22 marzo 2013

Ma l’arte è interessante o necessaria?

 
Ma l’arte è interessante o necessaria?
di Ludovico Pratesi
Come sarà il Palazzo Enciclopedico di Massimiliano Gioni, una vera Biennale o una passeggiata nella Biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges?

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Grande disordine sotto il cielo. A febbraio un pontefice, simbolo dell’imperturbabile permanenza della massima carica nella chiesa cattolica, si dimette con un gesto che il mondo non aveva più visto da seicento anni. Primo terremoto, ma soprattutto ineludibile segnale: non guardate indietro, perché il passato non è più un porto nel quale rifugiarsi quando il presente appare incerto. Pochi giorni dopo, le piazze italiane traboccano di gente che applaude Beppe Grillo, che promette di portare, per la prima volta dal dopoguerra, “persone comuni in Parlamento”. Un proposito forte, liquidato con epiteti poco simpatici rivolti dai principali leader dei partiti tradizionali verso l’ex comico genovese, bollato come “un guitto”. Bene, all’indomani delle elezioni il “guitto” diventa il terzo partito nazionale, sottraendo milioni di voti a PD e PDL, come peraltro ampiamente previsto dai commentatori stranieri. Un attimo dopo, in pieno caos postelettorale, un conclave lampo porta sul trono di Pietro un “papa nero” (come preannunciavano le profezie di Nostradamus e Malachia, per chi ci crede): l’argentino Josè Mario Bergoglio, un gesuita (da secoli rivali dei pontefici ufficiali, e per questo detti papi neri) che sceglie il nome Francesco: forse per Francesco d’Assisi, ma più probabilmente per Francesco Saverio, compagno di Sant’Ignazio di Loyola. Altro bagno di folla, che lo riconosce come il nuovo Giovanni XXIII°. 
Padiglione Biennale, Venezia.
Uno scenario incandescente, che appare diviso tra chi rivolge ancora lo sguardo indietro perché non vuole, o non può, compiere gesti di rottura con il passato per guardare con serenità e fiducia il presente, senza timore di perdere i propri privilegi, e chi invece ha afferrato saldamente la barra del timone per affrontare a denti stretti le onde della tempesta, nella certezza che la forza di resistere alle ondate più cattive permetterà alla nave di arrivare sana e salva in un porto sicuro. 
In tutto questo, la presentazione della 55esima Biennale di Venezia ha la portata di un malinconico incontro tra studiosi di antropologia del secolo scorso, convinti che il ritrovamento di un disegno realizzato da uno sciamano di una tribù della Polinesia possa offrire una lettura interessante ma soprattutto attuale, anzi molto attuale, del nostro presente, secondo la parola chiave del nuovo gergo dei curatori under 40: “interessante”. Così, dopo Jean Clair e Jean Hubert Martin, il nostro stimatissimo Massimiliano Gioni, capofila della new wave dei curators che lavorano tra Gwangju e San Paolo, Tirana e Liverpool, ci racconta il suo avveniristico progetto: una Biennale dove ad alcuni artisti main stream (abilmente selezionati in quanto sostenuti dalle più potenti gallerie del globo) vengono inseriti in un melting pot dominato da outsider provenienti da ogni angolo del globo, che nelle loro opere (spesso disegni o pitture) esprimono sogni, ossessioni, paranoie e magie di ogni genere. Il tutto, pensate un po’ che novità, sotto l’ala protettrice di Carl Gustav Jung, autore di un libro di rappresentazioni di sogni esposto per la prima volta a Venezia. “Una mostra-ricerca” ha definito il più giovane direttore di Biennale la sua opera, che sarà probabilmente una replica, più in grande, di mostre già realizzate in altri angoli del globo, dal momento che, ha dichiarato, si tratta di una ricerca che porta avanti da quattro anni.
Paolo Baratta e Massimiliano Gioni

Ma la Biennale è nata con queste premesse? Non si tratta forse di un’istituzione che ha lo scopo di presentare la scena internazionale dell’arte oggi, con un occhio ai nostri migliori talenti? Siamo sicuri che il Palazzo Enciclopedico, così lontano dalle urgenze di un mondo che sta profondamente cambiando ogni giorno ad un ritmo rapidissimo, non appaia come una complessa e articolata fuga dalla realtà, e corra il rischio di assomigliare ad una passeggiata nella Biblioteca di Babele descritta da Jorge Luis Borges? Colta, rarefatta, interessante, ma del tutto superata dalla forza tumultuosa ed esplosiva dell’attualità, che probabilmente alla fine di maggio avrà raggiunto livelli davvero preoccupanti. Non apparirà come l’ultima festa in tempo di peste, lo spasmodico giro di valzer in smoking e crinoline dei giovani rampolli miliardari sulla tolda del Titanic, pochi minuti prima del violento urto con un iceberg alto come una montagna? Un’amica mi ha riferito una frase che ha trovato su Internet: «Quando arriva lo tsunami, quasi tutti si chiudono in casa, ma alcuni costruiscono in fretta e furia delle imbarcazioni di fortuna per superarlo». Mi auguro che l’arte sia in grado di trasformarsi rapidamente da interessante a necessaria. Magari partendo proprio da questa Biennale, dalla quale mi aspetto ardite zattere e non arroganti chiusure.

1 commento

  1. Che dire del mancato exploit del padiglione vaticano alla scorsa edizione, rinviato invece a questa?
    Che il Cardinale Ravasi abbia aspettato proprio l’avvento di questo Papa?

    Ne scrissi, ma alla luce dell’elezione di un Papa gesuita ora il titolo di questa Biennale sembra ancora più coerente, e tutto quadra: http://jizaino.net16.net/ita/arg/no_biennalevaticano.html

    Di certo è un evento storico in un momento di voglia millenarista, e anche se non sarà l’apocalisse, sarà un brusco sommovimento.
    In ogni caso non resta che godersi lo spettacolo.

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