16 marzo 2024

Dream Scenario o la cultura di massa secondo Kristoffer Borgli

di

L’esordio in lingua inglese del regista norvegese è una critica ai meccanismi della società di massa che portano chiunque a voler essere famoso attraverso i social media, anche solo per 15 minuti

Kristoffer Borgli torna dietro alla macchina da presa dopo Sick of Myself (Syk pike), fortunato lungometraggio d’esordio, già presentato nella sezione Un Certain Regard alla 75° edizione del Festival di Cannes. Tra Sick of Myself e Dream Scenario qualcuno deve essere rimasto impressionato dal lavoro del giovane regista – ma anche sceneggiatore e montatore – norvegese, dato che, con un budget importante e con una produzione targata A24, il secondo lungometraggio non ha tardato né a essere presentato all’interno del circuito festivaliero internazionale, né ad arrivare in sala in Italia, quando il film d’esordio è stato distribuito oltre un anno dopo la sua presentazione a Cannes.

Borgli si era già distinto come una sorta di enfant prodige agli occhi del pubblico e della critica habitué della riviera francese e con Dream Scenario continua a portare avanti quella spiccata vena satirica e ironica che già era comparsa prepotentemente in Sick of Myself; se nel primo film la polemica dell’autore si limitava a criticare il mondo dei social media e tutte le sue storture, nel secondo (coerentemente con il maggiore investimento in termini produttivi) il progetto è ben più ambizioso e le tematiche prese di mira passano dalla cancel culture alle nuove forme di intrattenimento, il tutto condito con una punta di anticapitalismo – anche se accennata il giusto.

Dream Scenario racconta la storia di Paul Matthews (interpretato da Nicolas Cage), professore universitario di mezza età, marito e padre di due ragazze. Paul è un uomo qualunque, un signor nessuno: non ha nessuna caratteristica particolare, nessun tratto distintivo. Improvvisamente si ritrova a essere famoso perché, in modo inspiegabile e mai chiarito, inizia ad apparire nei sogni di moltissime persone in tutto il mondo. Nessuno conosce Paul, ma tutti lo sognano e se, in un primo momento, i sogni felici portano una certa notorietà positiva all’uomo – tutti vogliono conoscere e stringere la mano a un normalissimo professore universitario, dalla carriera neanche poi così brillante – progressivamente, quando i sogni che vedono Paul come protagonista iniziano a convertirsi in incubi, tutti iniziano ad averne paura, fino a provare sentimenti di repulsione nei confronti dell’uomo. Paul non riesce a spiegarsi il perché di questo cambiamento repentino, così come non era riuscito a spiegarsi perché la sua figura fosse iniziata ad apparire nei sogni di persone sconosciute.

Borgli si serve di questo meccanismo per evidenziare le modalità con cui tutti noi, persone comuni, eleviamo allo status di star persone assolutamente normali e senza particolari motivi per diventare famose: anche questi, sono, evidentemente, inspiegabili. La rapidità con cui Paul diventa famoso e viene idolatrato è proporzionale a quella con cui viene “cancellato” dallo stardom e questo ha dirette ricadute sulla propria vita privata, dato che addirittura quelli che un tempo erano suoi amici non vogliono più vederlo, terrorizzati dagli incubi che ormai hanno assunto il volto di quest’uomo. Per Paul non c’è più speranza di redenzione: anche la moglie (Julianne Nicholson) arriva a chiedere il divorzio e tutto questo avviene senza che qualcuno sia in grado di dare una spiegazione logica al fenomeno.

Nel momento di apice del suo successo, tutti vogliono avere a che fare con il protagonista: una azienda pubblicitaria, intitolata in modo per niente casuale Thoughts? («Pensieri?»), propone a Paul di diventare testimonial per una nota bevanda analcolica, la Sprite. In quello che si rivela un confronto generazionale, tra Paul e il capo di questa agenzia (interpretato da Micheal Cera), emerge che di thought, cioè di “pensato” non c’è proprio niente all’interno di questa macchina capitalistica che fagocita tutto ciò che può contribuire a vendere di più: l’attenzione dell’opinione pubblica è tutta rivolta su Paul ed è giusto cavalcare l’onda fintanto che se ne parla.

Benchè il film sia associato ai generi della commedia e dell’horror, è difficile ascrivere pienamente a uno di questi due generi Dream Scenario – e questo non per la mancanza di elementi, effettivamente, afferenti a questi due mondi, ma per la generale confusione che si viene a creare nel corso del film. In più di un momento viene strappata una risata allo spettatore, come del resto ci sono molti elementi densi di inquietudine – primo fra tutti forse la mimica facciale dello stesso Cage, costantemente fuoriluogo e straniante, in grado di trasmettere le stesse sensazioni lynchiane di quella che viene chiamata l’uncanny valley – ma, alla fine dei conti, non ci troviamo davanti né a una commedia, né a un horror, né a un film di satira vera e propria.

La volontà, da parte del regista e sceneggiatore, di inserire elementi di critica così espliciti e dichiarati, fa cadere tutto l’impianto narrativo nel didascalico spicciolo; se nella prima parte del racconto ci sono varie allusioni e suggerimenti per portare avanti una critica al mondo di internet, nella seconda parte del film tutto è troppo dichiarato e “spiegato” al pubblico perché possa funzionare – a titolo d’esempio si può citare la telefonata dell’agente pubblicitario di Paul, che suggerisce al protagonista di rilasciare interviste a programmi televisivi di estrema destra, per mantenere almeno un minimo di consenso in quella parte di pubblico che ha fatto della cancel culture una delle sue battaglie più strenue all’interno del dibattito culturale.

Dream Scenario è un buon punto di partenza per Kristoffer Borgli, che decide di dedicarsi ai film in lingua in inglese abbandonando (si spera, solo temporaneamente) la Norvegia. Buone prove attoriali da parte dei protagonisti e un interessante impianto intermediale che coinvolge star di internet (lo stesso Nicolas Cage è da molto tempo protagonista di svariati meme che circolano in rete), star adolescenziali (il breve cameo di Noah Centineo nei panni di un influencer) e fenomeni emersi con piattaforme social – TikTok, prima fra tutte – rendono il film coinvolgente e brillante, ma non abbastanza se si considera che con Sick of Myself Borgli aveva realizzato molto di più ma con molti meno strumenti.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui