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Metti un hotel a Los Angeles e un fotografo straniero che vi soggiorna. E metti soprattutto strani vicini, gente che passa di lì, ma vestita come Minnie, Superman, Popeye, Marylin e altre star del cinema hollywodiano. Che fa il fotografo? Li fotografa, ovviamente. E loro? Accettano di buon grado. Anzi, se per caso uno non ha la maschera in quel momento, ferma tutto, dicendo che la cosa non sarebbe professionale, la va a prendere e torna. Pronto per il clic.
Il fotografo si chiama Ken Hermann, è danese e afferma che quello che gli interessa di più è «vedere quanto emerge della persona dietro la maschera». Sarà. Ma più che loro stessi, emerge il simulacro che esprimono. Perché, consapevolmente o meno, sono una delle più riuscite incarnazioni della società dello spettacolo. Creature post-moderne che hanno scelto di essere “copia di ..”. Soggetti seriali e replicanti. Per conquistarsi quei 15 minuti di celebrità che, secondo, Warhol, non sarebbero stati negati a nessuno. E annullare definitivamente ogni idea di aura e di originale. Ben prima che ci arrivasse Salvatore Settis con i suoi portable classics.
















