è lavorare sulla curiosità del visitatore».

Quindi non sei d’accordo con il diktakt che in una fiera sia debba solo vendere?
«Come ho detto, bisogna trovare il giusto bilanciamento. Nel momento in cui ho accettato di dirigere una fiera d’arte ero pienamente consapevole di intraprendere un’avventura il cui obiettivo principale è squisitamente commerciale. Ma non per questo ho dimenticato quanto imparato negli anni passati come curatore e come direttore di OGR. Credo soprattutto che la cura dei progetti sia fondamentale anche per suscitare l’interesse dei collezionisti, che sono naturalmente attratti dall’estetica e dalla coerenza. Non va infine dimenticato che una quota molto importante dei nostri visitatori sono anche curatori e direttori, e che per una galleria è fondamentale anche il dialogo con le istituzioni museali».

miart 2021, foto di Paolo Ventini

Che risposta ti aspetti da Milano, a questo giro?
«C’è stata da subito grande sintonia e comunione di intenti tra miart e il nuovo Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi. E soprattutto c’è stato un costruttivo dialogo con tutte le istituzioni cittadine, pubbliche e private. Su queste basi abbiamo costruito tutti insieme una Milano Art Week che, rispetto al 2021, appare rafforzata e incredibilmente stimolante. Durante i giorni della fiera verranno inaugurate alcune delle più importanti mostre della stagione. Ed è anche per questo che abbiamo confermato con forza la decisione di tornare a collocare la fiera nella tradizionale finestra primaverile».

Credi che una fiera abbia anche la “responsabilità” di quello che succede in città, ovvero l’art week?
«Assolutamente sì. Con Fiera Milano stiamo lavorando affinché miart e la Milano Art Week si specchino sempre di più una nell’altra, con progettuali comuni e distribuite sul territorio. Dopo aver “accordato gli strumenti” nel 2021, vogliamo infatti dare vita al primo movimento di una nuova possibile sinfonia. Sarà proprio questo termine a definire una serie di iniziative e collaborazioni con realtà e istituzioni appartenenti al mondo della musica, della danza, della performance, volte a far sì che miart sia innanzitutto uno stimolo per muoversi, tutti insieme—galleristi, collezionisti, artisti, cittadini e visitatori. Perché la perfetta esecuzione di una sinfonia è possibile solo se c’è collaborazione e coesione tra bacchetta, avambracci, mani, dita, sguardi, facce, gesti e, non per ultimo, pubblico in sala».

Ci racconti del tuo lavoro di scouting? Sei riuscito a viaggiare in altre fiere, a incontrare e invitare, dal vivo, galleristi a Milano in questi mesi?
«Sicuramente ho viaggiato molto di più di quanto non abbia fatto per costruire l’edizione precedente — in cui ho sì, incontrato quasi 200 galleristi, ma solo virtualmente. Chiusa l’edizione di settembre, e complice il miglioramento della situazione pandemica, sono finalmente riuscito a incontrare di persona chi ci aveva dato fiducia e a intessere nuove relazioni con potenziali nuovi clienti. Ho ovviamente fatto tappa a Basilea, Londra e Parigi, ma anche visitato fiere più di nicchia e altri appuntamenti altrettanto pieni di stimoli e di contatti che si sono trasformati in adesioni a miart — come ad esempio l’Amtsalon di Berlino o gli Art Days di Napoli».

miart. Nomi e numeri

La 26esima edizione di miart conta la partecipazione di oltre 140 gallerie, operanti in 21 Paesi. La fiera sarà divisa in 3 sezioni: Established, Emergent a cura di Attilia Fattori Franchini, e Decades a cura di Alberto Salvadori. La scelta di accorpare le prima due sezioni è dovuta alla constatazione – spiega il direttore – di come un più stretto dialogo e una maggior integrazione tra moderno e contemporaneo possano generare mutui benefici, favorendo una maggiore permeabilità di linguaggi. Entrano nel team di miart 2022 Cristina Raviolo, già VIP Relations di Frieze Art Fair, (come VIP Manager), e Anna Bergamasco, già Sales & Institutional liason per Fortes D’Aloia & Gabriel, che svolge il ruolo di Exhibitors’ Liason.

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