18 dicembre 2012

L’Italia non s’è desta!

 
L'Italia non s'è desta!
di Ludovico Pratesi

di

Chi ama l’Italia, alzi la mano! C’è ancora un italiano che ama il suo Paese? Al di là dei campionati di calcio, forse no. Certo, a parole la amiamo tutti, questa disgraziata penisola considerata per secoli la terra più bella del Mediterraneo, cantata da Goethe e Stendhal come un paradiso di arte e cultura. Ma quando si tratta di agire per migliorare la sconcertante decadenza che ci ha colpito negli ultimi tre decenni, spariscono tutti come per incanto, timorosi di perdere quanto hanno guadagnato nell’adattarsi, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, ad una situazione squalificante sotto tutti, e dico tutti, i punti di vista.

Ci vuole Angela Merkel per metterci in guardia dagli incalcolabili rischi del ritorno di Berlusconi? Non siamo capaci di vederlo da soli? O meglio, lo vediamo benissimo, ma non siamo più in grado di alzare la testa per ribellarci? Incapaci di capire che la nostra ridicola esterofilia non è una forza, ma una evidente debolezza, un patetico e facile alibi per mascherare la paura e l’ incapacità di credere in noi stessi, invece di puntare sul primo straniero che passa per affidargli posti di responsabilità in tanti settori, dall’economia alla cultura, fino all’arte?

Dopo dieci anni nel 2013 il direttore della Biennale di Venezia è di nuovo un italiano, ad occupare un posto che per più di un secolo era giustamente riservato ai migliori critici d’arte del nostro Paese, che non hanno mai fatto perdere nemmeno una briciola del prestigio internazionale di cui gode la secolare istituzione, fondata nel 1896 da un’Italia unita da appena 26 anni, ma già perfettamente in grado di farsi rispettare dalla comunità internazionale per il coraggio delle sue idee. Abbiamo smesso di investire sul nostro cinema, che dal 1958 al 1970 aveva vinto praticamente tutti i più importanti premi del mondo, da Los Angeles a Cannes a Venezia, e ora produciamo pellicole che rappresentano un Paese triste e depresso, pronto a rappresentarsi come un patetico circo di nani, comici, calciatori e escort, pronto a tutto pur di non smettere di ridere delle proprie sventure.

Non parliamo degli artisti delle ultime generazioni, costretti ad emigrare per trovare istituzioni disposti a valorizzarne il talento, mentre noi continuiamo a riempire i  nostri spazi espositivi di mostre costruite a tavolino da cinici manager che barattano semplici trasferimenti di opere da un museo ad un altro in parate di “imperdibili capolavori”? Dove sono finiti gli eredi di Palma Bucarelli e Giovanni Carandente?  Gli imprenditori visionari della statura intellettuale di Adriano Olivetti? E i successori di Calvino, Moravia e Sciascia? Chi racconta la poesia delle nostre città con l’ironia di Fellini, la dimensione morale di Pasolini, la poesia di De Sica? Perché le nostre piazze, dove per secoli si è costruita una cultura politica ammirata in tutto il mondo, oggi sono vuote? È solo colpa dei social network o della disperazione di un Paese che ha distrutto la sua identità, e quindi sta per firmare il proprio testamento? Abbiamo un inno nazionale che parla di un’Italia che si è destata, rimettendosi in testa l’elmo di Scipio. Ma di quali teste stiamo parlando? Forse di quelle degli italiani di oggi, piegate da compromessi e stratagemmi per chiudere gli occhi davanti ad un degrado civile e culturale da spaventare i media di tutto il mondo, terrorizzare i nostri partners europei mentre noi assistiamo impotenti alla distruzione quotidiana di un Paese che sembra il figlio ebete e depresso dell’Italia raccontata in maniera lucida e appassionata da Sandra Petrignani nel suo illuminante e documentato romanzo Addio a Roma.

Non più coraggiosi e autentici, sognatori e visionari, ma cinici e sterili, paurosi e vigliacchi, volgari e finti. Non tutti, certo. Ma quelli più visibili, i volti del teleschermo, fantocci di una scena di cartapesta e lustrini, mummie di un passato recente di cui uno stato sano si vergognerebbe, mentre continua ad esibirlo come l’unico possibile. Ci consumiamo in piccole faide personali, abbiamo sviluppato fino al parossismo la dietrologia, la maldicenza, il pessimismo, la calunnia per nutrire piccoli ego provinciali e depressi, che sembrano risvegliarsi solo per gioire delle disgrazie altrui. Incapaci di costruire una patria (mi permetto di utilizzare una parola passata di moda, ma è l’unica calzante in questo contesto) migliore con passione ed entusiasmo, perché vorrebbe dire accettare i propri limiti personali e superarli tutti insieme per un fine comune, alto e splendente.

Al contrario, misuriamo ogni esistenza con il misero metro del denaro, che ci ha trasformati in un esercito di consumatori da terzo mondo, diventati ricchi troppo presto e in maniera inconsapevole. È vero che abbiamo toccato il fondo e siamo pronti per risalire, oppure il baratro che ci si spalancherà davanti nei prossimi mesi sarà così profondo da seppellirci per sempre, da Leonardo da Vinci e Nicolò Machiavelli in poi. Un elenco infinito di persone che hanno amato l’Italia facendo il possibile per migliorarla, anche a prezzo di perdere la vita.

E noi possiamo ancora permetterci di stare a guardare?

4 Commenti

  1. Egragio Sign.re Ludovico Pratesi,
    condivido appieno il suo articolo ma vorrei rassicurarla che non tutti hanno perso la speranza. Ci sono pittori, come me, che amano ancora l’Italia, tanto da produrre opere che ne denunciano i traditori, nonostante le continue porte in faccia di galleristi e curatori. Troppo occupati a lusingare fino all’indecenza banche e interesse politici. Sono comunque arrabbiata anche con le persone, i cervelli, che lasciano l’Italia. Lasciano invece di “combattere” per migliorare la situazione. Io insieme ad altri non ce ne andiamo, rimaniamo e troveremo il modo per migliorare questo paese perchè torni il luogo dell’arte e della cultura per eccellenza.

  2. PRATESI PREDICA BENE MA COME RAZZOLA?
    Caro Ludovico Pratesi, ci dice cose che sappiamo tutti, ormai il degrado culturale del nostro paese è un’evidenza. Io ho dedicato tutta la vita a una ricerca su più fronti senza risparmiarmi. Dopo trent’anni di studi, di testimonianza sul campo, è uscito un mio libro per l’editore Marietti: Figura Solare, un rinnovamnento radicale dell’arte, inizio di un’epoca dell’essere. Che traccia un nuovo percorso per l’arte visiva e per la cultura estetica, un libro scritto in dieci anni, che unisce l’esito del lavoro di diversi artisti negli ultimi trent’anni e di istanze teoriche di rinnovmento. Libro prefato da un docente universitario di estetica, e di cui è uscita una anticipazione su una rivista interna al dipartimeto di Filosofia dell’Università degli studi di Milano. E’ stato inviato in 200 copie a tutti gli addertii ai lavori nell’ambito artistico (sia estetico-filosofico sia del mondo dell’arte tra critici giornalisti ecc.)Un copia è stata inviata anche a lei, che però come quasi l’intera totalità dei destinatari lo ha ignorato. Non credo per altro che questo sia un destino diverso di quasi tutti i libri. Forse siete occupati in altro, ma non certo impegnati in un dibattito culturale, democratico e autentico, l’unica cosa che potrebbe risollevarci. Poi ci si stupisce che chi ha qualcosa da dire lasci l’italia! Forse più che puntare il dito, non è il caso di cambiare concretamente atteggiamento? Con auguri di miglioramento. Nicola Vitale

  3. Caro Pratesi,
    questa bella favola che lei ci racconta la sappiamo già, nulla di nuovo, nulla di sconvolgente….

    In questo ultimo periodo leggendo il suo lavoro, tra, blog, book, ect ect…

    Tutto d’incanto chi vuole essere il Dash Snow buono della situazione?

    Passare dai vernissage della Roma borghese,
    di finti saluti, e bla bla bla,
    alla sua bella favola è troppo facile….

    saluti
    Veronica

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