20 maggio 2022

Other identity #10. Altre forme di identità culturali e pubbliche: intervista a Cirkus Vogler

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Other identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e della loro rappresentazione, nel terzo millennio: la parola a Cirkus Vogler, rubare il passato per rimanere nel tempo

Cirkus Vogler, RITRATTO

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana abbiamo raggiunto Cirkus Vogler.

 

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Other Identity: Cirkus Vogler

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«Prima di tutto vorrei augurarmi di avere sempre la possibilità di mantenere privato quello che scelgo di non mostrare: è una grande fortuna, a pensarci bene. Ciò che è esposto e messo a nudo, per quanto mi riguarda, è la mia voglia di comunicare attraverso quello che faccio. Che io poi ci riesca davvero o meno, è un altro problema. Non mi interessa un’arte che abbia come fine ultimo la spettacolarizzazione perché non credo nell’autocelebrazione, anche se le trappole dell’ego sono molteplici e nessuno è immune a tutte. Però credo invece che si debba lasciare spazio alle opere, tutto quello che si costruisce o emerge intorno a chi le crea ha una sua importanza, ma è altro ed è un bene che le cose possano anche rimanere separate».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«La mia identità nell’arte contemporanea oggi è quella di una persona che ha sempre trovato nell’arte conforto e libertà, dietro a questo c’è Il Cirkus Vogler (il nome omaggia il circo e Ingmar Bergman). Uno pseudonimo, un nome fittizio, che però ho scelto, a differenza del nome sui documenti, scelto da altri per me. Quale dei due è più vero? Si tratta di ambiti e convenzioni. Diciamo che poi l’identità riguarda anche la collocazione in un dato ambiente e su questo è difficile parlare. È più facile lasciar fare alle immagini, in un certo senso».

Cirkus vogler, Cry, 2020, fotografia e collage, 20x20cm

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«Per me, rispetto all’arte, l’apparenza sociale e pubblica non ha importanza. Credo sia necessario trasmettere una sorta di coerenza e serietà nelle cose che si fanno. Siamo nel periodo dei famosi quindici minuti di celebrità per ciascuno profetizzati da Warhol, siamo nel periodo della diaristica continua e dell’esposizione garantita dalla democratizzazione dei media. Ciò non è un bene o un male in sé. È un proliferare di possibilità e anche di pericoli di omologazione, certo, di confusione tra il voler essere artisti e il fare arte. McLuhan ci ha detto chiaramente che il medium è il messaggio. Questo vale per un video su TikTok come per un collage esposto in una galleria. E forse anche per il collage ancora non esposto, appoggiato sul tavolo su cui è stato realizzato. Però l’opera, come dicevo prima, resta ciò che è indipendentemente da ciò che riguarda chi la realizza, almeno se si analizza serenamente, senza confondere arte e artista, abilità e curriculum, valore e quotazione, privato e pubblico. Abbiamo tante possibilità al prezzo di qualche insidia. Ci si può confondere e anche perdere. Ma alla fine ciò che conta a mio parere saprà farsi riconoscere. E non intendo dal pubblico, quanto dal creatore stesso».

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Credo che nell’arte non si debba per forza inventare qualcosa di nuovo. Una delle mie fonti principali di ispirazione sono le foto trovate con cui costruisco i miei collage. Penso non ci sia nulla di male a rubare dal passato e a cercare ispirazioni ovunque. L’ importante è fare proprie queste suggestioni in modo che il risultato sia autentico».

cirkus vogler, earth, 2020, fotografia e collage, 20x20cm

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«Io vorrei che il mondo percepisse il rigore che metto nelle cose che faccio e il bisogno di farle non con l’obiettivo di stupire. Le creazioni che mi soddisfano di più sono quelle fatte senza pensare alla loro destinazione e al loro pubblico. Sono anche quelle che restano identiche nel tempo, senza legarsi a un periodo specifico, che le vedrebbe diventare datate».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Vorrei continuare a sviluppare l’identità del Cirkus Vogler, per ora ci sono solo io e le mie numerose altre personalità, non escludo che in futuro possa diventare un collettivo. Di base in questo carrozzone c’è la voglia di sperimentare e mixare tra loro varie tecniche espressive».

cirkus vogler, mermaid, 2020, fotografia e collage, 20x20cm

Biografia

Il nome Cirkus Vogler unisce l’idea del circo inteso come un insieme di anomalie spettacolari e luogo di magia e meraviglia, non privo di elementi di inquietudine e il cognome ricorrente dei personaggi bergmaniani nei film del regista più aperti all’ onirico. Vogler inizia la sua esplorazione artistica con la pittura, per proseguire con la fotografia, prima analogica (camera oscura, foro stenopeico, polaroid, cianotipia gomma bicromata, carta salata, solarizzazione), successivamente digitale (dall’alta definizione al lo-fi) per approdare ad una forma personale di tecniche miste basata su collage realizzati con media eterogenei quali carta, foto vintage, materiali di recupero fotografici e iconografici.

cirkus vogler, selective, 2020, fotografia e collage, 20x20cm

Cirkus Vogler si dedica anche alla realizzazione di videoclip musical e cortometraggi, principalmente sperimentali e in stop motion. La sua prima photozine cartacea “To burn with desire” è uscita nel 2020 in tiratura di 150 copie (sold out), è attualmente in lavorazione un’altra raccolta dal titolo “I am a tree” che comprenderà una selezione di lavori a tematica natura e umano, tema molto caro a Cirkus Vogler.

cirkus vogler, silence, 2020, fotografia e collage, 20x20cm

Nella sua ricerca ricorrono diversi simboli: il filo, che rimanda di volta in volta tanto al legame che alla costrizione, il tramite tra inizio e fine; le radici, rappresentazione del collegamento con l’inconscio e della vita in evoluzione e parti anatomiche la cui immagine è spesso strappata, quasi a richiamare il concetto di ferita primordiale. Una produzione “affascinata dall’esoterico che sa cogliere l’unità anche là dove sembrerebbe esserci la suprema separazione, che sa essere il mistero unico dell’unione degli opposti e che non arretra di fronte al male perché sa che è un lato necessario dell’esistenza, perché sa che ogni rimozione è mutilazione”, Daniele Baron, io è un altro). Spesso il punto di partenza nell’opera del Cirkus Vogler è lontano dal fulcro di un’estetica e di una tecnica compiuta ma genera, dalla mancanza dall’errore e dal glitch, un’immagine ulteriore compositivamente canonica e bilanciata. Cirkus Vogler è stata assistente di Bruno Ceccobelli, ha partecipato a diverse personali e collettive.

cirkus vogler, silence, 2020, fotografia e collage, 20x20cm

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