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Le fotografie di Rodney Smith dimostrano che l’eleganza può essere visionaria
Fotografia
di redazione
La fotografia come luogo di armonia, stupore e precisione formale. È questo il mondo che si apre con Rodney Smith – Fotografia tra Reale e Surreale, la grande retrospettiva dedicata al fotografo newyorkese, visitabile a Palazzo Roverella di Rovigo fino all’1 febbraio 2026. Prodotta da Silvana Editoriale, che ne ha pubblicato anche il catalogo, la mostra è curata da Anne Morin e promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Comune di Rovigo, Accademia dei Concordi e Chroma photography, con il sostegno di Intesa Sanpaolo.

Con oltre cento opere, l’esposizione introduce al pubblico italiano una delle figure più eleganti e al contempo visionarie della fotografia contemporanea. Coniugando rigore classico e ironia surreale, Smith costruiva immagini sospese tra sogno e geometria. Realizzate esclusivamente con pellicola, luce naturale e senza alcuna post-produzione, le sue fotografie restituiscono un mondo perfetto, stilizzato, attraversato da micro narrazioni poetiche e da un equilibrio compositivo che richiama l’opera di René Magritte ma anche la lezione dei grandi maestri del Novecento.

Nato a New York nel 1947, cresciuto in un ambiente colto e sensibile alla bellezza, Smith si formò tra letteratura e teologia all’Università della Virginia e a Yale, dove studiò sotto la guida del fotografo Walker Evans. Completamente autodidatta dal punto di vista tecnico, iniziò a esplorare la fotografia come linguaggio capace di unire meditazione e immaginazione. Nel 1976 trascorse cento giorni a Gerusalemme, esperienza che diede vita al libro In the Land of Light (1983) e segnò il suo sguardo.

Tra gli anni Ottanta e Duemila diventò una firma celebrata sulle pagine di riviste come TIME, New York Times, Vanity Fair, Wall Street Journal e nelle campagne di moda di Ralph Lauren, Neiman Marcus e Bergdorf Goodman. Pur identitario nel suo uso del bianco e nero, dal 2002 Smith iniziò a sperimentare anche il colore, raggiungendo nuovi esiti poetici nella fotografia a grande formato.

«Ogni immagine creata da Smith è un tentativo di ricreare l’armonia divina», ha spiegato la curatrice Anne Morin. «Sono opere eteree, costruite con la pazienza di un orafo, capaci di sedurre lo sguardo con la loro grazia sobria e silenziosa». Il percorso espositivo, articolato in sei sezioni, attraversa i temi cardine della sua opera, dalla proporzione alla gravità, dagli spazi eterei al tempo, dalla riflessione allo stupore. Le fotografie conducono il visitatore in mondi sospesi tra una impeccabile precisione formale e un umorismo leggero, quasi cinematografico, alimentato da riferimenti a registi come Alfred Hitchcock, Terrence Malick, Wes Anderson e alle figure del cinema muto, da Buster Keaton a Charlie Chaplin.

Smith amava definirsi un «Ansioso solitario» e la fotografia era per lui un metodo per riconciliare il quotidiano con l’ideale. Nelle sue immagini la ricerca di un ordine possibile trasforma il caos in una coreografia perfetta rd è forse questo equilibrio a rendere la sua opera così amata e riconoscibile, un invito gentile a osservare il mondo con stupore, leggerezza e un senso di meraviglia.

La retrospettiva è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, con testi di Anne Morin, Susan Bright e Leslie Smolan, direttrice dell’Estate of Rodney Smith. Un volume che approfondisce la complessità di un autore che, fino alla morte improvvisa nel 2016, ha continuato a considerare la fotografia un atto di ricerca spirituale, un modo per portare ordine nel disordine e dare forma all’infinita varietà del mondo.














