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Viaggi straordinari: l’umanità di Jimmy Nelson è in mostra a Milano
Fotografia
Un giovane guerriero Masai, cacciatori di aquile khazaki, una stupenda principessa Himba, due bellissimi nomadi Wodaabe sono tra i protagonisti della nuova personale milanese di Jimmy Nelson (Sevenoaks, 1967). Organizzata da Skira e Palazzo Reale, curata da Federica Crivellaro e Nicolas Ballario, in collaborazione con la Jimmy Nelson Foundation, la mostra Jimmy Nelson: Humanity racconta attraverso 65 fotografie di grande formato (alcune di 2×3 metri) gli usi e i costumi di diverse tribù indigene di alcune delle regioni più remote ed ostili del mondo. Fino al 21 gennaio 2024.
Nelson ha viaggiato per tutta la vita affascinato dalla cultura e dall’estetica delle popolazioni autoctone dei posti visitati. Di fronte all’avanzamento tecnologico la diversità mantenuta per secoli, se non millenni, di queste popolazioni è sempre più a rischio di scomparsa, a causa anche dell’incessante processo di globalizzazione. Lo vediamo in una delle prime foto che troviamo lungo il percorso espositivo in cui un gruppo di Dani della Papua Occidentale si muove verso l’obiettivo del nostro fotografo in marcia trionfale. Alcuni di loro indossando le tradizionali vesti cerimoniali corredate da occhiali da sole retrò, e uno addirittura con un diploma incorniciato al braccio destro a mo’ di scudo da parata, come scrive lo stesso Nelson, «incarnano perfettamente l’influenza dinamica della globalizzazione e della cultura popolare sulla loro identità in continua evoluzione». Dopo aver a lungo utilizzato macchine analogiche, l’artista inizia a scattare con un banco ottico di grande formato (10×8) in titanio – per poterlo trasportare facilmente durante le trasferte – che gli garantisce una qualità e una risoluzione eccezionali. Oltre a questo straordinario strumento, sono esposte in mostra anche alcune fotografie 10×8, mostrate per la prima volta al pubblico proprio in questa occasione. Durante i suoi lunghi soggiorni, Jimmy Nelson stabilisce un legame profondo con alcuni dei soggetti che andrà a ritrarre.
«Costruire un rapporto di fiducia con le comunità indigene è un’esperienza graduale, che richiede pazienza, rispetto e una profonda comprensione delle dinamiche culturali in gioco. Tutto ciò è essenziale per il successo del mio lavoro», spiega l’artista, aggiungendo poi, «utilizzo esclusivamente luce ambientale, indiretta e sfumata, che crea un’atmosfera in cui le emozioni possono dispiegarsi naturalmente». Questo accade nel ritratto di Quapik, la protagonista di uno degli scatti più toccanti della mostra. Mentre sorride al fotografo, sul volto della donna Inuit compare una ragnatela scolpita dal freddo e dal tempo nel corso dei 99 inverni passati ad Artic Bay, Canada, dove il suo popolo si è insediato più di 3000 anni fa. I ritratti sono una costante nella sua produzione artistica. Guardandoli si può notare come in molti di essi, Jimmy Nelson evidenzi la forza delle donne. Meruert, la ragazza kazaka, è un simbolo dell’emancipazione femminile, testimoniando come anche nei riti tradizionalmente maschili, ad esempio la caccia con l’aquila, le donne stiano rompendo le barriere di genere.
Proviamo a pensare alle 65 grandi fotografie in mostra come a delle finestre aperte sul mondo, finestre che, sottolinea Federica Crivellaro, consentono allo spettatore di immergersi «in una cultura diversa in modo prudente e rispettoso». Se Steve Mc Curry si concentra sulle conseguenze della condizione umana, Jimmy Nelson ne ricerca l’origine, quel fuoco, quel bosco che la maggior parte degli uomini ormai può solo raccontare. Siberia, Papua, Etiopia, Tibet, attraverso i suoi scatti Nelson ci conduce in un viaggio straordinario alla scoperta di alcuni degli angoli più remoti della Terra, offrendoci uno sguardo ravvicinato sulle tradizioni e le usanze di questi popoli ancestrali, antichi custodi di un mondo e un modo di viverlo da tempo dimenticato da chi legge e chi ha scritto queste righe. Inaugurata a Palazzo Reale lo scorso 20 settembre, la mostra Jimmy Nelson: Humanity sarà aperta al pubblico fino a fine gennaio.
La vita non ha un significato specifico, ma possiamo creare quel significato attraverso le nostre azioni.