18 dicembre 2014

Facebook al nero

 
Fiumi di sangue riempiono le cronache italiane, ma prima ancora che alla polizia (figurarsi alla famiglia) ci si costituisce su Facebook. Potere dei social media, palcoscenico della vita. Quando è finita

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Alcuni di quelli che l’avevano annunciato, ce l’hanno fatta. Per esempio Gabriela Hernández Guerra, 22 anni, spagnola. Nel 2013 aveva scritto un post di addio rivolto al fidanzato su facebook. Poi si era suicidata. Insieme alla commozione era nato anche un gruppo di scherno “Me mato como Gabriela”, vera e propria presa per i fondelli nei confronti di un gesto talmente assurdo da risultare ridicolo. Lo scorso febbraio una 14enne di Padova a sua volta ha scritto in bacheca che si sarebbe ammazzata. Missione compiuta. Gabriele Paolini, ex disturbatore televisivo ai domiciliari per l’accusa di pedofilia, pochi giorni fa non solo ha postato l’intenzione di suicidarsi, ma addirittura ha allegato un video in cui ingeriva i barbiturici. Salvato. Potere, forse, dei propri follower, che hanno informato le forze dell’ordine in tempo. Ma non tutti hanno seguaci nel palcoscenico della vita, e così qualcuno ci rimette le penne per davvero. Forse, la speranza di chi annuncia un gesto disperato (e come in passato, questo per certo, maturato in silenzio) ad una pubblica platea, è voglia di essere salvati dall’ultima richiesta d’amore. Quell’amore profondo che ogni essere umano cerca, e che nella Body Art di Gina Pane si metaforizzava nella sua assenza con le spine e le ferite.
Ma c’è anche un’altra storia: oltre ai suicidi, gli omicidi. Al grido di “Sei morta troia”, il signor Pagnani di Salerno, 34 anni, ha annunciato – anche lui giorni fa – l’omicidio della ex moglie, supportato da centinaia di like. Poi l’ha ammazzata sul serio. Altro caso di un social network che se ha sempre rasentato un animo subdolo in questi casi è a dir poco inquietante, è quello della madre (in Galles) che scopre dalle pagine degli amici di un nipote, la morte della figlia prima ancora di essere avvisata dalla polizia. Il padre del piccolo Loris che apprende che il figlio è morto non dai parenti e neanche dalla tv, ma da facebook, perché qualcuno ce l’aveva postato. La zia, che sempre su fb, grida: “costituitevi”.
Un confessionale? Un vomitorium contemporaneo? Ne hanno parlato e scritto sociologi e psicologi, ma i fatti superano spesso la fantasia e se il povero Jean Baudrillard si chiedeva se la televisione avesse ucciso la realtà, con facebook abbiamo avuto la risposta definitiva, soprattutto di questi tempi dove l’Italia sembra essere pervasa da una scia di sangue infinita. 
Facebook è il dispositivo, nel senso che dispone in tutto e per tutto, della nostra vita. Ne organizza la vita, la morte e le tragedie. Si è bypassata da un pezzo l’epoca dei buongiorni o delle buonanotti collettive a tutta la propria schiera di seguaci, si utilizza il canale di Zuckerberg come la pagina di una carta di identità che però deve mostrare il vero io, il superio e anche l’incontrollabile Es. Ci si mette nudi e come in un raptus si avvampa di fronte ai like, i nuovi supremi giudici di un’azione o del diritto, o meno, di disporre della fine della propria esistenza. La cronaca non è mai stata così nera, e così ripetitiva. E le vite degli altri non sono mai state così brevi, e così poco interessanti. 

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