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Finalmente è fatta. Si conclude nel museo più spettacolare che ci sia al mondo, il Guggenheim di Bilbao, (in attesa che veda la luce il Guggenheim ancora più spettacolare, quello di Abu Dhabi) il tour che nel 2014 ha portato il super spettacolare Jeff Koons e la sua “A Retrospective” prima al Withney di New York e poi al Pompidou di Parigi. E siamo tutti più sereni.
Forse per un po’ vedremo meno cuori giganti appesi, simpatici Baloons, aspirapolveri luccicanti, Hulk e Ciccioline, Puppies e Banalaties di vario tipo. Anche se ci penseranno le aste e le fiere a supplire all’eventuale assenza di mostre. E anzi, fino a qui, passi. Quel che rimane indigesto di Jeff Koons è l’osanna critico che gli viene tributato da diversi addetti ai lavori. Che si sbracciano per spiegarci che la sua arte lavora per il cambiamento sociale, che ci induce a ridefinire la nostra identità, che rompe i tabu. Primo fra tutti quello dell’aura artistica, rivolta come è, la sua arte, al largo pubblico, alla capacità che ha Koons, rielaborando Surrealismo, Pop e Dada, di piacere a tutti.
Boh. Sarò poco incline al cambiamento sociale, ma a me per esempio piace poco.

















