26 dicembre 2019

Il giardino di Derek Jarman

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Sulla costa del Kent, a Dungeness, un giardino ha scandito la vita di un uomo, finendo per diventare il suo stesso paradiso

Il giardino di Derek Jarman. Prospect Cottage. © 1995 Howard Sooley
Il giardino di Derek Jarman. Prospect Cottage. © 1995 Howard Sooley

Il giardino di Derek Jarman, edito da nottetempo, ci spinge in un luogo piuttosto remoto. Difficile, arido, sottoposto ai feroci venti dell’est, Dungeness si trova sulla costa inglese del Kent, isolata. Derek Jarman vi arriva a metà degli anni ’80, colpito da un aspetto desolato che solo i luoghi difficili acquisiscono; un cartello con su scritto “Vendita” segna l’inizio di una storia che non poteva che essere raccontata in prima persona. Il giardino di Derek Jarman è l’ultimo libro scritto dall’artista, il racconto della nascita e delle metamorfosi di un giardino che ha guardato al paradiso, finendo per diventarlo per il suo stesso artefice.

Oltre 150 immagini, accompagnate dalle parole di Derek Jarman, raccontano di una creazione unica, catturata dal fotografo Howard Sooley a partire dal 1991, ma che ha inizio nel 1986, giungendo fino al 1994, ultimo anno di vita dell’artefice. Con alle spalle la centrale nucleare, a Dungeness ha preso vita un giardino divenuto metafora della vita dell’uomo che l’ha plasmato. Limate, sottoposte ai venti, continuamente in balia del percorso naturale di rinsecchimento, morte, rinascita, fioritura, le piante di questo giardino hanno accompagnato il percorso della malattia del loro incantatore. I gesti di Derek, pazienti come quelli di ogni giardiniere, hanno finito per creare il suo memoriale.

Pietre, conchiglie, selci, detriti di legno reperiti dalla spiaggia: il giardino di Derek Jarman si nutre del mare, e grazie al mare e ai suoi venti perisce, e con difficoltà ogni volta rinasce. La spiaggia di Dungeness, la più grande conformazione di ciottoli del pianeta, ha nutrito uno spazio tutto personale, ma dalle lunghe radici, proprio come quelle della Crambe maritima, la pianta più diffusa in questi luoghi perché è “troppo dura”, davanti alla quale “perfino i bruchi si arrendono”; le sue radici, lunghe almeno sei metri, si annidano in profondità nei ciottoli, rinascendo continuamente.

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