19 gennaio 2014

La lavagna Chi non si sporca le scarpe, non cammina

 
Chi non si sporca le scarpe, non cammina

Note a margine della campagna contro lo sfruttamento giovane e creativo “CoglioneNO”. Davvero siamo sicuri che sia tutta colpa dei “datori” di un lavoro non retribuito? O il problema è talmente a monte che quasi non si riesce a vedere? [di Matteo Bergamini]

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Tempo fa Stefano Dolce (lo stilista, insieme a Gabbana) partecipava a un talk televisivo. Si parlava di giovani, manodopera, sogni. Quelle cose che fanno sempre tanto audience. Ad una domanda di Victoria Cabello (ex compagna di Maurizio Cattelan) rispose stizzito qualcosa come: «Tesoro, io ho iniziato raccogliendo gli spilli!». Forse si parlava di umiltà, o della mancanza di questo tratto di carattere “nei giovani d’oggi”. Fatto sta che ancora questa frase perentoria e che identificava un “prima di diventare qualcuno devi farti il c…” ancora mi resta in testa. Non solo perché mi trova d’accordo con uno dei più tamarri e berlusconiani imprenditori italiani, ma perché più volte mi è capitato di doverci riflettere. 
Stavolta lo spunto per tornare sulla questione è dato da quei tre “cortissimi” che impazzano in questi giorni sui social network, che recano l’hashtag “CoglioneNO” e che prendono in esame i casi di tre giovani (antennista, idraulico, giardiniere) alle prese con un imprenditore, un creativo e un semplice burino arricchito che dopo le prestazioni professionali rispondono: «Per questo progetto non c’è budget ma tu, avendo lavorato gratis con me, hai avuto un’ottima possibilità. Fa curriculum. Mettilo nelle referenze. E le referenze poi te le metti nel c…!».
Sì, il turpiloquio è piuttosto gratuito, come lo è tra i “giovani”. Che lamentano di non essere pagati, di non potersi realizzare, di non vedere riconosciuta la propria professionalità acquisita prima con la laurea e poi con stage, seminari, workshop, praticantati, tirocini e segretariato.
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I tempi sono cupi, e sappiamo che il lavoro gratuito è sempre lavoro, anche se non è considerato tale, perché il lavoro gratuito è “hobby”. E vaglielo a spiegare (a chiunque) che uno sgobba senza farsi retribuire perché ne va del suo futuro. 
Eppure c’è qualcosa, in tutta questa situazione, che viene manipolata attraverso un misunderstanding continuo. 
C’è qualcosa, nel ruolo dei giovani e dei creativi, che tradisce un appeal continuamente improntato al vittimismo. Quasi si dessero per scontate le regole di un gioco al ribasso che certamente fa male, ma che essendo endemico non provoca nemmeno il moto dirompente di una rabbia costruttiva. 
È un po’ come se il senso di annichilimento, spaesamento, svuotamento avessero preso il posto della materia giovane, e creativa, e che quest’ultima si sia ridotta a un cumulo di omologazione. Un po’, insomma, come se si volesse essere trattati tutti alla pari, artisti come idraulici. 
In un mondo perfetto e utopico forse, ma all’oggi le cose non stanno così? Perché?
Prendiamo il problema da un altro punto di vista: alla fine dei piccoli spot i claim: “Lo diresti al tuo idraulico?” [che non c’è budget, ma questo progetto offre grande visibilità]. No, non lo diremmo. Ma il nostro idraulico a noi, invece, forse direbbe che fare Exibart o “storie simili” è una perdita di tempo. Non ci credete?
Non so da quale parte siate nati voi giovani, nella sterminata provincia italiana. Ma dove è nato il sottoscritto 30 anni fa (ancora “giovane”, quindi) l’idea di occuparsi di “Arte” (qualcosa che si mangia?) è a dir poco inconcepibile anche per gli stessi coscritti, figuriamoci per i loro genitori. L’arte è un aspetto mitico di un mondo così lontano da essere irreale; tutt’al più lo si vede in tv. E certe “passioni”, poi, vanno bene fino ad una certa età, diciamo fino ad una laurea quinquennale. Poi, dopo la festa della tesi, devi mettere la testa a posto. E basta con questa roba! 
Chi ha ragione? I creativi, o i cretini? Talvolta credo i secondi, perché in un Paese in cui l’arte è “certa roba”, sono la classe vincente e ovviamente dominante. E non c’è governo che tenga, né lo spauracchio di qualunque crisi. Perché anche gli altri Paesi europei sono in crisi, eppure l’arte e la creatività vengono vissute in maniera più “civile”, almeno, anche se non retribuita.
Ma se il modello vincente sono i giovani che si intascano 2mila euro al mese facendo i baby-operai nel Triveneto, le baby escort che battono per pagarsi la borsetta, i protagonisti di Jersey Shore (avete presente quell’educativo programma di Mtv?) dove credete di andare?
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Incalzo: perché il creativo deve sempre avere la faccia da pesce lesso o da hipster, come in uno dei video di “CoglioneNO”, ed essere aggrappato al cellulare e ai social network e parlare con forte accento milanese, così come il burino sembra solo appartenere alle zone all’ombra del Colosseo? Luoghi comuni direte voi, identificanti. Luoghi che restano impigliati anche nelle produzioni che dovrebbero aiutare a scardinare certi meccanismi. E invece paiono rafforzarli, perché alla fine dei conti ci si fa una risatina (amara, ma mal comune mezzo gaudio, no?) e perché si legge: “Nessuno è stato pagato per la realizzazione per questo spot”. Ah beh, allora…
Allora, che fare? Se lo sapessimo avremmo risolto i problemi, non solo italioti. Ma quel che ancora una volta sarebbe utile sottolineare è che andrebbe costruito un rispetto a monte. Molto, molto a monte. In culla. E a scuola. Ma la scuola si è tagliata in ogni sua parte e non sarà facile riprenderne le redini. In una recente puntata della trasmissione “Lucignolo”, un’inchiesta voleva svelare l’ignoranza dei professori. Su una dozzina di casi solo un paio hanno obiettato ad una domanda  a trabocchetto relativa all’ “Urlo di Van Gogh”. Scandalizzati? Una professoressa risponde: «La classe docente non può che essere specchio di questo Paese allo sfascio, così come lo sono i giovani». Touché. 
Parliamo dei nostri amici idraulici. Magari a loro la manodopera viene retribuita, perché si tratta di cessi otturati e non di concetti, ma con quale fatica? Provate a chiedere a un professionista quanti “sospesi” aleggiano nelle sue fatture. Non ci crederete. 
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Il gatto si morde la coda, e per ognuno è importante la propria visione. Fin qui non ci piove. Per frenare invece l’alluvione che persevera e affonda migliaia di “CoglioniSI” da anni e anni e anni, bisogna ancora una volta tornare a monte e deviare il corso di un fiume che si è voluto far straripare.  
E non è stata tutta colpa di Berlusconi, ma bisogna tornare indietro altri trent’anni almeno, quando l’Italia si è fermata al suo “boom” e gli altri Paesi europei e del mondo sono andati avanti. Con welfare, diritti civili, assistenzialismo e chi più ne ha più ne metta. Noi, a quanto pare, abbiamo continuato ad esplodere ben bene, in senso metaforico e non.
Lo sapeva bene Pasolini che elencava le perdite “morali” di una società; oggi quel qualcosa ovviamente non si trova. Perché serve quello spirito d’appartenenza, dialogo, sacrificio, risolutezza, capacità di vedere oltre l’orizzonte e immaginazione che sembrano ora restare solamente ottimi aggettivi per pubblicizzare il “Made in Italy” dell’auto e quel sogno di un’imprenditoria mai realizzato.
Così come quella “cultura” di cui ci si riempie la bocca, specialmente se si parla dei Beni della magica e mitica Italia delle meraviglie. Il Paese che ancora non ha cestinato i suoi peggiori idoli continua a vivere un rapporto masochistico con la propria storia e il proprio presente. Perché risalire il monte -una volta che si è scesi- è una palla, e allora va bene così! E allora coglioni si! 
Ora qualche domanda.
Giusto dire i 500 no al MiBACT da parte dell’Associazione Nazionale Archeologi, in corteo pochi giorni fa a Roma, per far tutelare le professionalità acquisite di chi lavora nel settore da anni (con i soliti problemi), ma è giusto che un giovane con tutta l’inesperienza del caso vada in piazza a protestare contro un compenso di 500 euro al mese senza prima mettersi a sedere alla scrivania e sudare? Attenzione: se siete figli di nessuno spesso la visibilità arriva col lavoro, non siete alla vecchia scuola di “Non è la Rai”, nonostante se ne perseveri il modello.
È davvero così improponibile ai giovani offrire opportunità di crescita, quando sono reali, a fronte di pagamenti irrisori o gratuità? In fin dei conti deve (e non dovrebbe!) trattarsi di periodi limitati. L’altro problema sociale, non secondario, è che questa modalità “professionale” a lungo termine crea invece nel lavoratore non pagato qualcosa che ha a che fare con la frustrazione e l’odio verso un intero sistema. Che è cieco e a catena di montaggio, come tutto quello che produce “capitale” di qualsiasi genere esso sia, a meno che non si infili una chiave inglese tra gli ingranaggi della macchina, per fermarne il lavoro e attirare l’attenzione, per esempio. Ma il più delle volte l’operaio esegue, maledicendo vita e padroni, perché “ha da campà” come insegna il mondo di oggi: con lo stile imposto per ogni classe sociale, come scriveva Pasolini. Ma questo non lo insegnano a scuola, e nemmeno al bureau di collocamento. Ma si può comunque imparare.
E se volete vedere i video: http://zerovideo.net/

3 Commenti

  1. Non sono d’accordo. Se progetti e realizzi opere d’arte per te puoi fare le scelte che vuoi, non essere retribuito, tenerle in cantina, bruciarle nel caminetto. Se chiami un artista, un creativo, uno scrittore o chiunque faccia un lavoro di “concetto” allora lo devi pagare come pagheresti idraulico, giardiniere o imbianchino. Se chiami un professionista sai che farà il lavoro che vuoi come vuoi (Michelangelo aveva committenti a cui rispondere e veniva pagato! E credo non ci sia dubbio sulla sua grandezza di artista). Altra cosa sono i professionisti che accettano di non essere pagati, o peggio di essere sottopagati, questo squalifica il lavoro e lo fa sembrare inutile, facile, e soprattutto accessibile a tutti (committenti). E non è così. Chi fa arte, qualunque forma, a meno che sia un ciarlatano, normalmente ci mette tempo, studio, ricerca, dedizione, sacrificio, abilità… accettare di non essere pagati è semplicemente accettare di non essere all’altezza.

  2. Pessima analisi!
    Se viene commissionato un lavoro -creativo- alla fine deve essere pagato. invece di solito ci si rivolge ad uno giovane che può essere “fregato” più facilmente. Nessuno direbbe ad una grande agenzia di comunicazione che il lavoro fatto non può essere pagato con le scuse più fantasiose. Il rischio sarebbe ovviamente essere travolti da una causa in tribunale più costosa del lavoro che va pagato. Ma con uno giovane si può rischiare … tanto “quello” non li ha i soldi per andare dall’avvocato!

  3. Qualcuno ha scritto che i creativi vanno sfruttati e non pagati? La questione è, piuttosto, la causa che ha portato a questa situazione, il dileggio e l’indifferenza continua che c’è intorno al lavoro creativo: perché? La classe “creativa” è completamente da assolvere o ha qualche responsabilità?

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