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Scenari Urbani: tra Berlino e Potsdam, lo sguardo critico sull’architettura di Luca Girardini
Fotografia
di Lucia Bosso
A cura di Scenario, piattaforma dedicata ai linguaggi visivi e alle poetiche riferite ai paesaggi umani, “Scenari Urbani” è un progetto di indagine sulle intersezioni tra fotografia, territorio e comportamenti antropici contemporanei. Oggi incontriamo Luca Girardini. La sua ricerca esplora il paesaggio antropizzato, il contrasto tra patrimonio culturale e architettura contemporanea, i diversi cambiamenti che avvengono nella trasformazio-ne del ambiente costruito, descrivendo come il processo di rigenerazione urbana può impattare sulle città. Vive a Berlino e lavora principalmente in Germania, Italia e Spa-gna.
Come spesso dichiari, la tua ricerca si sviluppa in particolare sul rapporto tra patrimonio architettonico e la storia delle città. Da dove nasce questa attitudine piuttosto intensa, visto che hai anche una pagina sul tuo sito dedicata all’heritage?
«Questa attitudine nasce da alcune scelte mi hanno portato a concentrarmi sull’architettura antica durante il mio percorso di studi (la Facoltà di Storia e Conservazione dei Beni architettonici ed ambientali a Venezia e Architettura per la Conservazione, ndr). Successivamente, nella mia breve carriera da architetto, ho lavorato per un esperto in restauro di monumenti architettonici, e con lui la specializzazione si fece ancora più marcata; da qui ho deciso di passare alla fotografia. Credo la capacità di analisi dell’esistente accomuni le discipline di restauro e della fotografia di architettura.»
Parli inoltre di una lettura di tale relazione da un punto di vista sociale, ovvero come noi contemporanei interpretiamo e valorizziamo l’antico. Spiegaci.
«Sono profondamente convinto che l’ambiente (architettonico, paesaggistico, urbano) influenzi i nostri stati d’animo, cosi come il contrario: ovvero che la società incida l’ambiente circonstante e ne modifichi immaginario, prima che l’aspetto. In questa dinamica circolare, un edificio antico è portatore di una certa identità: come interpretiamo noi, oggi questa eredità? Molti dei miei progetti si concentrano su queste relazioni vive tra storia, architettura e identità.»
Un progetto particolarmente intrigante sul concetto di monumento è Fans of a fake history, sviluppato tra Berlino e Potsdam. Ce ne parli?
«Ero mosso dalla curiosità per un noto edificio che si stava costruendo in centro a Berlino: il Berliner Schloss, l’antico Palazzo dei Re di Prussia. Il manufatto antico venne danneggiato dai bombardamenti del 1945 e successivamente eliminato dal governo della DDR. Al suo posto fu previsto un nuovo edificio razionalista, il Palast der Republik, il centro del potere di partito e della una nazione in quella fase storica. Qualche anno dopo la caduta del Muro, questo edificio venne demolito lasciando un vuoto per alcuni anni. Stava nel frattempo definendosi una certa tendenza a voler tornare alla Berlino del periodo comunista, e ricostruire un palazzo pseudo-storico com’era, dov’era. Il nuovo/vecchio edificio sorse nel 2020, le facciate e la cupola rimasero uguali, mentre i sistemi costruttivi e gli interni eseguiti con tecniche contemporanei. Con la decisione di ritornare all’aspetto urbano di inizio ‘900 si stava di fatto scegliendo con quale storia identificarsi. Sembra sia quindi politicamente conveniente non considerare i fatti del Novecento e tornare all’aspetto urbano precedente. Proseguendo nella mia ricerca, ho notato questo approccio alla demolizione di parti di città del XX secolo ripetersi nella stessa Berlino e a Potsdam.»
Anche in Transforming Venice dedichi attenzione all’evoluzione di una della città tra le più delicate e complesse del mondo dal punto di vista patrimoniale, e del consumo dello stesso. Credi sia possibile un equilibrio tra la storia materica delle città e i comportamenti contemporanei di turismo estrattivo?
«Transforming Venice è stato un tentativo di approfondire la conoscenza di una città in cui ho vissuto e che continuo a frequentare. Mi risulta difficile un lavoro su Venezia, non facile da cogliere con occhio originale. Vuole essere una ricerca di taglio documentaristico, per indagare la parte contemporanea della città e non solo quella da cartolina; per ora è in fase “preliminare”, ma ho intenzione di proseguire. Rispetto all’aspetto produttivo e non solo turisticizzato di Venezia, dalla mia esperienza come architetto restauratore, ho capito che gli edifici antichi possono essere portatori di identità e al contempo avere un ruolo produttivo contemporaneo; si tratta quindi di una decisione politica.»
What’s wrong with my villa è un interessante riflessione su quanto alcuni stilemi e archetipi architettonici delle ville palladiane, siano in qualche modo interpretate come una zona di confort, simbolo protettivo di benessere. Cosa racconta di noi questo progetto?
«What’s Wrong with my Villa può sembrare un progetto semplice, una serie di viste frontali di edifici con qualche colonna e timpano. Se invece lo si accosta ad una foto di uno dei più grandi edifici della storia, La Rotonda del Palladio, si capisce che qualcosa non funziona. Durante un lavoro su alcuni edifici residenziali in provincia di Vicenza, dove sono nato, ho notato come alcuni elementi architettonici si ripetessero: facciate simmetriche con colonne che sorreggevano pseudo-timpani aggettanti, tutte inspirate a ciò che nella zona è il riferimento: Villa Capra, La Rotonda di Palladio. La serie documenta una sorta di desiderio di appropriazione di uno dei paradigmi architettonici del territorio, come voler trasferire valore ad un edificio semplice: un monumento antico diventa veicolo di un valore identitario per una società contemporanea. Il risultato pero è un accrocco di colonne e timpani sgraziati che non solo fraintendono la Villa Rotonda, ma che denotano una certa ignoranza da parte di chi lo sceglie.»
Da tempo vivi a Berlino, una città il cui patrimonio architettonico è un libro visivo della storia del Novecento. Raccontaci di Berlino Oscura.
«Sono capitato a Berlino in vari momenti della mia vita, e ho imparato a conoscerla bene. È una città in costante mutazione che ha un rapporto con la storia è diverso dall’Italia. L’occasione per sviluppare Berlino Oscura è stata la crisi energetica del 2022 a seguito della guerra russo-ucraina, quando, per economizzare, il Comune ha deciso di spegnere l’illuminazione urbana di numerosi monumenti, che si ritrovarono cosi immersi in un buio antico, quello dell’epoca della loro costruzione. Un episodio della storia contemporanea che quindi ha riportato parti di città indietro nel tempo, almeno di notte. Ovviamente si trattava di una misura simbolica, il risparmio era minimo, ma i monumenti servono appunto come simboli (il nuovo Berliner Schloss non venne “spento”, rimase ben illuminato. Forse non si è meritato ancora lo status di monumento).»
https://ssscenario.com/luca-girardini/