14 ottobre 2023

Tutta la Bellezza e il Dolore, il documentario su Nan Goldin al Madre di Napoli

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Nell’ambito della 28ma edizione del festival Artecinema, al museo Madre di Napoli è stato proiettato il docufilm di Laura Poitras dedicato alla vita, all’arte e alle lotte della grande fotografa Nan Goldin

«Avete bisogno di flaconi?». Inizia così il docufilm di Laura Poitras All the Beauty and the Bloodshed – Tutta la bellezza e il dolore (2022), proiettato nella seconda giornata della 28ma edizione di Artecinema al Museo Madre di Napoli. Ancora una volta, Artecinema, il festival del film d’arte contemporanea ideato dalla gallerista Laura Trisorio, si dimostra un’occasione irrinunciabile per vedere «Come gli artisti diventano attivisti – ha spiegato Trisorio durante la presentazione – Come gli artisti sono calati nel presente, nei problemi della società». Ma non solo, il film che ha vinto il Leone d’oro alla 79ma Mostra del Cinema di Venezia come Miglior documentario, affronta «Temi che non ci accompagnano solo, ma ci scuotono», ha aggiunto la direttrice del Madre, Eva Fabris.

Eva Fabbris e Laura Trisorio durante la presentazione di All the Beauty and the Bloodshed al museo Madre

La regista statunitense Laura Poitras, già Premio Oscar per il documentario Citizenfour (2014) su un altro scandalo americano, la vicenda di Edward Snoden, ripercorre la vita di una delle fotografe più rivoluzionarie della scena artistica, Nan Goldin. Il docufilm si apre con una scena al MET – Metropolita Museum of Art di New York, dove prende il via la prima azione attivista del gruppo PAIN- Prescription Addiction Intervention Now, fondato nel 2017 da Goldin per denunciare pubblicamente l’azienda farmaceutica Purdue Pharma della famiglia Sackler, una delle famiglie più potenti al mondo in quegli anni, responsabile della morte di mezzo milione di americani, per overdose di ossicodone.

Ma perché protestare al MET? La Sackler è stata anche mecenate dei principali musei del mondo, un modo per ottenere detrazioni fiscali e affermare il proprio nome o ripulire la propria reputazione, attraverso i luoghi di cultura, i Musei. Intanto, le voci dei manifestanti, di coloro che hanno rischiato di non farcela e di quelli che hanno perso i loro cari, si fanno sempre più forti e riecheggiano nell’inquadratura nella Great Hall, il maestoso atrio centrale inaugurato nel 1900, fino a esplodere davanti alla ricostruzione del celebre tempio egizio di Dendur, dove una pioggia di flaconi vola tra l’ampia vetrata che affaccia su Central Park e il bacino d’acqua in cui si specchia il tempio.

Poitras scatta come delle istantanee della vita di Goldin, sin dall’infanzia, quando fu segnata dal tragico evento che colpì la sorella Barbara, affetta da una grave depressione che la portò al suicidio, o almeno così dicono i documenti ufficiali. Una famiglia repressiva, quella di Nan, che in video ricorda: «Come fai a crescere quando ti dicono: questo non l’hai sentito, non l’hai visto. Come fai a credere in te stesso. Ecco perché faccio foto. La sua ribellione è stata il mio punto di partenza».

A circa 14 anni, dopo essere stata espulsa da diverse scuole, abbandona casa dei genitori ritrovandosi a vivere con diverse famiglie affidatarie. Si iscrive alla Satya, una scuola hippie gratuita in Massachusetts e qui incontra David Armstrong, «Ci siamo incontrati rubando bistecche […] David era l’occhio della tempesta, mi ha chiamata lui Nan».  Alla Satya inizia ad avvicinarsi alla fotografia e sperimenta con la polaroid: «Mi ha dato una voce, scattare foto mi ha protetta».

Anni 70′. Boston. Mentre frequenta la scuola del Museum of Fine Arts, lavora in un bar per lesbiche e inizia a fotografare le Drag queen, «Volevo che finissero sulla copertina di Vogue, andavo in giro con la mia macchina per spille», sono i suoi primi slide show raccolti poi nel lavoro The Other Side, in cui documenta il fascino e la vulnerabilità delle drag queen costrette a uscire solo di sera.

Nel frattempo tornano sullo schermo le immagini degli attivisti, che si alternano ai frammenti di vita passata della Goldin. I cartelli, le voci, le azioni, che gridano «I Sackler sapevano! Il tempio del soldi!», si diffondono sempre di più in altri musei, come al Guggenheim, dove avviene la liberazione di gruppo di tantissime ricette farmaceutiche. Intanto conosce la scrittrice e attrice Cookie Mueller, uno dei soggetti ricorrenti delle sue foto e si trasferisce con David a New York, in un loft al 78 del quartiere di Bowery, il quartiere più in, dove organizza spettacoli in vari club e discoteche, tra cui The Ballad of Sexual Dependency. In questo lavoro, che forse è il più noto, presenta uno slide show diaristico musicato, che ogni volta rimodulava, cambiandone la sequenza. Oltre 700 immagini raccolte dal 1979 al 1986, per una durata di 45 minuti in cui ritrae l’uso di droghe, il sesso estremo e la vita della comunità o di tribù, come la soprannominò l’amico David Wojnarowicz, di cui faceva parte: «Riguardava il significato della famiglia per noi». Sono gli anni in cui l’AIDS stava decimando la popolazione, compresi i suoi amici più cari, infatti prese parte alle dimostrazioni di ACT UP, del gruppo Visual AIDS.

Tra queste foto, ripreso a bordo letto mentre fumava una sigaretta c’è Brian, che dopo i primi tempi felici di coppia, in preda a una gelosia fuori controllo la picchia brutalmente colpendola ripetutamente agli occhi, con l’intento di farla diventare cieca. Dopo esser sopravvissuta a questo tragico evento, intensifica l’uso di sostanze stupefacenti: «Non ero pronta per il Fentanyl […] La tristezza, si sa, non ama la compagnia».

Tra il 1988 e il 1989 intraprende il percorso riabilitazione. «Mi sono salvata per un soffio, sono passata da 3 pillole al giorno come prescritto, a 18», dice Nan, ricordando la fortuna di essere rientrata nel trattamento assistito da farmaci – MAT, una tecnica di utilizzo di farmaci insieme alla terapia comportamentale per affrontare l’abuso di droghe e alcol di un individuo durante la riabilitazione. Fece sue le parole che aveva detto, prima di morire, Arthur Sackler ai suoi figli «Lasciate il mondo un posto migliore di quando ci siete entrati» e dopo numerose battaglie legali, la Purdue dichiarò il fallimento. In realtà, pur di non pagare le 3000 cause che non tardarono ad arrivare, la Sackler aveva prelevato un’ingente somma di danaro prima della bancarotta dell’azienda e pagò 6 miliardi di dollari per l’immunità.

La vittoria, morale, arriverà dalla National Portraits Gallery seguita poi dalla Tate, dal Guggenheim e dagli altri musei fino al MET che decideranno di non ricevere più finanziamenti dalla famiglia e di rimuovere il nome dei Sackler dal proprio museo.

Tutta la bellezza e il dolore nasce dall’espressione ritrovata in una relazione clinica di Barbara, vittima di una società che negava qualsiasi diversità e che ha avuto un impatto inevitabile per Nan, come una miccia pronta a esplodere. In questa esplosione in cinque atti però c’è una vita vissuta con i suoi rimorsi e i suoi amori, che in parte risponde al passo sui rimpianti inestinguibili, di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, tra le letture preferite di Barbara, nella scena letta dalla madre con il padre seduto affianco.

Alcuni, guardando le sue foto, hanno fatto resistenza asserendo «Questa non è fotografia! Nessuno fotografa la propria vita», altri hanno riconosciuto che «Succedono molte cose in una foto di Nan Goldin». L’artista, in un’intervista per Artforum, ha detto: «Sono solo frammenti della vita così come veniva vissuta. Non c’era messa in scena».

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