31 agosto 2025

Katrina, 20 anni dopo: l’uragano che ha svelato il volto dell’America

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A 20 anni dalla tragedia che sconvolse l’America e il mondo, una serie Netflix di Spike Lee ripercorre quell’evento, mettendone in evidenza i risvolti sociali

C’è una storiella che gira ogni volta che c’è un uragano. Che le tempeste tropicali, gli uragani per intenderci, abbiano sempre nomi femminili. Un becero pregiudizio maschilista con cui definire qualcosa di catastrofico dal punto di vista naturale al femminile. In effetti è stato così per un bel po’ di tempo.

Durante la II Guerra mondiale, tra marconisti e ufficiali statunitensi addetti alla comunicazione nel Pacifico, era abitudine dare nomi femminili a questi spaventosi eventi climatici. Mogli, suocere, fidanzate, sorelle. Per ricordarle meglio e soprattutto per distinguerle. Dal 1953 divenne prassi negli USA e poi nel mondo per gli istituti meteorologici usare nomi femminili. Ma dal ‘79 in poi si passò a un sistema alternato. Andrew, Hugo, Matthew, Sandy.

L’uragano Katrina vicino al picco di forza il 28 agosto 2005

Ma il pregiudizio è rimasto, diciamocelo. E poi ci si mette anche un po’ la meteorologia. Infatti gli ultimi uragani più potenti sono stati quelli chiamati Wilma (2005), Irma (2017), Harvey (2017), Patricia (2015), Dorian (2019) e soprattutto Katrina (2005). Proprio alla tempesta tropicale di livello 5 scatenatasi sulla città di New Orleans è stato dedicato il bellissimo documentario in tre episodi targato Netflix: Katrina: Come Hell and High Water, diretto da Geeta Gandbhir, Samantha Knowles e Spike Lee.

Qualche numero: 80% della città di New Orleans sommersa da sei metri di acqua, venti a 280 km/h, 1 milione di sfollati, 1800 morti, 125 miliardi di dollari di danni, quartieri abbandonati dal 65% dei residenti dopo la fine del disastro. Una tragedia immane che ancora oggi segna le menti e i ricordi di centinaia di migliaia di persone.

La serie è andata online il 27 agosto, nel giorno del ventennale della catastrofe. Tra i registi, Spike Lee (Do the Right Thing, Malcolm X, BlacKkKlasman), che ha sempre affrontato nei suoi film temi come le relazioni razziali, la violenza urbana e le disuguaglianze sociali. Anche i lavori di Geeta Gandbhir e Samantha Knowles sono stati dedicati alla questione razziale, al rapporto tra media, opinione pubblica e le comunità afroamericane, considerate per molti aspetti da cittadini di serie B. Come Black and Missing del 2021, una serie HBO dedicata alla scarsa rilevanza mediatica dei casi di persone afroamericane scomparse negli States.

Questo perché l’uragano Katrina non è stato solo un evento climatico, ambientale con sfollati e inondazioni. Ha invece mostrato gravissime criticità sociali, razziali e culturali che allora come oggi affliggono l’America. Con 20 anni di anticipo.

«È ancora una merda qui», dichiara Kevin Goodman, uno degli 800mila sfollati, tornato a vedere dopo 20 anni il suo quartiere, il Lower 9th Ward, il più colpito dall’uragano. La città era al di sotto del livello del mare e gli argini erano stati costruiti nei primi anni del ‘900 per resistere a onde alte 3 metri. «Qui le onde hanno raggiunto i sei metri».

Prati, desolazione, case abbandonate. Un senso di impotenza ma, soprattutto, di sopruso. Tutto il documentario si muove tra filmati homemade registrati dagli stessi sfollati durante i giorni precedenti e successivi dell’uragano, interviste registrate con i sopravvissuti, i testimoni, le autorità, i servizi televisivi del periodo.

La sensazione iniziale, nel primo episodio, è di una comunità alquanto abituata a certi eventi, di una certa accettazione di qualcosa che sta per arrivare, che è inevitabile e che va affrontata con i mezzi che si hanno a disposizione. Le classi più agiate infatti vanno nelle seconde case in California o sul Mississippi, la classe media va fuori città con le proprie auto o fitta qualche stanza negli hotel ai piani alti dei grattacieli.

Mentre le comunità povere rimangono nelle proprie case (200mila persone non avevano mezzi di locomozione propri), fa la spesa, ci scherza su, mette qualche asse di legno per fissare porte e finestre. Ma quello che si sta per scatenare è qualcosa di più profondo, di più devastante di qualunque cosa si possa immaginare intorno a eventi del genere. Soprattutto colpisce la faciloneria dei politici, di coloro che avrebbero potuto limitare i danni del disastro – il sindaco Ray Nagin, la governatrice della Louisiana Kathleen Blanco – che non avvertirono la gente in tempo, non prepararono tendopoli in luoghi sicuri, non provvidero a fornire le zone di concentramento degli sfollati di acqua e cibo: lo stadio Superdome e il Centro congressi furono invasi da più di 30mila persone, stipate all’inverosimile, senza servizi igienici, senza assistenza medica.

Katrina: Come Hell and High Water. Cr. Courtesy of Netflix © 2025

«La Guardia nazionale che dovrebbe soccorrere la gente è in Iraq. E ha con sé tutti i materiali, gli automezzi, le risorse». Già, la guerra in Iraq scoppiata nel 2003. Il Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, si occupò molto poco della vicenda nelle prime ore dell’uragano. Quelle fondamentali. E si accorse di qualcosa soltanto quando, per puro caso, osservò la città dal finestrino dall’Air Force One, di ritorno da una convention dedicata alla Guerra in Iraq. Il volto sorpreso di George W. Bush è una costante della storia americana. Una sorpresa che nasconde principalmente indifferenza e ignoranza delle élite statunitensi.

L’America impiega le sue risorse per battaglie lontane ma non si occupa dei cittadini sul proprio suolo. Questo è il refrain, il ritornello politico. Ma la realtà è che migliaia di persone dei quartieri Lower 9th Ward, Gentilly e Lakeview abbandonate per giorni dopo l’inondazione delle acque del lago Pontchartrain non erano considerati veri americani. È questa in fondo la tesi dei registi.

Katrina: Come Hell and High Water. Cr. Courtesy of Netflix © 2025

Rimane impressionante il colpo d’occhio verso le folle prostrate fuori allo stadio, al Centro congressi, lungo le rampe delle superstrade emerse, davanti a negozi e stazioni chiuse. Tutti afroamericani. Tutti black. Nessun individuo caucasico. È come se, attraverso un evento naturale del tutto casuale, sia stata tirata una perfetta linea divisoria, economica e sociale, tra le classi agiate e medie e le classi povere di una metropoli.

Ma le sorprese non sono finite. Prima il danno e poi la beffa. L’ironia, la menzogna. In realtà il “Settimo Cavalleria” (per dirla alla Buffalo Bill) – i bianchi – è arrivato dopo circa due giorni. Ma armato fino ai denti. Guardie nazionali di altri Stati, corpi di polizia federali, mezzi corazzati, elicotteri da guerra.

Perché il battage mediatico, il circo comunicativo dei media americani, che ovviamente ha centuplicato gli ascolti, in quei giorni non si è soffermato sul disastro ambientale, sulle sofferenze degli sfollati, sui morti (oltre 1800). Il grande occhio della tv americana ha dato grande risalto ai saccheggi – poche centinaia in zone su cui insisteva una popolazione di 50 mila rifugiati -, ai limitati atti di violenze di strada (10 omicidi), alle risse, ai presunti stupri e violenze dentro il Superdome. Una narrazione feroce, che esaltava un clima da zombie apocalypse, quando il bisogno della gente dei quartieri poveri era quello di essere aiutata con acqua, cibo, medicine e protezione.

«Abbassa quell’arma, questa non è una guerra idiota!». Come in ogni storia c’è un personaggio positivo, così Katrina ha il suo eroe. Il tenente Generale Russel L. Honoré, incaricato di coordinare le operazioni di soccorso militare a New Orleans. Un soldato coraggioso, che liberò le strade per permettere l’evacuazione di migliaia di sfollati, distribuì cibo, acqua e medicinali ma soprattutto con la sua condotta energica e decisa, mostrò al mondo come a New Orleans non serviva la forza ma organizzazione, cura e anche sostegno emotivo per le vittime.

Crisi ecologica, inefficienza organizzativa, miopia e disinteresse delle autorità politiche, razzismo, violenza, ingerenza e manipolazione dei media. L’uragano Katrina di 20 anni fa rappresenta un evento precursore, una grande prova generale delle crisi che le nostre società contemporanee faticheranno sempre di più a comprendere, ad affrontare, a risolvere. Un cluster di questioni immani, quasi impossibili da sbrogliare: popolazioni senza strumenti, quartieri senza servizi, mancanza di responsabilità politica, crisi climatiche sempre più gravi, indifferenza e totale mancanza di solidarietà sociale. Con la consapevolezza che, un giorno, i nostri destini, le nostre vite un giorno potrebbero essere affidati alle scelte di individui random. Chi toccherà a noi? Uno come George W. Bush o come il Generale Honorè?

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