10 maggio 2022

La poesia fotografica dello sguardo: Al MAXXI la mostra di Gianni Berengo Gardin

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Settant’anni di Italia per immagini dal dopoguerra fino a noi, tra fotogiornalismo, ritratti, street-photography e paesaggio. Al MAXXI di Roma la mostra Gianni Berengo Gardin. L’occhio come mestiere, dal 4 maggio al 18 settembre 2022

Oltre 200 scatti del fotografo Berengo Gardin (Santa Margerita Ligure, 1930), maestro del bianco e nero, con alcuni inediti, presentati senza un ordine cronologico. Il titolo della rassegna richiama L’occhio come mestiere, un’antologia di immagini del 1970, testimone dell’importanza che per lui ha sempre rivestito lo sguardo. Non è un caso che la carriera del maestro ligure si affermi proprio tra gli anni ’50 e ’60, quegli anni cioè, nei quali fermentò in Francia l’École du regard, una corrente culturale poi dilagata in Italia sotto il nome di Poetica dello sguardo.

Il desiderio letterario e artistico era quello di simulare un intervento sulla realtà proprio attraverso la macchina da presa, con descrizioni minute di oggetti ed esterni. Ogni forma captata e riprodotta si riduce alla funzione dell’occhio, con uno sguardo artistico che, in ogni sua declinazione, mira ad avvicinarsi a quello della fotografia.

Il percorso della mostra – che si tiene nella struttura dell’extra MAXXI – comincia già lungo le scale che conducono alla sala espositiva, con gli interventi di Martina Vanda. Ispirandosi ad alcune foto di Berengo Gardin, l’artista apporta sulle pareti illustrazioni in bianco e nero, richiamandone l’elegante approccio narrativo.

Ciò che contraddistingue la fotografia del maestro è innanzitutto la coerenza della visione: le immagini raccontano dei fatti, che sia qualcosa da contestare o di cui sorridere. Abbondano le foto documentaristiche che narrano di battaglie come quella contro le Grandi Navi a Venezia o come quella a favore della legge Basaglia. Risale al ‘68 l’indagine Morire di classe, condotta dal maestro insieme a Carla Cerati, per documentare le condizioni all’interno degli ospedali psichiatrici in diversi istituti italiani che contribuì all’approvazione della chiusura dei manicomi nel 1978.

Quelli di Berengo Gardin sono: “racconti fotografici in cui l’uomo è colto nella sua dimensione sociale, politica e poetica” commenta Giovanna Melandri, Presidente della Fondazione MAXXI.

Nella coerenza della sua visione, ai reportage si alternano fotografie scattate con occhio divertito. È il caso della Napoli degli anni Sessanta tra scugnizzi attaccati al tram e negozi di scarpe arrangiati negli appartamenti; è il caso degli ingenui murales genovesi dell’87 in cui si legge la scritta: “dolcini ai poverini, sampagne al popolo” o del coro di ex-mondine immortalato nel ’98. Con occhio incuriosito invece è testimoniata la vita corale dei Rom, tra feste e cerimonie.

La pratica fotografica di Berengo Gardin è “artigianale”, scevra da manipolazioni di sorta. Vera fotografia è infatti la formula con cui egli timbra le sue stampe autografe. L’obiettivo del maestro, in tanti anni di carriera, risulta instancabile: non sfuggono la Milano dell’industria, delle lotte operaie e degli intellettuali, tra i quali figurano Ettore Sotsass, Gio Ponti, Ugo Mulas, Dario Fo. E un viaggio lungo tutto il Paese attraverso piccoli borghi e grandi città, stazioni, cantieri (tra cui quello del MAXXI fotografato nel 2007), luoghi di lavoro come Alfa Romeo, Fiat, Pirelli e Olivetti con cui Berengo Gardin collabora per 15 anni. Il maestro racconta anche di incontri con figure chiave della cultura come Dino Buzzati, Peggy Guggeheim, Cesare Zavattini, Sebastião Salgado, Luigi Nono. Memorabile lo scatto all’amico e fotografo Giorgio Basilico che fa capolino da un tendaggio.

Intimo centro di elaborazione, lo studio del maestro, che appare fotografato a inizio mostra, si collega alla libreria di metà percorso: un’intera parete ospita 250 pubblicazioni, che fanno luce sulle molteplici collaborazioni al fianco di autori come Ferdinando Scianna, Luciano D’Alessandro; Renzo Piano, con il quale Berengo Gardin ha avviato fin dagli anni Settanta una linea di ricerca sperimentale nel campo della documentazione architettonica. Dalla libreria in mostra emerge anche il ventennale lavoro svolto con il Touring Club italiano e con De Agostini che lo hanno spinto a misurarsi con il paesaggio italiano.

La collaborazione con gli amici del Mondo, dal 1954 al 1965, fu la sua favorita: “nella mia vita ho incontrato molti importanti intellettuali italiani che sono diventati miei amici e hanno influenzato moltissimo la mia fotografia. Il più importante è stato Mario Pannunzio”, per la rivista del quale scattò oltre 260 fotografie.

Una vita piena e appassionata quella di Gianni Berengo Gardin, che merita di essere conosciuta e ammirata, con una carriera a servizio dell’occhio e dello sguardo, sulla quale Rai 5 dedica una puntata speciale il 13 maggio alle 21.15, con l’anteprima di un docufilm realizzato dal maestro e dalla figlia Susanna in occasione dei suoi 90 anni, che il 22 giugno sarà poi proiettato al MAXXI.

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