28 gennaio 2021

L’educazione ambientale: ritratto di I am Greta Thunberg

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Disponibile su Amazon Prime Video, in "I am Greta" il regista Nathan Grossman offre un ritratto a tutto tondo della giovanissima attivista, per ispirare un nuovo futuro sostenibile

«Ti prego devi mangiare qualcosa».
«Ma stanno aspettando me».
«Greta non mi importa se aspettano. Possiamo raggiungerli dopo. Capito? Devi mangiare, senza storie».
La ragazzina imbronciata chiede che ore sono, ultima resistenza alle richieste del padre Svante che cerca di preservare la sua bambina, affaticata dalla lunga marcia del Skolstrejk för Klimatet di Parigi, accompagnata da 10mila suoi coetanei. È il 49′ ma sembra il vero incipit del documentario I am Greta, del regista Nathan Grossman presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e ora disponibile su Amazon Prime Video. Un racconto ora crudo ora celebrativo, mai retorico, del fenomeno globale Greta Thumberg, dai suoi esordi davanti al parlamento svedese nell’agosto del 2018 fin allo yacht a vela monoscafo Malizia II del principe ecologista Pierre Casiraghi, per una traversata atlantica di due settimane alla volta del summit ONU sul clima di New York.

Il lungometraggio immortala una manciata di incredibili mesi, in cui si delinea non solo una nuova speranza per le lotte ambientaliste ma anche un difficile percorso di crescita e maturazione di questa giovanissima ragazza nordica, che ha deciso di legare la propria esistenza ai destini della Terra e di difenderla con tutto ciò che ha. La sua determinazione, un cartello, dei volantini informativi e un cellulare con lo schermo mezzo rotto. Sembra la sceneggiatura di un film ma davvero è bastato questo per scatenare una tempesta mediatica perfetta, in grado di mobilitare centinaia di migliaia di ragazzi raccolti in decine di manifestazioni sparse per tutto il mondo tra il 2018 e il 2019.

«Sono solo una bambina e non ho tutte le soluzioni. Voi non sapete come riparare i buchi nello strato di ozono. Non sapete come riportare indietro i salmoni in un fiume inquinato. Non sapete come far tornare una specie animale estinta. E non potete restituirci le foreste che una volta crescevano là dove ora c’è il deserto. Se non sapete come sistemare tutto ciò, smettete di distruggerlo». Quando, nel 1992, la tredicenne Severn Suzuki parlò a nome dell’Organizzazione dei Bambini per l’Ambiente alla Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite a Rio De Janeiro, sconvolse il mondo per pochi, pesantissimi minuti. Ma tanto durò lo sgomento o poco più. Le telecamere si spensero, le news ripresero a parlare di altro e la gente dimenticò tutto troppo presto.

 

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«Il clima è la tematica che definisce il nostro tempo, il punto di non ritorno. Cioè che facciamo oggi non potrà essere cambiato dalle generazioni future». Anche la sfida di Greta è figlia del suo tempo, portata avanti con lucida spontaneità, sfruttando tutti i mezzi utili che i ragazzi di oggi sanno manipolare in modo eccelso. Amplificare il messaggio con i social, condividere gli appelli, «ripetere la cosa all’ infinito finché la gente non capisce», sottolinea Greta con un pizzico di pragmatismo. I suoi coetanei hanno sempre seguito star come Cristiano Ronaldo (254 Milioni di followers), Ariana Grande (215 milioni), il pro-gamer Fernanfloo (32 milioni) o la fashion blogger Chiara Ferragni (17 milioni). Ora è venuto il momento di condividere i post di Greta (10 milioni) o delle decine di account “FridayforFuture” aperti in tutto il mondo.

«Non è solo la crisi climatica. Ci sono le malattie, la siccità, l’erosione delle terre fertili, l’acidificazione degli oceani, le deforestazioni, la moria di insetti e animali protetti». «Ci raccontate la favole dell’eterna crescita economica». I messaggi letti da Greta sono semplici, immediati. Anche un bambino li comprende, li sente e può ripeterli, farsi vettore.  «Avete rubato la mia infanzia», «Ci avete preso in giro», «I leader si comportano come dei bambini», «Le vostre parole sono vuote». Chi, nella propria vita, non ha desiderato apostrofare i politici e le élite nelle loro stanze, tra gli scranni e gli stucchi dell’Assemblée Nationale di Francia, del Parlamento Europeo di Strasburgo o nel Palazzo di Vetro dell’Onu?

Le accuse di semplificazione, di ideologismo “sentimental-patetico” (Massimo Cacciari), perfino di demagogia, appaiono spuntate. Ha senso pretendere un contraddittorio adulto, razionale, argomentato, da una quindicenne (da soggetti come Putin, Bolsonaro e Trump poi)? Greta non solo parla alle nostre emozioni e alle nostre paure più profonde senza i calcoli e le furbizie dei politici navigati ma ha sempre dimostrato una sensibilità fuori dal comune.

Fuori dal palazzo del Riksdagshuset di Stoccolma, Greta rivolge un tenerissimo saluto a una bambina accortasi di lei, accompagnata dal padre distratto. Nel corso del documentario è sembrato che Greta parlasse soltanto a loro, ai giovanissimi. Come se avesse in fondo smesso di comunicare veramente con noi, attraverso una lingua adatta solo per le nuove generazioni che stanno crescendo cercando di capire. Come se la condanna morale e storica di noi adulti fosse già decisa. Certo, Greta ci confonde. Quanti di noi sarebbero pronti a una vita senza auto, senza viaggi in aereo, senza revenge shopping, senza merci esotiche, senza alimenti di derivazione animale, senza nuovi device da acquistare ogni anno? Siamo confusi o, peggio, ipocriti come Angela Merkel che incontra Greta ma apre nuove centrali a carbone o Emmanuel Macron che scherza sui suoi viaggi in treno e poi manda truppe per i pozzi petroliferi nel Nord Africa.

D’altronde, i numerosi richiami alla “Curva di Keeling”, all’“Effetto Albedo”, allo Special report 15 del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico – Ipcc o all’Accordo di Parigi sono tutti documenti facilmente reperibili in rete, attraverso Google, Facebook o Twitter. Gli stessi mezzi che, come ragni, plasmano intorno a noi confortevoli e impenetrabili filter bubble che ora isolano dai problemi reali, ora ci inondano di immagini shock (incendi in California e Australia, siccità e locuste in Africa, uragani in Europa).

 

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Così come l’invito continuo, costante e martellante a fidarsi della “Scienza”, salvifica e materna agli occhi di Greta, si confonde in quell’altra metà, paterna e dominante, responsabile di tutte le infrastrutture teoriche e tecnologiche che dominano le nostre società digitali eppure dotate di devastanti basi industriali (estrazione, allevamenti, metallurgia, petrolchimico, nucleare…).

Un giorno Greta si volterà e ripenserà a questa incredibile avventura che ha vissuto. Probabilmente avrà fatto anche lei delle scelte dolorose, accettato dei compromessi. Sarà cresciuta, come ogni età richiede. Riguarderà questo bellissimo documentario, riderà ai suoi capricci in albergo, della danza nella biblioteca, dei dolcissimi sorrisi al pianoforte, si ricorderà del dispiacere di non poter parlare con i propri cani via Skype.

Forse si assolverà e ci assolverà per gli errori che abbiamo e che commetteremo ancora. O forse sarà ancora come è adesso, magari ancora più combattiva e radicale. In ogni caso lei si riguarderà e cercherà ancora quel fuoco e quella rabbia in quei occhi per trarne coraggio e ispirazione. Lei come noi.

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