-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Architetture interiori: la fotografia meditativa di Ljubodrag Andric
Fotografia
Parlare del lavoro fotografico di Ljubodrag Andric (Belgrado, 1965) non è semplice perché si rischia di essere banali e fermarsi a una superficiale e immediata prima impressione. A uno sguardo distratto, i suoi scatti sembrano documentare semplici scorci architettonici di edifici più o meno noti: porzioni di dimore signorili, lunghi corridoi o vecchi muri di case abbandonate segnati dallo scorrere del tempo e dal sole cocente. Eppure, questa impressione è ingannevole. Ogni foto, infatti, è il frutto di un’attenta costruzione visiva e di un lavoro di elaborazione e post-produzione essenziale che, pur restando discreto, conferisce all’immagine un’aura sospesa, quasi pittorica.
Le sue inquadrature trasformano l’architettura in forma pura: geometrie, luci e volumi dialogano in un equilibrio silenzioso che invita alla contemplazione. È proprio l’atto di fermarsi, prendersi del tempo ed avviare un viaggio di riflessione interiore, che permette di decifrare i suoi lavori, di cogliere appieno la sua poetica, tutte le molteplici sfaccettature che si possono cogliere d’innanzi le sue foto.

Oggi alcuni degli scatti più recenti di Andric sono al centro della personale Ljubodrag Andric. Spazi, soglie, luci, organizzata dalla Building Gallery di Milano in collaborazione con la prestigiosa Fondazione Giorgio Cini di Venezia. L’esposizione, visitabile fino al 18 ottobre, rappresenta il secondo capitolo di un percorso più ampio iniziato ad aprile presso Palazzo Cini. Nel capoluogo veneto Andric ha presentato una selezione di fotografie frutto di numerosi viaggi, un confronto intenso tra le stratificazioni storiche veneziane e le atmosfere intime e sospese del cuore dell’India. La tappa milanese, curata da Francesco Tedeschi, propone invece una nuova selezione di venti opere di grandi dimensioni, distribuite negli articolati ambienti della galleria, in un percorso che amplifica ulteriormente la forza evocativa della sua ricerca artistica.

I temi ricorrenti di questo secondo appuntamento sono molteplici, ma tutti accomunati dalla passione del fotografo serbo per l’architettura, soggetto privilegiato che lo accompagna fin dai primi incarichi ufficiali. Già dall’esterno, passeggiando lungo via Monte di Pietà, osservando attraverso le vetrine della galleria è possibile riconoscere alcuni edifici iconici immortalati negli scatti, come il celebre Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Andric non raffigura l’edificio nella sua interezza, né si concentra sugli elementi principali che ne scandiscono la facciata. Al contrario, sceglie di isolare una piccola porzione del rivestimento, come se estrapolasse un tassello per esaltarne la geometria e la modularità, rivelando l’essenza costruttiva della dimora rinascimentale.

Percorrendo le sale notiamo come il tema della soglia sia preponderante nella sua produzione. Lucknow 3, l’immagine più emblematica dell’intera mostra, ritrae un’apertura ripresa di lato, forse una finestra o una porta. Ciò che a prima vista sembra una forma astratta, quasi geologica, si rivela invece come una fessura attraverso cui filtra la luce. Lo spettatore si trova così disorientato, chiamato a decifrare quella che in realtà è la semplice immagine di un interno.

Lo stesso avviene in Lucknow 9, scatto raffigurante un corridoio in cui si susseguono varchi, finestroni e nicchie. La simmetria dello spazio, esaltata dai contrasti luminosi e cromatici dominati dai toni caldi dell’ocra e della terracotta, trasforma la fotografia in un ambiente sospeso, che evoca attesa e spiritualità. Qui lo spazio diventa tempo e la materia si fa luce. Anche in questo caso lo spettatore è indotto ad attivare la propria immaginazione, cercando di ricostruire il contesto da cui l’immagine proviene: forse un antico palazzo abbandonato, una storica dimora indiana, o, ancora, un labirinto senza via d’uscita.

Come già accennato, il tema della soglia assume in Andric un valore centrale, trasformandosi in simbolo di passaggio e metamorfosi. Le soglie appaiono come aperture enigmatiche o finestre cieche che non conducono da nessuna parte; spesso si collocano in luoghi abbandonati, dove l’elemento architettonico diventa metafora di un processo di introspezione e riflessione interiore, innescato dall’immedesimazione davanti a tali varchi. Anche la fotografia, in quanto immagine incorniciata, si configura a sua volta come soglia, una finestra su un mondo altro, in attesa di essere esplorato. In tal senso, Hampi 10 è un’opera esemplare. L’artista ritrae un semplice muro di un edificio dell’omonimo villaggio del Karnataka. La superficie rivela le stratificazioni materiche dell’intonaco mentre al centro della parete si apre una piccola nicchia. Lo spazio non è solo architettonico, ma anche mentale. La nicchia appare come un elemento totalmente opposto, estraneo rispetto alle pareti rovinate, generando così un netto contrasto con il caos organico dell’intonaco.

Concludono la mostra una serie dedicata ad alcuni edifici storici italiani. I lavori realizzati tra Roma e Venezia celebrano la luce, che domina interamente le composizioni, modulandosi dal bianco più tenue a quello più intenso, a seconda della sua direzione. La luce, altro elemento cardine nella sua produzione, non solo modella lo spazio, ma conferisce alle architetture una nuova fisicità, ampliandone il potenziale espressivo e percettivo. Anche in questo caso le soglie, qui intese come archi, nicchie o crepe, generano immagini immersive in cui lo sguardo dello spettatore è invitato a perdersi.
La mostra ha il merito di far conoscere il lavoro di un fotografo contemporaneo di grande interesse ed evidenzia come la fotografia possa trascendere la mera rappresentazione di ciò che appare davanti all’obbiettivo. Ogni immagine diventa uno strumento capace di isolare un dettaglio, di valorizzarlo e di rivelare ciò che l’occhio umano da solo non riuscirebbe a cogliere. Questo effetto è amplificato dalla scelta dell’artista di stampare le sue opere in grande formato, fotografie raffinatissime che superano i cento centimetri per lato. Così ogni scatto si trasforma in un quadro, in uno spazio mentale, in una soglia sospesa tra reale e astratto. È un invito a guardare con lentezza e attenzione ciò che troppo spesso ci scivola davanti inosservato.














