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Secondo qualcuno è l’ultimo dei fotografi, per quel senso del classico che comunica con le sue immagini, anche quando queste raccontano gli ultimi della terra, il girone infernale delle miniere nella Serra Pelada in Brasile dove il suo bianco e nero si tinge di una cupezza radicale, senza perdere però fascino.
Dopo averci fatto vedere la fatica di donne e uomini che lavorano nei vari Sud del mondo, con lo sguardo focalizzato sulla persona ma senza tralasciare l’ambiente, da un po’ di tempo Sebastião Salgado è tornato a fotografare la natura incontaminata, quella che esiste al di là della modernizzazione e che possiede una potenza visiva assoluta, come nell’immagine Antarctica (2005) che vedete qui. E ora Salgado, nonostante il pessimismo che esprime verso la fotografia sempre più digitalizzata, attraversa l’ennesimo momento d’oro. Presente con una mostra in corso alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (“Profumo di Sogno. Viaggio nel mondo del caffé” fino al 27 settembre), prossimo a tornare con la sua “Genesi” al Forte di Bard in Val d’Aosta (23 maggio-30 settembre) e da domani anche nella capitale britannica con Photo London (21-24 maggio).














