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Fotografia Europea racconta le visioni di un’identità inquieta
Fotografia
A Reggio Emilia è tempo di Fotografia Europea, il festival dedicato alla fotografia – primo in Italia, fra i più interessanti in Europa e recentemente riconosciuto come miglior photofestival dell’anno ai Lucie Awards – che oggi ha fatto della propria specificità un primato all’interno di un sistema policentrico come quello dell’Emilia Romagna.
Il comitato scientifico a caratura internazionale, con Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart, la ricchezza della proposta espositiva e l’annuale rinnovamento che trasforma la città in una piazza sempre più aperta e inclusiva sono solo alcuni modi di essere di Fotografia Europea, il cui orizzonte, nell’edizione del 2023, si colloca nella dimensione europea con uno sguardo attento all’identità inquieta: la guerra in Ucraina, la drammaticità del Mediterraneo, le divisioni politiche, le visioni laceranti. Cosa è rimasto del sogno europeo della pace, della prosperità, della giustizia sociale, dell’eguaglianza e delle pari opportunità?
I Chiostri di San Pietro, Palazzo da Mosto, i Chiostri di San Domenico, Palazzo dei Musei, la Biblioteca Panizzi, e lo Spazio Gerra, insieme agli spazi del Circuito OFF, fino all’11 giugno, accolgono usi della macchina fotografica non forzatamente artistici: partendo dalla tematica “Europe matters: visioni di un’identità inquieta”, la fotografia viene lasciata agire come strumento in grado di produrre registrazioni e memorie autonome, favorendo comportamenti, reazioni e relazioni fondamentali nella ridefinizione della nostra identità individuale e sociale nella civiltà contemporanea.
I chiostri di San Pietro, cuore di Fotografia Europea, aprono al piano terra con l’esposizione, di carattere storico, dedicata a Sabine Weiss, che si è confrontata con reportage, illustrazione, moda, pubblicità, ritratti d’artista e lavoro personale sempre empatizzando con l’essere umano, come fosse un pretesto di incontro, un modo di vivere e un modo di esprimere il proprio sé: «(…) who are the artists, because they create something completely new. I was just a witness to the things I saw». (… che sono gli artisti, perché creano qualcosa di completamente nuovo. Io sono stata solo una testimone delle cose che ho visto).
Al piano superiore il percorso prende le mosse dal progetto di Mónica de Miranda, The Island. Incentrato sul riconoscimento delle storie e delle culture africane nella loro autonomia e diversità, il lavoro smantella i pregiudizi che si sono radicati nella società portoghese favorendo anche un’immaginazione di percorsi alternativi e futuri. Mónica de Miranda dà elegantemente valore e rispetto alla partecipazione attiva e dinamica di uomini e donne di origine africana che hanno vissuto e continuano a vivere in Portogallo e alle loro conquiste, intrecciando da un punto di vista biografico femminile diverse storie che sfidano le convenzioni narrative patriarcali. Le fotografie esposte mettono metaforicamente in discussione le nozioni limitate di genere, di razza, di realtà e di verità che vengono veicolate solo dalle visioni degli uomini bianchi, occidentali e della classe media. Dopo di lei, Jean-Marc Caimi & Valentina Piccinni con Güle Güle (arrivederci in turco) mostrano una personale rappresentazione di Istanbul e di quelli che sono i profondi cambiamenti che stanno interessando la città e la società turca: la gentrificazione, la situazione critica in cui versano le classi sociali più deboli, la crescente discriminazione della comunità LGBTQ+, il flusso migratorio siriano e la problematica curda si celano nei soggetti ritratti.
Documentario e rivelatore, il lavoro di Caimi e Piccinni permette di entrare in contatto con quel substrato umano sempre nascosto dalla facciata sociale comunemente accettata. La narrazione, non lineare, restituisce un tessuto sociale sempre più bersaglio di un regime autoritario e soffocante. Segue Merrie Albion di Simon Robert che assume il desiderio di condividere e il senso dell’esserci come temi impliciti. L’indagine fotografica esposta rivela l’evoluzione dei modelli del tempo libero, il consumo e la mercificazione della storia, la militarizzazione e le linee di demarcazione ed esclusione nel paesaggio. «They lookd at the view, they looked at what they knew, to see if what they knew might perhaps be different today. Most days it was the same», Virginia Woolf – (Guardavano il panorama, guardavano quello che sapevano, per vedere se quello che sapevano poteva essere diverso oggi. La maggior parte dei giorni era la stessa). La sensazione predominante d’incertezza e di ansia culmina con l’opera video The Brexit Lexicon, immagine iconica di diseguaglianza sociale, ingiustizia e trauma.
Il percorso prosegue con il progetto di The Archive of Public Protests, You will never walk alone, un’avventura fotografica – lontana dai canoni estetici del fotogiornalismo – che affronta le sfide di aperta ingiustizia che le comunità mondiali devono affrontare. Le fotografie assumono la forma di striscioni e di manifesti e possono diventare parte di un gesto corporeo, come un agente di trasformazione e cambiamento politico, piuttosto che una rappresentazione di resistenza. La fotografia non è semplicemente di protesta dunque, ma è anche documentazione che garantisce, nella forma tangibile, la circolazione e la riflessione. Incontriamo poi Alessia Rollo, con il progetto multimediale Parallel Eyes, che mira a riconsiderare in termini visivi e sociologici la costruzione dell’identità culturale dell’Italia meridionale. L’immaginario evocativo e non descrittivo cui Rollo dà forma, con materiali storici d’archivio e sue fotografie, stimola un confronto con il ruolo che ancora oggi esercitano i riti sulla comunità e sul senso di esistenza e appartenenza. E dal passaggio degli esuli attraverso l’Italia meridionale come le Alpi, prende le mosse il lavoro di Samuel Gratacap, Bilateral, che guarda al paesaggio dal punto di vista dei confini mostrandolo o lasciandolo intuire, attraverso la ricerca delle tracce rimaste. Fotografando e ascoltando coloro che attraversano o cercano di attraversare i confini, Gratacap rappresenta persone senza volto ma responsabili di decisioni e leggi che incoraggiano la violenza e la discriminazione.
Yelena Yemchuk presenta Odessa, ispirato alla città che aveva la fama di essere una città libera in epoca sovietica. Dal 2015 Yemchuk fotografa Odessa. L’anno precedente la Russia aveva invaso e poi annesso la Crimea e si combatteva sul confine orientale dell’Ucraina. Le fotografie ritraggono ragazzi e ragazze all’Accademia Militare di Odessa pronti a partire per combattere di cui, oggi più di ieri, guardiamo i volti e immaginiamo le vite. In chiave antropologica Geoffroy Mathieu con L’or des ruins mostra una varietà di piante e saperi legati alla raccolta per testimoniare l’esistenza di un popolo che attraversa lo spazio urbanizzato ritrovando negli spazi marginali una visione alternativa dei mezzi di sussistenza. Cédrine Scheidig, infine, chiude il percorso con il progetto De la mer à la terre. Posando il proprio sguardo sui giovani della Francia e della Martinica – ritratti delicatamente insieme a paesaggi urbani e nature morte – Scheidig esplora una gioventù diasporica alla scoperta di sé stessa, suggerendo riflessioni sul passato coloniale, l’ibridazione culturale, la mascolinità e la migrazione.
Nella sede dei Chiostri di San Domenico Myriam Meloni – su committenza – dal mito di Europa narrato da Ovidio costruisce Nelle giornate chiare si vede Europa, un ritratto delle “Europa” contemporanee costellato di possibilità che invitano a costruire una nuova prospettiva critica verso la contaminazione culturale. Mattia Balsamini, uno dei due vincitori dell’Open Call di Fotografia Europea, con Protege Noctem – If Darkness disappeared documenta la rivoluzionaria battaglia della difesa dell’oscurità nella guerra ecologica in atto in questa era. Camilla de Maffei, anche lei vincitrice, presenta Grande Padre, un progetto a lungo termine che invita a riflettere sul rapporto globale tra individuo, società e potere.
Palazzo da Mosto presenta le fotografie provenienti dalla collezione di Ars Aevi con la mostra “Masters of Contemporary photography fron the Ars Aevi collection” che celebrano la Bosnia Erzegovina come Paese Ospite di questa edizione del festival, insieme a Ariane Loze con Utopia e Studies and Definitions,due video realizzati per riflettere sull’Europa, sui temi fondanti come l’essere comunità, il sentirsi rappresentati, la ricerca del bene comune e l’immaginazione di un’utopia.
Palazzo dei Musei ospita al primo piano la mostra “Un piede nell’Eden. Luigi Ghirri e altri sguardi. Giardini in Europa e L’Architettura degli Alberi”, con Luigi Ghirri, Andrea Abati, Olivo Barbieri, Giovanni Chiaramonte, Joan Fontcuberta, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Francesco Radino, Olivier Richon, George Tatge, Ernesto Tuliozi, Fulvio Ventura, Varena Von Gagern e Cuchi White. Al secondo piano invece è possibile vedere la mostra collettiva “Appartenenza” con Eleonora Agostini, Andrea Camiolo, Sofiya Chotyrbok, Davide Degano, Carlo Lombardi, Giulia Mangione e Eleonora Paciullo, a cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi nell’ambito di “Giovane Fotografia Italiana #10 | Premio Luigi Ghirri 2023”.
Nella Biblioteca Panizzi sono aperte le mostre “Flashback. Scatti da Fotografia Europea 2007”, una selezione di opere fotografiche tra quelle esposte durante il festival Fotografia Europea del 2007, e “Alberto Franchetti (1860-1942) e la fotografia”, che espone parte della recente donazione fatta dalla famiglia Ponsi sul patrimonio di fotografie scattate da Alberto Franchetti. Infine Spazio Gerra propone 115 ritratti dei più noti musicisti contemporanei di tutto il mondo, tra cui John Cage, Philip Glass, Brian Eno, Steve Reich, Michael Nyman e Demetrio Stratos. Se in tema musicale anche quest’anno Fotografia Europea ripropone il grande successo della sua declinazione musicale “FOTOFONIA”, curata da Max Casacci, a livello di territorio diverse istituzioni culturali presentano progetti collegati al festival.
Giunta alla sua XVIII edizione, Fotografia Europea entra nella maggiore età sotto forma di un viaggio lento e silenzioso, da intraprendere tenendosi per mano, affidandosi, per lasciarsi portare là dove esiste lo spazio ideale che vogliamo costruire.