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La fotografia di moda come contraddizione. Scianna e Newton a Cuneo
Fotografia
di Luca Avigo
Cos’hanno in comune il Filatoio di Caraglio e la Castiglia di Saluzzo, oltre alla provincia di Cuneo? Fino al primo marzo, ospitano la grande fotografia di moda: Helmut Newton. Intrecci e Ferdinando Scianna. La moda, la vita, ospitate rispettivamente nell’ex setificio e nella fortezza marchionale, entrambe realizzate da Fondazione Artea. Se una mostra di Newton sulla moda è ordinaria amministrazione, il binomio Scianna–moda è inaspettato. Tutto nacque nel 1987, quando lo contattò una giovane coppia di stilisti emergenti, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, ammiratori del suo lavoro e del folklore siculo. All’epoca Scianna documentava miniere peruviane e, da adepto di Henri Cartier-Bresson – della cui agenzia Magnum fu il primo fotografo italiano – infrangere la legge «mai intervenire sulla realtà, il fotografo deve essere invisibile» pensava che l’avrebbe fatto «finire all’inferno». Ma, aggiunge sornione, «com’è noto l’inferno è molto più divertente del paradiso».

Accettò a patto di evitare set e studi: con la modella olandese Marpessa vagò per la Sicilia, ritraendola nella quotidianità col suo occhio da reporter. Le diede una sola indicazione: mai mettersi in posa. Incalzato dal curatore della mostra Denis Curti, Scianna racconta che si presentò da Magnum portando sia il reportage peruviano che i servizi di moda, suscitando «un putiferio». «Reagirono in base a pregiudizi ideologici che erano anche i miei», ammette. Ma non solo fu ammesso, facendo pace con Cartier-Bresson; fu proprio grazie alla fotografia di moda che scoprì che «tante mie ideologie sulla fotografia non le credevo veramente».

L’esperienza lo divertì così tanto che mantenne quel format per tutta la durata del suo flirt con la moda, durato meno di dieci anni. Questi bastarono però a creare un corpus notevole, in gran parte finora inedito, in cui si delineava la sua poetica del contrasto: non solo quello dei bianchi e neri, ma tra soggetto e contesto. Una donna in vestito bianco tra locali africani velati di nero, volti giovani e perfetti accanto ad anziani segnati dal tempo, corpi scultorei accanto a carcasse di bovini; o Monica Bellucci in un baracchino del polpo bollito alla Vucciria. Tali contrasti, tanto formali quanto narrativi, ritornano in pressoché ogni foto in mostra: la spontaneità e l’ironia con cui Scianna impiega il quotidiano per contrapporsi alla fotografia di moda classica lo rendono un Juergen Teller ante litteram.

Secondo Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation e curatore di Intrecci, anche nelle foto di Newton «c’è sempre la contraddizione». Lo dice di fronte a un servizio per il brand Redwall realizzato in un grezzo garage, ed è difficile dargli torto. Ma, rispetto a Scianna, è lampante come i contrasti in Newton siano sporadici, freddi e calcolati, non ironici ma maliziosi. Non è una sorpresa: Newton è noto tanto per la meticolosa preparazione degli scatti quanto per la loro provocatorietà. Voyeurista autoproclamato, le sue opere più che attraenti sono accattivanti: l’unione di composizioni immacolate e volgarità garantisce di attrarre l’attenzione, esattamente ciò che la fotografia di moda necessita.

Naturalmente e notoriamente tale approccio non è apprezzato da tutti, e chi lo trova di cattivo gusto non cambierà idea con questa esposizione. Proprio come le immagini stesse, Intrecci è un curato e teatrale e concentrato di iconicità, eccesso, lusso e sesso: esattamente ciò che ci si aspetta da una mostra di Newton. A sorprendere è invece il contesto, il monumentale Filatoio di Caraglio: una fortezza che produsse la rinomata seta piemontese dal 1676 al 1930, i cui macchinari sono stati fedelmente ricostruiti, alcuni anche funzionanti. La mostra di Newton può essere un pretesto per visitare un luogo così eccezionale – anche se forse dovrebbe essere il contrario.

Essendo non da meno la Castiglia di Saluzzo, residenza marchionale trecentesca e poi carcere fino al 1992, è chiaro come Fondazione Artea abbia voluto valorizzare il territorio cuneese attraverso due sue architetture d’eccezione e la grande fotografia. Ma l’operazione funziona anche a livello semantico: se per fotografi narrativi come Scianna è utile un filtro che ordini l’eloquenza del suo sguardo, per Newton il dialogo con un altro autore è essenziale per dare nuovo stimolo a immagini viste e riviste e per restituire profondità a fotografie così – seppur consapevolmente e sapientemente – superficiali.












