12 marzo 2024

L’importanza di raccontare Alda Merini: intervista al regista Roberto Faenza

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Con il regista Roberto Faenza parliamo del suo ultimo film, dedicato alla vita e alle parole della poetessa Alda Merini, figura straordinaria e fragile, da riscoprire «In questo momento di turbamenti»

In prima visione su Rai 1, giovedì, 14 marzo, in prima serata, Folle D’Amore – Alda Merini, con Laura Morante, Mariano Rigillo, Federico Cesari Rosa Diletta Rossi, Giorgio Marchesi e Sofia D’Elia. Folle D’Amore – Alda Merini è una coproduzione Rai Fiction – Jean Vigo Italia. La regia è di Roberto Faenza, David di Donatello per Jona che visse nella balena, Nastro d’argento per La verità sta in cielo, Globo d’oro per Marianna Ucrìa, I giorni dell’abbandono, Un giorno questo dolore ti sarà utile.

Folle D’Amore – Alda Merini racconta la vita straordinaria della grande poetessa Alda Merini: dal disagio psichico alla maternità, dagli amori impossibili fino all’accesso alla cultura e alla fama. Il ritratto di un’icona contemporanea inedito e appassionante. «Se è vero che Alda Merini – dice il regista Roberto Faenza –  ha ottenuto in vita molti riconoscimenti e attestati di stima in ambito letterario, è pur vero che la sua poetica, tutt’altro che popolare in senso stretto, ha conquistato il cuore di un vasto pubblico, anche nelle generazioni giovani. Ecco perché è interessante raccontare come Alda sia riuscita a tradurre in versi un immaginario straordinariamente ricco e universalmente riconoscibile. La modalità scelta è quella di raccontarne la biografia nei suoi momenti salienti, farla conoscere come donna e madre – molto amata dalle figlie, nonostante condotta ben poco convenzionale -, prima ancora che come poeta.

Alda – continua Faenza – ha scritto poesie bellissime che hanno toccato il cuore e l’anima di tanti. Pur vivendo un’esistenza tormentata, è riuscita a non perdere l’ironia e la capacità di amare, nonostante i ricoveri psichiatrici. In lei hanno convissuto l’inquietudine e la vis terapeutica della poesia. Anche per questo motivo è importante raccontare la sua storia al grande pubblico, specie in questo momento di grandi turbamenti».

In Terra Santa, Alda Merini scrive: “Ho avuto anch’io la mia Palestina, le mura del manicomio”…

«Terra Santa secondo me è una bestemmia, perché se c’è un posto dove non c’è santità è la Palestina. La verità è che in quella terra, dove io sono stato a lungo, dove ho girato più di un film, dove ho tanti amici, da duemila anni si combatte. E c’è da chiedersi come mai, perché in quel posto si sono sempre combattuti i popoli. È una cosa che non riesco a spiegarmi. Vado abbastanza spesso a Gerusalemme e ho degli amici da una parte e dall’altra, palestinesi ed ebrei, e mi sono sempre chiesto perché questi due popoli non riescano a incontrarsi. Qual è la maledizione? Cosa c’è in quella terra che impedisce di essere sereni e di vivere come tutti gli altri? È una maledizione che non mi so spiegare…».

In un vecchio scritto si legge che non esistono terre pure e terre impure di per sé, dipende dal cuore di chi le abita…

«Allora speriamo in bene…».

La Palestina di Alda Merini erano le mura del manicomio. A un secolo dalla legge Basaglia si discute ancora di queste strutture…

«Secondo me i manicomi non dovrebbero esistere, perché la follia non è una malattia che si tratta in un manicomio. È una forma mentis, è un dolore che bisogna accudire, nei confronti del quale bisogna avere un atteggiamento completamente diverso. È facile mettere la gente nei manicomi, mentre è molto difficile curarli. Ci vuole più attenzione, più soldi e questo non è un periodo in cui c’è attenzione o sensibilità verso questi problemi. Siamo in un periodo secondo me tremendo, retto da veri fascisti che tutto guardano meno che l’interesse delle persone».

Ha sperimentato la censura, con il documentario Forza Italia! e con il libro Il malaffare. Abolita la censura, l’autocensura è la nuova censura?

«Noi dobbiamo fare i conti con la realtà, nel senso che siamo governati da un Governo di destra. Se non proprio fascista, molto vicino. Questo è inconciliabile in un Paese che dovrebbe essere il contrario. Perché c’è questa regressione? Io penso che la regressione sia dovuta alle persone adulte e anziane. Insegno all’università, ho contatti quotidiani con i ragazzi e vedo un’enorme differenza tra i giovani e gli adulti. I giovani sono speranzosi, credono in un futuro, si danno da fare. Gli adulti sono seduti, non hanno nessuna speranza e, soprattutto, non hanno nessun interesse nel cambiamento. È una cosa terribile e, mai come ora, è meglio essere giovane».

Questo film su Alda Merini può piacere ai ragazzi?

«Sono convinto che avrà un’ottima accoglienza perché Alda è un personaggio che vive ancora nel cuore dei giovani. Come docente universitario, vedo che tanti ragazzi sono interessati alla Merini, quasi come se fosse una luce, un faro, come se li guidasse verso qualche cosa. E quindi sono convinto che questo film avrà un bel successo».

Lei si è diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia. Dopo quello che è accaduto al Centro Sperimentale e al Teatro di Roma per il controllo delle direzioni di queste due strutture, con proteste cadute nel vuoto, stiamo imparando a normalizzare la “marcia sulla cultura”?

«Intanto questo Paese non ha mai riconosciuto una cultura, è sempre stato contro la cultura. Anche nei governi cosiddetti democratici, la cultura è sempre stata considerata per una élite; non una cultura di massa, da coltivare, da trasmettere ai giovani. Quindi non mi stupisce questo e, in più, abbiamo un governo reazionario. Questa è la realtà. La cosa sorprendente è che, mentre i giovani combattono e sono in prima linea, le persone mature, dai quarant’anni in su, sembrano assopite, sembrano addormentati, come drogati. E questo è il male del Paese dove la maggioranza, purtroppo, sono adulti e i giovani sono la minoranza. Bisogna schierarsi con la minoranza. Io sono sempre stato una minoranza e voglio esserlo: non voglio essere una maggioranza».

Mi stupisce trovarla in questa Rai…

«La Rai è sempre stata un’azienda molto complessa. Penso che la Rai sia la radiografia del Paese: c’è la destra, la sinistra, il bello, il brutto, il macabro, l’allegro. È quello che va in onda. Però è anche l’azienda più interessante del Paese perché è l’unica azienda che, nel bene e nel male, produce cultura: quindi bisogna difenderla dall’aggressione, darsi da fare e resistere, resistere, resistere».

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