20 gennaio 2023

Angelo Guglielmi e il Gruppo ’63, un libro sulla “piccola” rivoluzione

di

Alla Triennale di Milano si ricorda la figura dello scrittore, critico e regista Angelo Guglielmi, in occasione della presentazione di un nuovo libro dedicato alla formidabile avventura del Gruppo 63

Alla Triennale di Milano è stata ricordata la figura di Angelo Guglielmi, scrittore, critico, regista, direttore di Rai 3 e tra i fondatori del Gruppo ’63. La sua ultima intervista, prima della scomparsa avvenuta l’11 luglio dello scorso anno, è quella rilasciata al giornalista Carmelo Caruso da cui è scaturito il libro “L’avanguardia in bermuda. La formidabile avventura del Gruppo ‘63”, Aragno Editore.

In questo libro di un’ottantina di pagine, divise in XXVIII capitoletti, si parla poco della sua esperienza televisiva, mentre l’attenzione si fissa sul fenomeno letterario della “neoavanguardia”, che riuniva «Una piccola ganga di scrittori sperimentali» – tra i quali, oltre allo stesso Guglielmi, Umberto Eco, Nanni Balestrini, Alberto Arbasino, Giorgio Manganelli, Edoardo Sanguineti, Renato Barilli – e che prenderà appunto il nome di Gruppo ’63.

Stanchi dei “vecchi tromboni” che scrivevano sulla terza pagina del Corriere della Sera, questa pattuglia di contestatori si opponeva, in nome di Carlo Emilio Gadda, al romanzo neorealista, ancora di stampo ottocentesco, che si reggeva sul racconto a trama, e si proponeva, al contrario, con qualche velleità, di «Incendiare la letteratura italiana», disprezzando la lingua antica e sperimentando nuove modalità espressive.

Ma, considerando anche l’ironia del titolo del libro “L’avanguardia in bermuda” (i fondatori del gruppo si erano ritrovati in estate cinque giorni nell’assolata Palermo), più che di rivoluzione letteraria si può parlare di un gioco intellettuale, che partiva dall’esigenza autentica di interpretare la nuova realtà sociale, rifiutando gli stilemi e le forme tradizionali di una cultura borghese e fare qualche vittima illustre, con le loro stroncature, come Cassola, Tomasi di Lampedusa, Bassani, Buzzati, Montale e altri.

Quella specie di comune, in grado di unire scrittori, poeti, critici, architetti, artisti, musicisti, sembra molto combattiva e polemica, anche al suo interno. Deliziosa l’uscita di Guglielmi sul linguaggio di Arbasino: «Sa un po’ di merda, come capita alla più raffinata cucina francese». Ma i toni si stemperano ben presto e le polemiche svaniscono di fronte alla necessità prevalente di tentare di sprovincializzare il Paese.

Nel libro, questo movimento letterario viene definito, come abbiamo visto, «Un incendio che per una manciata di anni ha seminato il panico nel mondo della letteratura». Lo stesso Guglielmi ammetteva però: «Eravamo degli sprovveduti? Per niente. Avevamo ragione? Assolutamente sì. Abbiamo avuto fortuna? Mah. Il successo di pubblico non pensavamo di pretenderlo. Non si può insomma dire che la nostra piccola rivoluzione sia stata piccola».

Probabilmente fu così ma fu sufficiente il “tradimento” di Umberto Eco che, con il suo romanzo “Il nome della rosa”, rinnegava palesemente i principi che avevano animato all’origine il Gruppo ’63, a rimettere tutto in discussione. Anche se questo fatto non scalfì l’amicizia tra Eco e Guglielmi, seppure qualcuno del Gruppo, come Sanguineti, continuava a rifiutarsi di leggere il libro di Eco.

Guglielmi, d’altra parte, era alla ricerca della autenticità e uno dei mezzi per ottenerla era l’improvvisazione. Quando divenne Direttore di Rai3, superato il periodo della TV educativa alla Bernabei, si rese conto che questo mezzo di comunicazione non doveva essere «Il nastro trasportatore di generi di altre discipline», ma avere un suo proprio linguaggio, più diretto, autonomo, legato alla gente e nelle trasmissioni che realizzò, fece ampio uso della diretta.

E non si preoccupava degli eventuali insuccessi, anche se disastrosi, perché l’importante era sperimentare, essere disposti a rischiare. In realtà, in lui convivevano la curiosità, la generosità del giovane, le conoscenze del grande intellettuale e la necessità dell’agire per la cultura, intesa non come uno cosa statica «Ma un modo di fare le cose».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui