11 dicembre 2012

Partecipazione, questa sconosciuta

 
Partecipazione, questa sconosciuta
di Paola Ugolini

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È una parola che andava molto di moda negli anni Settanta, i miei cugini “grandi”, extraparlamentari di sinistra, si riempivano la bocca con questa parola dal suono amichevole. Sono passati trent’anni in un lampo, molte cose sono successe e non sempre sono state belle. Le utopie che hanno animato un decennio di lotte studentesche, collettivi, femminismo, cineforum e sit-in si sono infrante contro il muro del consumismo di bassa lega diffuso come un virus dalla televisione commerciale. Uno strumento che per l’attività neuronale è stato più letale della droga e che, con la sua subdola apparizione, ha spezzato le proteste degli studenti dal ’68 in poi. Sono passati trent’anni durante i quali il nostro Paese ha ballato freneticamente mentre la nave affondava e la partecipazione è stata buttata nello scantinato dei cimeli impolverati insieme a tutto un mondo che improvvisamente sembrava “sfigato”. Come dice un proverbio popolare, “Bisogna toccare il fondo per risalire in superficie”.

Credo che il fondo, a questo punto, lo abbiamo toccato sul serio in tutti i campi della vita civile: i soldi non ci sono più, gli imbonitori si sono tolti la maschera e hanno mostrato i loro volti lombrosiani. Le forbici della povertà hanno cominciato a tagliare quelle radici che storicamente assicurano alla pianta il suo nutrimento vitale: scuola, istruzione, ricerca, cultura, sanità. Questa è la crisi signori e dopo le abbuffate degli anni passati, ora i suoi morsi famelici fanno male da morire.

Dopo trent’anni di oblio la parola partecipazione è tornata, prima timidamente poi sempre più prepotentemente, a far parlare di sé. Ma che cosa significa e come si realizza concretamente? Cosa sono, le “buone pratiche condivise”, oggi, in una società traumatizzata dal disagio sociale e dalla mancanza di ideologie? I nostri cugini d’oltralpe in Francia hanno ideato uno straordinario progetto di Arte Pubblica partecipata i “Nouveaux Commanditaires”, che permette a tutti i cittadini che lo desiderano, sia singolarmente che in gruppi, di chiedere ad un artista di realizzare un’opera di architettura, musica o arti plastiche, come sfida e confronto con la cultura contemporanea. La partecipazione a un progetto così importante coinvolge attivamente tre attori: l’artista, il cittadino-committente e il mediatore culturale, scelto dalla Fondation de France, con l’aiuto finanziario di partners pubblici e privati.

Nel nostro piccolo, a Roma, un esempio di partecipazione consapevole in tempi di crisi lo ha offerto l’associazione culturale Macroamici, e ve lo voglio raccontare. Beatrice Bulgari, presidente dell’associazione che riunisce il gruppo di collezionisti che, per sostenere l’attività didattica e le acquisizioni del museo comunale di Arte Contemporanea della Capitale, versa annualmente 3mila euro (otto anni fa di euro ce ne volevano 10mila, ma dati i tempi di recessione è sembrato opportuno ridimensionare la quota di iscrizione), ha chiesto ai soci di votare collegialmente l’acquisto di tre nuove opere da donare al museo. Un museo senza una collezione è una scatola vuota, non tesaurizza né storicizza, motivo per cui il direttore, Bartolomeo Pietromarchi, nel suo progetto per il Macro, ha messo in primo piano la produzione delle opere con la creazione delle residenze per artisti all’interno del museo stesso. Partecipazione attiva, quindi, dell’istituzione con gli artisti e con il pubblico che può prenotarsi per fare gli studio visit e seguire il processo dei lavori.

Dopo un anno il museo può chiudere il bilancio della produzione in attivo, molte opere sono state realizzate dagli artisti che si sono succeduti nelle residenze a lungo e breve termine o sono state co-prodotte, come nel caso di alcune create ad hoc per la collettiva di giovani “Re-generation” al Macro Mattatoio. Il direttore ha illustrato i lavori e i progetti dei quattro artisti attualmente in residenza: Francesca Grilli, Julieta Aranda, Hiwa K e Giovanni Giaretta, poi ha presentato le opere realizzate dal primo ciclo di delle residenze: Graham Hudson, Ismail Randall Weeks, Luigi Presicce e Carola Bonfili. Per le co-produzioni la scelta è stata fra il video Una ragazza qualunque di goldiechiari sull’omicidio irrisolto di Wilma Montesi e l’installazione di Alessandro Piangiamore La cera di Roma. Ogni socio ha potuto esprimere tre preferenze e i risultati sono stati immediati, il Macro potrà arricchire la sua collezione permanente con ben tre lavori: Ismail Randall Weeks con l’installazione Palestra, Francesca Grilli che ha presentato un poetico lavoro sulla relazione fra strumento musicale e sua funzione sociale e La cera di Roma di Alessandro Piangiamore.

Donare soldi a un museo pubblico è certamente un atto di amore verso la cultura, poter partecipare attivamente all’acquisto delle opere che poi saranno esposte è un atto di stima intellettuale che l’istituzione rende a chi le ha dato fiducia, uno scambio proficuo per entrambe le parti che in questo modo rendono un favore alla collettività. La partecipazione attiva e consapevole, esemplificata in questa iniziativa del Macro, seppure delle proporzioni di un sasso in un grande stagno, rappresenta un punto significativo delle buone pratiche condivise. Forse si può partire anche da qui, da storie apparentemente marginali, per risvegliate la coscienza di questo nostro impoverito Paese.

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