07 dicembre 2013

Parola di Collezionista

 
di Claudio Cosma
Inaugurata a Firenze una nuova serata dedicata all'arte, a cadenza non prefissata, ma con qualche costante: un artista, un lavoro, un “narratore” non critico d'arte a spiegare l'opera esposta, e pochissimi invitati alla mensa dello studio di Sergio Tossi, nel primo momento di “Teste Parlanti”

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Qualche tempo fa, come nelle fiabe che iniziano con “c’era una volta” mi sono trovato nello studio/galleria di Sergio Tossi per assistere ad un evento molto curioso. È stato invitato un artista, Enrico Bertelli, livornese, a presentare un unico lavoro, sebbene alle pareti ce ne fossero altri che contribuivano a fare un’idea della sua poetica nel caso, come il mio, gli ospiti non lo conoscessero. La serata che inizia alle 17.15 si svolge così: arrivano gli invitati, pochi, circa una quindicina; alcuni si conoscono già fra di loro altri sono stati presentati dai padroni di casa, il Tossi e gli editori on-line di Stanza 251, Stefano Loria e Carlo Zei che avevano predisposto un piccolo cocktail. Una veloce introduzione ci ha messo al corrente che un ospite speciale, in questo caso il ballerino e coreografo Virgilio Sieni, attualmente Direttore della Biennale Danza, avrebbe parlato del lavoro esposto. La metodologia con la quale i fatti si sono svolti è importante in quanto questo incontro è il primo di una serie che si ripeteranno con le stesse modalità in tempi non prefissati. Le costanti saranno un artista, un lavoro, un parlatore non critico d’arte, che sarebbe troppo facile, che si avvicini alle arti visive da angolazioni simili, ma non identiche. 

Enrico Bertelli, il lavoro oggetto della serata

 

Il lavoro del nostro artista era di piccolo formato, composto da due pannelli in forex (materiale per la stampa fotografica diretta in PVC espanso a struttura piena) di misure diverse, tenuti vicini da una asticella fissata sul retro nella parte superiore, con la quale si fissava anche al muro. Non so se per civetteria antigraziosa o scelta casuale o altro, la parte inferiore delle due leggere tavolette era fissata sul davanti e quindi visibile all’osservatore da un pezzo di scotch bianco opaco per tenerle accostate. Il forex, naturalmente bianco delle due superfici si mostrava non tagliato appositamente per formare questo lavoro, ma pareva essere un avanzo di tagli precedenti, con bordi non perfettamente in filo e in taluni lati slabbrati. Inoltre le superfici riportavano delle macchie attribuibili all’uso in un ambiente probabilmente tipografico o comunque artistico, infatti una delle due parti che formavano il lavoro riportava una sbavatura sfumata d’inchiostro nero e altre non riconoscibili. L’intervento più appariscente dell’artista consisteva in un rettangolo azzurro polvere, opaco nella parte alta del pannello di destra sul confine tra i due elementi. Tale colorazione, non omogenea ma direi quasi “naturalistica” si dimostrava stesa con un pennello e alla maniera dell’acquerello. Nel suo insieme dava l’idea di una volontà dell’artista tesa ha voler minimizzare la reale portata del suo intervento a favore di una casualità preordinata come si fossero volute dare indicazioni al Fato ad un manufatto trovato, in un particolare ready-made. 

Virgilio Sieni nello studio di Sergio Tossi

 

La mia descrizione è volutamente asemantica per lasciare spazio alle immagini di Virgilio Sieni. Questi ha colto nelle due parti del lavoro dell’artista, la divisione dei due emisferi cerebrali del nostro cervello, con le implicazioni neurologiche che le differiscono e le attitudini e gli specialismi che si esplicano nella creazione artistica. Anche la definizione di un territorio o pianta architettonica è stata associata al pezzo con la notazione che al suo cospetto agiva una volontà di movimento, di torsione, di rotazione. Quest’idea che un lavoro visivo e quindi statico possa generare in chi guarda un cambio di postura l’ho trovata un contributo per l’interpretazione del lavoro straordinario. Questo comporta un cambio di gravità, un momento in cui l’equilibrio rimane sospeso e l’appoggio del corpo che passa da un piede all’altro ci permette quasi la levità se non fosse per le tracce dei nostri piedi in terra, delle orme lasciate a seconda della qualità del terreno, ora lievi ora profonde, a ricordarci la nostra natura. Da qui la metafora del boscaiolo che si addentra nella foresta con quanto serve ad orientarsi e ha capire il linguaggio specifico di quel luogo per essere in grado di sopravvivere in caso di smarrimento. Questo lo constatiamo tutti e continuamente quando ci addentriamo in mondi di cui non possediamo i codici occulti e iniziatici, come ad esempio il mondo dell’arte che come la foresta per il taglialegna contiene risorse e godimento solo se siamo in grado di saper vedere. È stato anche detto che il nostro corpo ha una pelle compatta che non permette alla luce interna di illuminare quanto desideriamo capire e dunque è necessario fessurare questo tessuto impenetrabile per far scaturire lampi che ci permettano la condivisione di quello che appare come diverso. Sieni ha parlato per un’ora e noi tutti siamo rimasti rapiti dalla sua capacità verbale ricca e colta ma anche  dalla vera performance che in piedi, disdegnando una seggiolina che è rimasta a fargli da quinta, vestito di nero alla maniera degli intellettuali francesi, ci ha dedicato muovendosi con estrema grazia, mentre calato nella parte del narratore per eccellenza non ci lasciava scegliere se capivamo di più dalle parole o dal fluire del suo movimento.  

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